Decifrai anche alcune scritte degli strumenti del pannello di comando. Certi quadranti, come quello dell’altitudine e della velocità, furono facili da comprendere. Ma cosa poteva significare la scritta «flusso del combustibile»? Qual era la differenza tra «propulsione subluce» e «propulsione iperluce»? Invero questi dovevano essere dei potenti anche se pagani, incantesimi.
E così giorni trascorrevano l’uno uguale all’altro e, dopo un certo periodo che a noi parve un secolo intero, finalmente vedemmo una stella che diventava sempre più luminosa sugli schermi; poi s’ingrandì, sempre più, finché divenne grossa e luminosa quanto il nostro sole. Infine vedemmo un pianeta simile al nostro, solo che aveva due piccole lune. Allora ci tuffammo verso il basso, finché la palla nel cielo scomparve e vedemmo sotto di noi una grande distesa frastagliata: quando vidi il cielo ritornare azzurro, mi gettai in ginocchio per ringraziare il Signore.
La leva di bloccaggio scattò verso l’alto con un rumore metallico. La nave si fermò e rimase sospesa ad un miglio da terra. Eravamo giunti su Tharixan.
CAPITOLO VI
Sir Roger mi aveva mandato a chiamare nella torretta di comando con Sir Owain, Red John che accompagnava Branithar tenuto legato da un pezzo di corda. Quando vide gli schermi, l’arciere spalancò tanto d’occhi e si lasciò sfuggire una sfilza di imprecazioni.
In tutta la nave intanto era stata passata parola agli uomini in grado di battersi di preparare le armi. I due Cavalieri indossavano l’armatura, mentre i loro scudieri li aspettavano all’esterno con scudi e elmi. I cavalli scalpitavano nelle stive e nei corridoi, e le donne e i bambini si rintanavano negli angoli con gli occhi che brillavano per la paura.
«Finalmente ci siamo!», esclamò Sir Roger.
Era spaventoso vederlo così infantilmente allegro, mentre tutti gli altri deglutivano a fatica e sudavano a tal punto da far puzzare l’aria. Ma un combattimento, sia pure contro le potenze dell’Inferno, era qualcosa che era in grado di comprendere.
«Fratello Parvus, chiedi al prigioniero in che punto del pianeta ci troviamo.»
Rivolsi allora la domanda a Branithar e questi toccò un pulsante, facendo illuminare uno schermo fino a quel momento buio, sul quale comparve una mappa.
«Non ci troviamo nel punto in cui si incrociano i fili collimatori», ci disse. «La mappa si srotolerà man mano che andiamo avanti.»
Confrontai la mappa con la carta che avevo in mano.
«La fortezza chiamata Ganturath sembra trovarsi ad un centinaio di miglia a nord-nord-est, Milord.» dissi.
Branithar che ormai aveva imparato un po’ d’inglese, annuì.
«Ganturath è solo una base di secondaria importanza.» A questo punto dovette passare al Latino per meglio sostenere le sue vanterie. «Tuttavia ci sono di stanza numerose astronavi e sciami di aerei. In quanto alle armi da fuoco di terra, possono disintegrare questo vascello, mentre i loro schermi di energia impediranno alle scariche delle nostre armi di passare. Meglio che vi arrendiate.»
Quando ebbi tradotto, Sir Owain osservò lentamente:
«Potrebbe essere la cosa più saggia da fare Milord.»
«Cosa?», strepitò Sir Roger. «Un inglese che si arrende senza battersi?»
«Ma pensate alle donne, Milord, ed a quei poveri bambini!»
«Io non sono ricco,» disse Sir Roger, «e non posso permettermi di pagare un riscatto.»
Si assise quindi sul sediolo del pilota con tanto di armatura addosso e toccò i comandi manuali.
Sugli schermi che ci permettevano di vedere in basso, vidi la terra che scivolava via lentamente sotto di noi. I suoi fiumi e le sue montagne ricordavano quelle di casa nostra, ma le tinte verdi della vegetazione avevano una strana sfumatura azzurrina. La campagna sembrava incolta. Di tanto in tanto comparivano delle costruzioni tondeggianti, in mezzo ad enormi campi di grano coltivati da macchine, ma per il resto l’uomo era del tutto assente, come nella Foresta Nera. Mi chiesi se per caso anche questa fosse la riserva di caccia di qualche Re, poi ricordai che Branithar aveva accennato alla rada popolazione dell’Impero Wersgoriano.
Una voce ruppe improvvisamente il silenzio con un profluvio di parole nella sgraziata lingua dei musi azzurri. I suoni provenivano da un piccolo strumento nero inserito sul pannello principale.
«Ah!», esclamò Red John sguainando il pugnale. «Per tutto questo tempo abbiamo avuto a bordo un clandestino! Datemi una sbarra di ferro, Milord, e lo sniderò io da là dentro!».
Branithar intuì quanto il gigante aveva detto, quindi scoppiò in una risata sonora che gli salì dal profondo di quella sua gola azzurra.
«Quella voce arriva da lontano, portata da onde simili a quelle della luce, ma più lunghe.» disse.
«Bé, siamo stati rilevati da un osservatore della Fortezza di Gantarath.»
Sir Roger fece un breve cenno d’assenso quando ebbi tradotto.
«Le voci provenienti dal nulla sono niente in confronto a quanto abbiamo già visto.» osservò. «Cosa vuole quel fellone?».
Io ero riuscito a cogliere solo poche parole, ma ne avevo compreso il senso, minaccioso. Chi eravamo? Questo non era lungo riservato all’atterraggio dei vascelli da esplorazione. Perché eravamo entrati in una zona vietata?
«Calmati,» diedi istruzione a Branithar, «e ricorda che io capirò se intendi tradirci.»
Branithar si strinse nelle spalle come se fosse divertito, ma anche la sua fronte era coperta da un velo di sudore.
«Astronave 587-zin in fase di rientro.» disse. «Messaggio urgente. Ci fermeremo sopra alla base.»
La voce diede il suo assenso, ma avvertì che, se ci fossimo abbassati a meno di uno stanthax (circa mezzo miglio) saremmo stati distrutti. Avremmo dovuto rimanere immobili finché non fosse salito a bordo l’equipaggio della pattuglia aerea.
Ormai Ganturath era visibile: si trattava di una massa compatta di cupole e semicilindri in muratura sopra scheletri d’acciaio, come scoprimmo più tardi, che formava un cerchio dal diametro di circa mille piedi. Mezzo miglio più a nord, si stendeva un piccolo agglomerato di edifici e, attraverso uno schermo visore da ingrandimento, vedemmo che da questo agglomerato spuntavano le bocche di enormi bombarde da fuoco.
Mentre ci fermavamo, una pallida luminescenza si levò attorno a tutti i lati della fortezza. Branithar ce la indicò col dito.
«Quelli sono gli schermì difensivi. I vostri colpi si smorzerebbero contro di loro senza far danno. Ci vorrebbe un colpo furtunato per fondere una di quelle bocche da fuoco, là dove escono fuori dallo schermo, ma voi siete un bersaglio troppo facile.»
In quel momento si avvicinarono diversi apparecchi metallici a forma d’uomo, che sembravano moscerini di fronte alla massa enorme del nostro Crusader. Poi ne vedemmo altri levarsi dal suolo, dalla parte principale della fortezza.
La bionda testa di Sir Roger fece un cenno d’assenso.
«È proprio come pensavo!», osservò. «Quegli schermi potranno anche fermare un raggio di fuoco, ma non un oggetto materiale, visto che quelle barche sono riuscite ad attraversarlo.»
«È vero.» ribatté Branithar per mio tramite. «Voi potreste anche riuscire a sganciare qualche bomba, ma la parte più lontana, quella dove si trovano i cannoni, vi distruggerebbe.»
«Aha!» Sir Roger studiò il Wersgor con occhi che erano diventati gelidi. «Così possedete anche granate esplosive, eh? Indubbiamente ne avrete a bordo. E non me l’hai detto! Ne riparleremo più tardi.» Indicò col pollice Red John e Sir Owain. «Bene: voi due avete ormai visto la disposizione del suolo. Adesso tornate dagli uomini e preparatevi ad uscire quando toccheremo terra.»