Ma noi ci sentivamo rincuorati e, credo, un po’ esaltati dal nostro successo sopra quegli esseri potenti, certo non di questa terra. Sembrava inevitabile concludere, sia pure presuntuosamente, che Dio doveva averci concesso la sua approvazione.
Attraversai il cortile interno dove la guardia era stata triplicata, ed entrai direttamente nel grande salone. Ansby Castle era una vecchia fortezza normanna: desolata all’aspetto e fredda per abitarci. Il salone era già in penombra, illuminato solo da candele e da un gran fuoco guizzante che a tratti strappava dall’ombra immagini di armi e tappezzerie. I Nobili e gli esponenti più importanti del paese e dell’esercito erano già seduti a tavola dove, tra un fitto intrecciarsi di conversazioni, i servi correvano con le portate mentre i cani si disputavano gli avanzi. Era una scena familiare e confortevole però, sotto di essa, si avvertiva una grande tensione. Sir Roger mi fece cenno di andare a sedere accanto a lui ed alla signora, un segno questo di grande onore.
Permettete ora che vi descriva Roger de Tourneville, Cavaliere e Barone. Era costui un uomo sulla trentina, imponente, dai muscoli robusti, con occhi grigi e lineamenti aguzzi. Portava i capelli biondi alla solita moda dei nobili guerrieri, folti sulla parte superiore della testa e rasati al di sotto, che rovinavano in un certo senso il suo aspetto peraltro non sgradevole, perché aveva le orecchie sporgenti quanto i manici di una brocca.
Questo distretto, dove lui era nato, era povero e arretrato, ragion per cui lui aveva passato la maggior parte della sua vita altrove, in guerra. Tutto questo spiegava la sua mancanza di finezza cortigiana, anche se a modo suo era intelligente e gentile.
Sua moglie, Lady Catherine, era una figlia del Visconte di Mornay; la maggior parte della gente pensava che Lady Catherine si fosse sposata al di sotto della sua condizione sociale e del suo stile di vita, in quanto era stata allevata a Winchester tra ogni eleganza e le più moderne raffinatezze. Era una donna molto bella, con grandi occhi azzurri e capelli d’ebano, ma aveva anche un po’ della virago. Avevano solo due figli: Robert, un bel bambino di sei anni, che era il mio allievo, ed una bambina di tre anni di nome Matilda.
«Bene, Fratello Parvus», tuonò il mio Signore col suo vocione. «Siediti e bevi un boccale di vino… affè mia, questa occasione richiede ben altro che della semplice birra!»
Il delicato naso di Lady Catherine si arricciò leggermente; nella sua vecchia dimora paterna, la birra era destinata agli ospiti di Sangue non Nobile. Quando mi fui assiso, Sir Roger si chinò verso di me e chiese ansioso:
«Allora che cosa hai scoperto? È davvero un Demone quello che abbiamo catturato?»
Il silenzio cadde sulla grande tavolata. Perfino i cani si azzittirono. Potevo sentire il fuoco che crepitava nel caminetto e gli antichi stendardi che frusciavano impolverati appesi alle travi sopra di noi.
«Credo di sì, Milord,» risposi facendo grande attenzione alle parole. «Infatti si è molto infuriato quando lo abbiamo spruzzato con l’Acqua Santa».
«Però non è svanito in una nuvola di fumo, vero? Ah! Se questi sono Demoni, non sono per nulla simili a quelli di cui ho sempre sentito parlare. Questi sono mortali come gli uomini».
«E ancora di più, Sire,» dichiarò uno dei suoi Capitani, «perché costoro sono privi di anima».
«Non m’interessa la loro spregevole anima,» sbuffò Sir Roger. «Io voglio sapere della loro nave. L’ho percorsa in tutti i sensi durante la battaglia. Che balena di nave! Potremmo farci salire su tutta Ansby e ci sarebbe ancora spazio. Ma hai chiesto a quel Demone come mai loro, che erano solo un centinaio, avevano bisogno di tanto spazio?»
«Il Demone non parla alcuna lingua nota, Milord,» risposi.
«Schiocchezze! Tutti i Demoni conoscono almeno il latino. Quello è solo ostinato».
«Forse una piccola seduta col vostro boia potrebbe servire?», interloquì il Cavaliere Sir Owain di Montbelle, con un sorriso scaltro.
«No,» risposi, «a mio parere, sarebbe meglio di no. Questo Demone sembra molto rapido nell’apprendere: è già in grado di ripetere molte parole con me, per cui non credo che finga solo la sua ignoranza. Datemi alcuni giorni e forse sarò in grado di parlare con lui».
«Alcuni giorni potrebbero essere troppi!», brontolò Sir Roger, gettando l’osso di manzo che aveva spolpato ai cani e leccandosi quindi rumorosamente le dita.
Lady Catherine corrugò la fronte e gli indicò la ciotola dell’acqua ed un tovagliolo accanto a lui.
«Mi spiace, mio dolce amore.» mormorò lui. «Non riesco mai a ricordarmi di queste nuove usanze».
Sir Owan lo trasse dall’imbarazzo chiedendogli:
«Perché pensate che qualche giorno sia troppo tempo? Certo non vi aspetterete che arrivi un’altra nave?»
«No. Ma gli uomini diventeranno più irrequieti che mai. Eravamo già pronti per partire, e poi è successo questo!»
«E allora? Non possiamo comunque partire alla data prefissata!»
«No, testa di legno!» Il pugno di Sir Roger si abbatté fragorosamente sul tavolo rovesciando un bicchiere. «Non capite che occasione ci si presenta? Devono essere stati i Santi stessi a concedercela!»
Mentre noi sedevamo come folgorati, Sir Roger continuò:
«Noi possiamo imbarcarci tutti su quella cosa. Cavalli, vacche, maiali, pollame… così non saremo angustiati dai problemi dei rifornimenti. E ci saranno anche le donne, così avremo tutti i conforti delle nostre case! Già, e perché non anche i nostri figli? Lasciamo perdere i raccolti dei campi che potranno rimanere trascurati per qualche tempo: inoltre sarà anche più sicuro rimanere tutti insieme, onde evitare che chi rimane possa essere soggetto ad altre visite.
«Io non so di quali altri poteri disponga questa nave oltre a quello di saper volare, ma il suo solo aspetto basterà ad incutere un tale terrore che non avremo quasi bisogno di combattere. Sarai perciò con essa che attraverseremo la Manica e porremmo fine alla Guerra di Francia nel giro di un mese, capisci? Poi procederemo oltre ed andremo a liberare la Terrasanta, quindi torneremo qui in tempo per il taglio del fieno!»
Il lungo silenzio fu rotto bruscamente da un tale uragano di applausi che le mie deboli proteste ne furono soffocate. Per me l’intero progetto era folle. E, come me, mi parve che la pensassero Lady Catherine e qualcun altro. Ma il resto dei convitati rideva e gridava da far risuonare tutto il salone.
Sir Roger rivolse il suo viso congestionato verso di me.
«Tutto dipende da te, Fratello Parvus,» mi disse, «tu sei il migliore di tutti noi nelle questioni di lingua. Quindi devi costringere quel Demone a parlare od insegnargli a farlo, qualunque sia il caso. E lui ci mostrerà come far salpare quella nave!»
«Mio Nobile Signore…», lo interruppi con voce incerta.
«Bene!» Sir Roger mi batté una tale manata sulla spalla, che quasi soffocai e caddi giù dal mio scranno. «Sapevo che saresti stato in grado di farlo. Come ricompensa, avrai il privilegio di venire con noi!»
Invero sembrava che l’intero paese e l’esercito fossero ugualmente posseduti dal Demonio. Certo, la scelta più saggia sarebbe stata quella di inviare un veloce messaggero al Vescovo, o forse addirittura a Roma stessa, per chiedere consiglio. Ma no: loro volevano partire tutti insieme, subito! Le mogli non volevano lasciare i mariti, né i genitori i figli, o le ragazze i loro innamorati. Il più infimo dei servi ardiva a sollevare gli occhi da terra e sognava di liberare la Terrasanta e, intanto che c’era, guadagnarsi una cassa d’oro per strada.
Ma che altro ci si poteva aspettare da un popolo la cui razza era un misto di Sassoni, Danesi e Normanni?