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«Ti prego, continua con la narrazione, Fratello Parvus».

«Bene: Branithar sostiene che le stelle sono altri soli non diversi dal nostro, solo molto più lontani, e che attorno ad essi ruotano dei mondi come farebbe il nostro attorno al Sole. Neanche i Greci avrebbero digerito simili assurdità. Per quali cafoni ignoranti ci prende questo essere? Ma, sia come sia, Branithar sostiene che il suo popolo, i Wersgorix, proviene da uno di questi altri mondi, un mondo che sarebbe molto simile alla nostra Terra. E vanta i loro poteri di Stregoneria…»

«Bè, questa non è una menzogna,» osservò Sir Owain. «Abbiamo voluto provare anche noi alcune delle loro armi a mano. E abbiamo bruciato tre case, un maiale ed un servo prima di imparare a controllarle.»

Deglutii, ma continuai:

«Questi Wersgorix hanno navi che possono volare tra le stelle ed hanno conquistato molti mondi. Il loro metodo consiste nel soggiogare o distruggere le eventuali popolazioni native arretrate che vi trovano. Poi colonizzano tutto il nuovo mondo, ed ogni Wersgor si prende centinaia di migliaia di accri. Il loro numero cresce fin troppo rapidamente e, poiché non amano stare in luoghi troppo affollati, sono costretti a cercare in continuazione nuovi mondi.

«Questa nave che noi abbiamo catturato era un vascello esploratore alla ricerca di un altro mondo da conquistare. Dopo aver osservato la nostra Terra dall’alto, il Comandante aveva deciso che era adatto ai loro scopi ed era disceso. Il loro piano era il solito, e finora non aveva mai fallito. Ci avrebbero terrorizzati, avrebbero utilizzato il nostro paese come base, e da qui si sarebbero allargati per raccogliere esemplari di piante, animali e minerali. Ecco perché la loro nave è tanto grande ed hanno tanto spazio vuoto. In verità si tratta di una autentica Arca di Noè. Poi sarebbero tornati a casa e, dopo aver comunicato le loro scoperte, sarebbe partita una flotta per attaccare tutta l’umanità».

«Uhm,» fece Sir Owain. «Se non altro questo l’abbiamo impedito».

Entrambi ci sentivamo scusati per quanto avevamo fatto, nell’orribile visione della nostra povera gente tormentata da quegli esseri, distrutta o resa schiava, anche se nessuno di noi in realtà credesse a quella narrazione. Io ero convinto che Branithar provenisse da qualche remota parte del mondo, forse oltre il Cathay, e che ci raccontasse quelle menzogne solo nella speranza di spaventarci e di indurci a liberarlo.

Sir Owain convenne con la mia teoria.

«Ciononostante,» aggiunse il Cavaliere, «ora dobbiamo assolutamente imparare ad usare la loro nave, nel caso che malauguratamente dovessero arrivarne altre. E quale sarebbe il modo migliore di farlo se non portandola in Francia ed a Gerusalemme? Come ha detto il mio Signore, in questo caso sarebbe prudente, oltre che utile, portare con noi donne, bambini, agricoltori e popolani. Hai chiesto al mostro come si possono lanciare gli Incantesimi che fanno funzionare la nave?»

«Sì», risposi, sia pure con riluttanza. «Dice che il timone è molto semplice».

«E l’hai avvertito di cosa gli succederà se non ci guiderà fedelmente?»

«Gliel’ho spiegato chiaramente. Dice che obbedirà».

«Bene! In questo caso potremo partire fra uno o due giorni!» Sir Owain si rilassò contro lo schienale della panchina, con gli occhi semichiusi, come se stesse sognando. «Poi, una volta finito tutto, dovremo pensare ad avvertire la sua gente della sua cattura. Col suo riscatto penso che si potrebbe comperare molto vino e divertire molte belle donne».

CAPITOLO III

Così partimmo.

Più strano ancora della nave e del suo arrivo, fu l’imbarco. Quella strana cosa si ergeva nei campi come una montagna d’acciaio forgiata da un Mago per qualche orribile scopo. Dall’altra parte dei campi, era adagiata la piccola Ansby, con le sue case di paglia e le strade coperte di solchi, i campi verdeggianti sotto il pallido sole d’Inghilterra. Perfino il castello, che prima dominava imponente la scena, ora appariva meschino e grigio.

Ma, sulle rampe che avevano calato da diverse altezze, per entrare in quel pilastro lucente, si accalcava la nostra gente, rossa in viso, sudata, e vociante per l’allegria.

Qui John Hameward ruggiva col suo arco infilato in un braccio ed una ridacchiante sgualdrinella di taverna appesa dall’altro. Là un piccolo proprietario terriero armato di un’ascia arrugginita che forse era stata usata ad Hastings, e rivestito di una ruvida cotta di panno rammendato, precedeva una moglie brontolona carica di coperte e pignatte, con una mezza dozzina di bambini aggrappati alle gonne. Qui un arciere cercava di spingere un mulo recalcitrante su per la rampa con delle imprecazioni che gli facevano guadagnare anni e anni di Purgatorio. Là un ragazzo inseguiva un maiale che era sfuggito alle sue cure. Qui un Cavaliere dalle ricche vestimenta scherzava con una bella donna che portava al polso un falcone incappucciato. Là un prete sgranava il Rosario mentre si avventura dubbioso in quelle fauci metalliche. Qui una vacca mugghiava, là una pecora belava, qui una capra agitava le corna, là chiocciava una gallina. Nel complesso, salirono a bordo duemila anime.

La nave le ospitò tutte agevolmente. Ogni uomo importante poté avere una cabina tutta per sé e per la moglie… Infatti molti avevano portato mogli, amanti, o entrambe, per fare della partenza per la Francia un’occasione ancora più mondana. I plebei collocarono i loro giacigli nelle stive vuote. La povera Ansby rimase così quasi deserta, e spesso mi chiedo se esista ancora.

Sir Roger aveva costretto Branithar a guidare la nave in qualche volo di prova ed essa si era innalzata agile e silenziosa mentre il Demone azionava ruote, leve e manopole nella torretta di comando. La guida era veramente un gioco infantile, sebbene noi non riuscissimo assolutamente a capire certi dischi coperti di iscrizioni pagane su cui oscillavano degli aghi.

Per mio tramite, Branithar disse a Sir Roger che la nave ricavava la sua forza motrice dalla distruzione della materia, un’idea orrenda in verità, e che i suoi motori la sollevavano in aria e la proiettavano in avanti annullando l’attrazione terrestre nella direzione prescelta. Questo era assurdo… Aristotele infatti ha spiegato chiaramente che le cose cadono a terra perché è nella loro natura di cadere, ed io non sono disposto a credere alle idee illogiche alle quali soccombono così facilmente le teste vuote.

Nonostante le riserve espresse, l’Abate si aggregò a Padre Simon nella benedizione della nave. La battezzammo Crusader, cioè «Crociato».

Sebbene avessimo ben due cappellani a bordo, avevamo anche preso a prestito un ricciolo dei capelli di San Benedetto e, tutti coloro che si erano imbarcati si erano confessati ed avevano ricevuto l’assoluzione. Così pensavano di essere al riparo dai pericoli dell’anima, anche se io avevo i miei dubbi.

A me fu assegnata una piccola cabina di fianco all’appartamentino in cui alloggiava Sir Roger con la moglie ed i figli. Branithar era custodito, sotto sorveglianza, in una stanza vicina. Il mio compito era di fare da interprete e di continuare ad istruire il prigioniero nella lingua latina, di proseguire l’istruzione del giovane Robert e di fare da amanuense per il mio Signore.

Alla partenza, comunque, la torretta di controllo fu occupata da Sir Roger, Sir Owain, Branithar e me. La torretta era priva di finestre, come tutta la nave del resto, ma c’erano schermi di vetro su cui apparivano immagini della terra sotto di noi e del cielo circostante. Io avevo i brividi e recitai il Rosario, perché non si addice ad un cristiano di guardare nei globi di cristallo degli Stregoni sconosciuti.

«E adesso,» esclamò Sir Roger, raggiante in volto e ridendo di me, «si parte! Arriveremo in Francia in meno di un’ora!»