«Potresti avere la decenza di non insultare la nostra intelligenza.» mi inalberai. «So benissimo anch’io quanto te che la luce ha una velocità infinita.»
Branithar si strinse nelle spalle.
Un bagliore illuminò l’occhio di Sir Roger.
«Quando arriveremo?», chiese.
«Fra dieci giorni», ci informò Branithar. «Non sono le distanze tra le stelle, per quanto grandi siano, che ci hanno resi così lenti nel raggiungere il vostro mondo. Il fatto è che noi ci stiamo espandendo da tre secoli, e il numero dei soli è semplicemente colossale.»
«Uhm! Quando arriveremo, avremo a nostra disposizione questa bella nave con le sue bombarde e le sue armi a mano. I Wesrsgorix forse rimpiangeranno la nostra visita!»
Io tradussi quanto aveva detto per Branithar e questi rispose:
«Io vi consiglio caldamente di arrendervi subito. È vero che questi nostri raggi di fuoco possono uccidere un uomo o ridurre una città in cenere, ma scoprirete che non vi serviranno a niente perché noi disponiamo di schermi di energia pura in grado di bloccare qualsiasi raggio del genere. La nave invece non è protetta in questo modo perché i generatori necessari per alzare uno schermo di forza sono troppo mastodontici per esservi contenuti. Perciò i cannoni delle fortezze spareranno in alto e vi distruggeranno.»
Quando Sir Roger udì la risposta, si limitò ad osservare: «Bé, abbiamo sempre dieci giorni per pensarci sopra. Per ora manteniamo segreta tutta la faccenda. Nessuno può guardare fuori dalla nave, tranne che da qui. Vedrò di escogitare qualche fola che non allarmi troppo la gente».
Detto questo uscì dalla torretta e la cappa gli svolazzò attorno come un paio di grandi ali.
CAPITOLO IV
Io ero quello che meno contava nel gruppo, ed avvennero molte cose nelle quali non ebbi parte. Tuttavia cercherò di riferirle con la maggior completezza possibile e mi servirò delle congetture laddove dovrò sopperire ai vuoti delle mie conoscenze. I cappellani udivano parecchie cose in confessione e, pur senza violare il segreto, erano sempre pronti a correggere le false impressioni.
Credo perciò che Sir Roger abbia preso Catherine, sua moglie in disparte e le abbia raccontato come stavano realmente le cose. Se aveva sperato che lei accettasse la situazione con calma e coraggio, ne fu deluso, perché la donna ebbe un attacco di furore.
«Malaugurato il giorno che vi sposai!», gridò, pestando il piedino sul ponte d’acciaio, mentre il suo bel viso diventava prima rosso e poi bianco. «È già abbastanza odioso che la vostra ottusità mi abbia svergognato di fronte al Re ed alla Corte per condannarmi ad una vita di noia in quella tana d’orso che chiamate castello; adesso mettete addirittura in pericolo la mia vita e quella dei miei figli, per non parlare poi delle nostre anime!»
«Ma cara,» balbettò lui, «io non potevo immaginare…»
«Oh, no, eravate troppo stupido infatti! Non era sufficiente che doveste partire per la Francia dove sollazzarvi con saccheggi e sgualdrine di dubbia virtù, ma dovevate proprio farlo con questa bara volante! La vostra presunzione vi ha detto che il Demone aveva così tanta paura di voi da essere il vostro schiavo obbediente. Oh, Maria, abbi pietà di noi donne!»
Dopodiché Catherine si voltò singhiozzando e scappò via.
Sir Roger la guardò svanire in fondo al lungo corridoio. Poi, col cuore pensante, si apprestò ad andare a trovare i suoi soldati.
Li trovò nella stiva di poppa che stavano preparandosi la cena. L’aria rimaneva sempre pura nonostante tutti i fuochi che accendevamo; Branithar mi aveva detto che la nave aveva incorporato un sistema per rinnovare gli spiriti vitali dell’atmosfera. Io trovavo personalmente alquanto snervante avere le pareti sempre luminose e non poter distinguere il giorno dalla notte, ma i soldati si limitavano a sedersi in circolo, tracannando orci di birra, menando vanterie, giocando a dadi ed ammazzando pulci, una ciurma scatenata e senza Dio che però accolse il loro Signore con vero affetto.
Sir Roger fece cenno a Red John Hameward che gli si stava avvicinando con passo pesante, di raggiungerlo in una saletta laterale.
«Mio Sire,» osservò l’omaccione, «mi pare che questo viaggio per la Francia stia diventando lungo assai.»
«I piani sono stati, uhm, modificati,» gli rispose Sir Roger scegliendo con cura le parole. «Sembra che nella terra d’origine di questa nave ci sia un enorme bottino. Con esso noi potremo equipaggiare un esercito così grande da conquistare non solo numerose terre, ma anche da tenerle e colonizzarle per noi».
Red John ruttò e si grattò sotto il farsetto.
«Sempre che non ci imbattiamo in un avversario troppo forte per noi, Sire.»
«Non credo proprio. Ma devi preparare gli uomini per il cambiamento di piani e calmare le loro paure se ci sono.»
«Non sarà facile, Sire.»
«Perché no? Ti ho già detto che il bottino sarà buono.»
«Bè, mio Signore, se volete tutta la vierità, le cose stanno in cotal guisa. Vedete, anche se abbiamo portato con noi la maggior parte delle donne di Ansby, e molte di loro sono nubili e, uhm, ben disposte… anche così, rimane il fatto, Milord, voi mi capite, che gli uomini sono il doppio delle donne. Ora, le donne di Francia sono belle e probabilmente anche le saracene andrebbero bene in un momento di difficoltà, a parte il fatto che si dice, che siano molto vezzose, ma, a giudicare da quei musi azzurri che abbiamo sconfitto, bè, le loro femmine non devono essere poi troppo avvenenti.»
«E come fate a sapere che non tengano prigioniere delle belle Principesse che bramano di vedere un onesto volto inglese?»
«Questo è anche vero, Milord. Potrebbe anche essere così.»
«Allora provvedi a che gli arcieri siano pronti a combattere quando arriveremo.»
Sir Roger batté una mano sulla spalla del gigante e andò a ripetere le stesse cose agli altri Capitani. Più tardi, mi riferì la questione delle donne ed io rimasi inorridito.
«Dio sia lodato per aver fatto i Wersgorix così poco attraenti, se sono di un’altra specie!», esclamai. «Grande è la sua Previdenza!»
«Per quanto siano brutti,» mi chiese il Barone, «sei sicuro che non siano umani?».
«Sa Iddio quanto vorrei saperlo, Milord», risposi dopo averci pensato su. «Non assomigliano a nulla di quanto esiste sulla Terra. Eppure camminano su due gambe, hanno le mani, e sono dotati della parola e della ragione.»
«Questo conta poco.» decise Sir Roger.
«Oh, ma importa grandemente, invece!», esclamai. «Perché, vedete, se loro hanno un’anima, allora è nostro sacro dovere convertirli alla Fede. Ma, se non ce l’hanno, sarebbe blasfemo dare loro i Sacramenti.»
«Lascerò a te decidere se l’hanno o no.» ribatté il Barone con indifferenza.
Mi affrettai quindi a tornare nella cabina di Branithar, che era sorvegliato da un paio di uomini armati di lancia.
«Cosa vuoi?», mi chiese quando mi sedetti.
«Tu hai un’anima?», indagai.
«Una cosa?»
Gli spiegai cosa volesse dire la parola spiritus. Ma rimase ancora perplesso.
«Voi credete veramente che nella vostra testa viva una miniatura di voi stessi?», ribatté.
«Oh, no! L’anima non è materiale. L’anima è ciò che dà la vita: bè, non proprio esattamente in quanto anche gli animali sono vivi, ma la volontà, la coscienza…»
«Ho capito. Il cervello.»
«No, no, no! L’anima è ciò che sopravvive anche dopo che il corpo è morto ed affronta il giudizio per quanto il corpo ha fatto durante la vita».