Rimase seduto immobile alcuni minuti finché fu sicuro che non ci fosse nessuno nei paraggi. Era passata quasi una settimana dall’ultimo viaggio, e lui aveva la sensazione che quello fosse il momento giusto. Le vene gli pulsavano per l’eccitazione (uno dei fattori determinanti degli attacchi di emicrania) e l’attività elettrica del suo cervello era superiore al normale, provocando un senso di esultante tensione. Il cambiamento quasi psichedelico delle percezioni, ben noto a chi soffre di emicrania e che compare ai primi sintomi di un attacco, influenzava la sua coscienza, circondando gli oggetti intorno a lui di un alone di… tristezza, pericolo incombente, intossicazione. Appena fu sicuro che non c’era nessuno nei paraggi, Breton scese dall’auto, nascose il fucile sotto l’impermeabile e lo tenne fermo, reggendolo attraverso l’apertura della tasca interna. La brezza notturna lo assalì da tutte le parti, esplorando il suo corpo come le dita di un cieco, mentre camminava goffamente a causa del fucile nascosto.
I primi disturbi visivi si manifestarono mentre si avvicinava all’ingresso della Cinquantesima Strada. Un fuggevole baluginio di luce tremolò nel campo visivo dell’occhio destro, allargandosi via via fino a trasformarsi nelle forme geometriche. Breton era contento che non fosse comparsa la stella nera: infatti, le forme di fortificazione si sviluppavano più lentamente, concedendogli più tempo.
Breton entrò nel parco dirigendosi verso la parte centrale lungo i vialetti, su cui le foglie cadute si arrotolavano con scricchiolii metallici. Poca gente, coppiette per lo più, era seduta sulle panchine nelle vicinanze dei viali illuminati, ma lui si allontanò dai prati della zona centrale e fu inghiottito dal buio anonimo in pochi secondi. Sfilò il fucile da sotto l’impermeabile e lo sollevò all’altezza del viso, per controllare l’efficienza del congegno a raggi infrarossi; ma l’occhio destro era reso inservibile dal luccichio di forme colorate e lui ricordò che non gli restava che fidarsi dell’esito delle prove fatte in precedenza. Le abbaglianti luci colorate avevano raggiunto il massimo dello splendore, quando arrivò ai tre olmi.
Si fermò a una trentina di metri dal triangolo formato dagli alberi, sfilò il braccio sinistro dalla cinghia del fucile, e si mise in ginocchio nella posizione classica del tiratore. La terra umida formava una chiazza ovale di gelo sulla sua gamba. “Sono pazzo” pensò, ma intanto sentiva la sua voce sussurrare continuamente il nome di Kate. Toccò la tesa del cappello e un sordo ronzio si levò mentre le batterie ad alto potenziale legate al suo corpo cominciavano a emettere energia. Contemporaneamente, la siringa automatica collegata al circuito iniettò una scarica di kinina nella zona rasata sopra la tempia destra. Sentì chiaramente la puntura fredda dell’ago, poi il dolore si diffuse languidamente nella testa, mentre la sostanza entrava in circolo nelle arterie cerebrali. Breton notò vagamente che non c’era nessuno in giro e che tutte le sue precauzioni per non esser visto erano state inutili… Poi la girandola di prismi colorati cominciò a ritrarsi, a rimpicciolire. Era venuto il momento. “Kate” gridò “Kate!”
…lei avanzava incerta nel buio, con l’abito azzurro e la mantella argentata che parevano fosforescenti. Una forma nera si muoveva dietro l’arco irregolare formato dagli olmi, tenendosi curva, simile a un orribile uccello da preda. Si avvicinò a Kate, con le braccia alzate, e lei gemette di paura. Breton inquadrò nel mirino la sagoma nera, ma le sue dita indugiarono sul grilletto. I due corpi erano vicinissimi… e se il proiettile li avesse trapassati tutti e due? Sollevò leggermente il braccio e sparò istintivamente quando comparve all’incrocio del reticolo la testa dell’assalitore. Il fucile rinculò contro la sua spalla e la testa nera non era più una testa…
Breton rimase a lungo con la faccia schiacciata contro un microcosmo di radici d’erba. La canna del fucile, sotto la sua mano, emanava il calore dell’unico colpo sparato; poi si raffreddò. Ma lui non era ancora in grado di muoversi. Era in preda a una spossatezza talmente intensa che gli occorreva uno sforzo immane per riuscire a formulare un pensiero.
“Da quanto tempo sono qui?” si domandò. Era tormentato dalla paura che sopraggiungesse qualcuno e lo trovasse, ma si sentiva come intrappolato in un corpo morto.
Anche la sua mente era diversa.
Il fantastico orgasmo cerebrale di quel viaggio aveva scaricato potenziali e allentato pressioni. “Il grande viaggio!” Ce l’aveva fatta, pensò, con un lampo di soddisfazione… Otto anni di lavoro indefesso avevano avuto il loro attimo di ricompensa. Era riuscito a valicare l’implacabile fiume del tempo e…
“Kate!”
L’incredibile consapevolezza si riversò in lui provocando il primo movimento involontario dei suoi arti. Sollevò le mani al di sopra delle spalle, e le riabbassò a terra. L’atto di rialzarsi fu un procedimento lungo e complesso, e le sue gambe, alla fine, faticarono a reggere il peso del corpo. Tornò a nascondere il fucile sotto l’impermeabile, e si allontanò. Non c’era nessuno vicino ai tre olmi, ma non se ne stupì. L’uomo a cui aveva sparato era stato trovato e portato via otto anni prima, e cosi pure Kate, che ora doveva essere a casa. “Il posto adatto a una donna è la casa” pensò Breton mettendosi a correre, barcollando sulle ginocchia molli. Quel folle stato di esaltazione durò finché non fu arrivato all’ingresso del parco e non vide le coppie di globi bianchi dei lampioni. Fu un pensiero a farlo cessare.
“Ma” gli sussurrò all’improvviso una voce “se Kate è a casa, cosa ci fai tu nel parco col fucile?
“Se è viva, come puoi ricordare il suo funerale?”
Più tardi, quando era ancora sull’orlo della follia, guidò fino al retro della sua vecchia casa. I nuovi proprietari non vi erano ancora andati ad abitare, e il cartello IN VENDITA non era stato tolto dal giardino, illuminato dai lampioni stradali. Breton provò l’impulso irresistibile di entrare in casa, ma poi premette il pedale dell’acceleratore e la vecchia Buick si slanciò con un sobbalzo lungo il viale deserto. Tutte le altre case erano illuminate.
Breton andò in un bar all’estrema periferia a nord della città, proprio dove cominciava la prateria e le erbe si strusciavano contro le porte come cani affamati. Seduto davanti al lungo banco, ordinò un whisky, il primo dopo l’ubriacatura d’incubo di otto anni prima, e fissò le profondità ambrate del liquido. Perché non aveva previsto quello che sarebbe dovuto accadere? Perché la sua mente si era spinta così lontano sulla sua strada solitaria, per fermarsi all’ultimo passo?
Lui era tornato indietro nel tempo, aveva sparato a un uomo, ma niente di tutto questo aveva mutato la realtà della morte di Kate. Breton immerse un dito nel liquore e disegnò una retta sul rivestimento di plastica del banco. Rimase un momento a fissarla, poi ne disegnò una seconda, che si biforcava dalla prima. Se la prima linea rappresentava la corrente di tempo in cui lui viveva e in cui nulla era cambiato, allora i pochi secondi che aveva rubato al passato erano trascorsi sulla linea divergente. Quando era passato l’attimo in cui aveva ucciso, era tornato al presente, nella sua corrente temporale. Invece di portare Kate in questa corrente ne aveva evitato la morte nella corrente divergente.
Breton beve un sorso, sforzandosi di assimilare la convinzione che sua moglie era viva, “da qualche parte". Guardò l’ora. Quasi mezzanotte. Kate doveva essere a letto, o forse stava bevendo una tazza di caffè insieme a suo marito, l’altro Jack Breton. Il suo viaggio nel passato aveva costituito una nuova corrente temporale e creato un nuovo universo nella sua interezza, in cui non mancava neppure il duplicato di se stesso. Quest’altro universo aveva le sue città, i suoi continenti, i suoi oceani, i pianeti, le stelle, le galassie che si allontanavano, ma niente di tutto ciò aveva importanza per lui. Contava solo il fatto di aver dato a Kate un’altra vita… unicamente per doverla dividere con un altro uomo. Ed era sbagliato dire che quell’altro uomo era lui stesso, perché la personalità di un individuo è formata dalla somma delle sue esperienze, e l’altro Breton non aveva guardato la faccia di Kate morta, non aveva dovuto sopportare il rimorso della colpa, o dedicare otto anni della sua vita all’idea fissa che aveva portato alla ricreazione di Kate Breton.