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— Una scelta!

— Ma non è una scelta vera, John. Nove anni ci hanno cambiato entrambi. Siamo due uomini diversi, e ognuno di noi vanta delle pretese su Kate. Ho l’intenzione di fermarmi qui un paio di settimane, finché lei non si sarà abituata all’idea, e poi…

— Sei pazzo! Non puoi importi così in casa nostra!

L’improvviso scatto d’ira di John sorprese Jack. — Perché no? A me sembra una proposta ragionevole.

— Ragionevole! Piombi qui come un fulmine a ciel sereno…

— Sono già apparso qui nella stessa maniera un’altra volta, e Kate ha avuto modo di essermene grata — lo interruppe Jack. — Forse ho ancora qualcosa da offrirle. Non mi pare che voi due andiate molto d’accordo.

— Questo è affar nostro.

— Sono d’accordo… Tuo, mio e di Kate. È affar nostro, John.

John Breton balzò in piedi, ma Kate rientrò in soggiorno prima che lui facesse in tempo a parlare. Allora le voltò la schiena, e smosse con un piede le braci. Miriadi di scintille color topazio sparirono roteando nella gola buia del camino.

— L’ho trovato — disse con voce atona Kate tendendo le mani su cui erano posati due fermacravatte d’oro identici. — Sono uguali, John. Li riconosco. Li ho fatti io.

— Sei contento, adesso? — chiese John con amarezza, fissando le pietre colorate del caminetto. — Il fermacravatte l’ha convinta. Chiunque, con un buon travestimento, potrebbe farsi passare per me, ma lei sa che nessuno potrebbe mai riprodurre una cosa cosi complicata come il suo stramaledetto fermacravatte!

— Non è il momento di fare i bambini — disse Kate, lanciando a John un’occhiata piena di disprezzo che andò completamente perduta perché lui non si voltò.

— Siamo tutti stanchi — disse Jack. — Io dormirei volentieri.

Kate gli si avvicinò esitando, porgendogli il fermacravatte. Le loro dita si sfiorarono un attimo, e Jack si sentì invadere dal desiderio irrefrenabile di circondare con le braccia quel corpo così dolorosamente noto. I loro sguardi s’incontrarono e restarono avvinti per un istante, formando un asse intorno a cui il resto dell’universo roteò come le nuvole in un vortice di vento. Prima che lei si voltasse, a Jack parve di aver letto nei suoi occhi la compassione e il perdono a cui aveva tanto anelato in tutti quei nove anni.

Più tardi, alla finestra della stanza degli ospiti, Jack pensava: “Una settimana. È quanto mi sono proposto di aspettare. Dopo una settimana, potrò prendere il posto di John Breton senza che nessuno, all’infuori di Kate, possa accorgersene".

Mentre stava per allontanarsi dalla finestra, il buio della notte fu solcato improvvisamente da una pioggia di frammenti luminosi di stelle cadenti.

Jack andò a letto e cercò di dormire, ma si ritrovò a guardare continuamente la finestra in attesa di un’altra pioggia di stelle, e con un senso di disagio nel cuore.

Infine si alzò, chiuse le tende, e si lasciò sprofondare nel caldo oceano nero del sonno.

5

John Breton aprì gli occhi lentamente nella soffusa luce ambrata del mattino aspettando, in una sorta di piacevole terrore, che la coscienza di se stesso lo investisse come un’ondata. “Quel rettangolo pallido e luminoso, cos’è? La finestra della camera da letto in penombra? Un aspetto ignoto dell’anima disincarnata?” Talora aveva la convinzione che, ogni volta, il sonno notturno portasse un dissolvimento della personalità, e che l’accurata ricomposizione, al mattino, dipendesse unicamente dal fatto che gli venissero forniti gli indizi giusti. Se si fosse svegliato in un ambiente diverso, con oggetti sconosciuti… Be’, in questo caso anche la sua vita sarebbe stata diversa, senza che lui se ne rendesse conto.

Ci fu un movimento nel letto accanto al suo, e lui si voltò da quella parte. Vide il viso sognante di Kate…

Breton si svegliò del tutto, ricordando gli eventi della sera prima e l’arrivo di Jack Breton. Quell’uomo era una versione più magra, più trasandata, più tesa, di lui stesso. Era una nullità, un fallito che, a quanto pareva, non trovava per niente strana l’idea di chiedere a un uomo e a sua moglie di accoglierlo nella loro casa, proponendo per di più un progetto così assurdo.

Dunque, secondo lui, Kate avrebbe dovuto scegliere fra loro due!

Breton cercò di ricordare perché non aveva affondato il pugno in quella faccia così familiare. Era ubriaco, certo, ma c’era anche dell’altro. C’entrava forse il modo con cui, almeno apparentemente, Kate aveva accettato l’idea, pur fingendo di non prenderla sul serio?

O era perché quel fantastico schema s’incastrava nelle falle del loro matrimonio? Lui e Kate erano sposati da undici anni, e avevano avuto i loro alti e bassi, come tutti, ma anche qualcosa di più, e di più significativo… un allontanamento progressivo l’uno dall’altra. Erano arrivati al punto, ormai, che potevano raggiungersi solo affilando coltelli sempre più lunghi. Pareva che più denaro guadagnasse, più Kate ne pretendesse; così, lui lavorava sempre più accanitamente, mentre lei diventava sempre più lontana e indifferente. Era un circolo vizioso e sterile.

La venuta di Jack Breton poteva offrire una soluzione facile e tranquilla. Kate e Jack potevano andarsene insieme; oppure, e quest’idea serpeggiò piacevolmente nel suo cervello, poteva togliersi di mezzo lui, piantandoli in asso. Poteva prelevare del denaro in banca e andarsene da qualche parte: in Europa, in Sudamerica, anche sulla Luna, se voleva. Buzz Silvera, nella sua ultima lettera dalla Florida, scriveva che avevano bisogno di un tecnico competente disposto a recarsi laggiù.

Breton giaceva nel suo caldo bozzolo elaborando pigramente il progetto, quando si rese conto in ritardo che non si trattava di una fantasia, che l’altro se stesso esisteva e lui avrebbe dovuto affrontarlo faccia a faccia per molti giorni a venire. Breton scese rabbrividendo dal letto, infilò la vestaglia e andò a far colazione.

Kate Breton tenne gli occhi chiusi finché John non fu uscito. Poi, senza alzarsi, mosse le gambe come se pedalasse, finché le coperte non formarono un mucchio disordinato in fondo al letto; e lei rimase nuda, bianca come il soffitto della camera. Rimase immobile per qualche istante, chiedendosi se John era in bagno o giù al pianterreno. Avrebbe potuto rientrare da un momento all’altro e l’avrebbe scoperta così, volutamente nuda. Ma non sarebbe successo niente. ("Antropologicamente parlando, tu non sei a posto” le aveva detto pensoso, un mese prima. “La femmina è caratterizzata da sporgenze coniche, e le tue sono cilindriche.")

“Jack Breton non avrebbe mai detto una cosa simile” pensò Kate, ricordando la figura sottile, trasandata, con gli occhi di uno Swinburne dei nostri tempi. Quell’uomo emanava un’intensità di sentimenti che, sebbene lei si sforzasse di mantenere un distacco mentale, cominciavano a ridestarle intimamente un’attrazione invadente e irrefrenabile. Jack Breton era l’archetipo dell’eroe romantico, che sacrifica la propria vita per raggiungere un ideale impossibile. E, dietro quella faccia segnata dal dolore, c’era “qualcosa” che lo aveva spinto a sfidare e dominare il tempo, per amore di lei, Kate Breton. “Sono unica” pensò, con gratitudine.

Il senso di eccitazione provocato del suo egocentrismo, simile a un ciclone emotivo, aumentava sempre più, provocandole lunghi brividi giù per la schiena. Kate si alzò e rimase a lungo a guardarsi nello specchio.

Jack Breton, vestito col suo abito grigio da mattina, era alla finestra della stanza degli ospiti. Il mondo del Tempo B. Si rese conto che dovevano esserci delle differenze visibili nelle due correnti temporali, oltre a quella, essenziale, dell’esistenza di Kate. In questo mondo, un assassino psicopatico era stato ucciso in circostanze strane, che dovevano certamente aver alterato alcune cose, specie per quanto riguardava le probabili vittime future che non ci sarebbero state più. C’era anche il fatto che nel mondo del Tempo B l’azienda di consulenza tecnica di Breton aveva prosperato nelle mani di John, offrendogli l’opportunità di influenzare gli eventi in modo forse a volte significativo. Jack prese mentalmente nota di cercare e rammentare quelle differente per abituarcisi, in modo da poter prendere il posto di John Breton, senza che capitassero guai.