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Guardò le sagome scure dei faggi nel giardino sul retro della casa, mentre pensava al modo di sbarazzarsi del cadavere. A parte il problema puramente materiale, doveva tener conto di una questione più delicata: la reazione di Kate. Se lei avesse sospettato, sia pure per un attimo, che lui aveva ucciso John, sarebbe stata la fine. Doveva riuscire a persuaderla che John aveva volontariamente deciso di scomparire dalla sua vita e, se questo progetto non fosse andato in porto, bisognava disporre le cose in modo da farle credere che era morto in un incidente.

Gli occhi di Jack si posarono sulla piccola cupola argentea visibile al di là del filare di faggi. Dunque, John ce l’aveva fatta a costruire un osservatorio in giardino, cosa che lui aveva sempre desiderato, senza mai riuscirci. L’altro se stesso invece aveva raggiunto lo scopo; aveva vissuto con Kate e aveva fatto tante cose.

In preda a un senso di freddo e di desolazione, Jack Breton rimase ancora un poco davanti alla finestra, fin quando non sentì qualcuno muoversi per casa. Arrivava anche un leggero profumo di caffè e di pancetta fritta. Uscì, e scese in cucina. Sebbene fosse ancora molto presto, Kate era già vestita di tutto punto, con una maglietta color nocciola e una sottana bianca. Quando Jack entrò, stava deponendo dei piatti sul tavolo di cucina. La sua vista gli bloccò il cuore, che poi si mise a battere a colpi violenti, spasmodici.

— Buongiorno, Kate — disse. — Posso esserti utile in qualche cosa?

— Oh… salve. No, grazie. — Lui si accorse che una chiazza rosa le si era accesa sugli zigomi.

— Ma non dovresti sprecare il tempo nei lavori di casa — le disse con scherzosa galanteria.

— Puoi tranquillizzarti, su questo punto — disse John, in piedi vicino alla finestra, e solo allora Jack si accorse della sua presenza. — Abbiamo una “cuoca-tuttofare” che funziona da bastione protettivo tra Kate e le necessità domestiche. A proposito, a che ora viene la signora Fitz?

— Oggi non viene — rispose brusca Kate. — Le ho telefonato poco fa per dirle che non avremo bisogno di lei per qualche giorno.

John non l’ascoltò. Stava appoggiato al davanzale della finestra, dov’era posata una radio, chiaramente in attesa di sentire qualche cosa. Jack lo ignorò e tornò a rivolgersi a Kate.

— Ecco — disse sorridendo — devi lavorare per colpa mia! Quindi sono costretto ad aiutarti.

— È già tutto pronto. Mettiti a sedere, per favore.

Gli occhi di Kate incontrarono per un istante i suoi, e lui fu lì lì per prendere quello che gli apparteneva. Invece ubbidì e si sedette al tavolo, mentre il suo istinto protestava deluso. La spossatezza della sera prima era scomparsa, e una volta di più aveva la mente piena del meraviglioso piacere di vedere Kate viva. Era viva, calda, reale; circondata dell’aura del suo significato emotivo, ancor più miracoloso dell’infinito stellato dell’universo di Tempo B…

Le dita di John Breton girarono la manopola che regolava il volume, e la voce dell’annunciatore invase la cucina, provocando una smorfia seccata sul viso di Kate.

— Occorre proprio tenere la radio così alta?

— Taci un momento!

— Non capisco perché…

— Sta’ un po’ zitta! — John girò il pulsante al massimo e la voce dell’annunciatore tuonò, alterata dalle distorsioni elettroniche.

“…continua ora nell’emisfero orientale. Un portavoce dell’osservatorio di Monte Palomar sostiene che la pioggia di meteoriti è stata la più imponente della storia, e non dà segno di voler finire. Servizi televisivi da Tokyo, dove il fenomeno è attualmente al culmine, verranno trasmessi sulle reti principali non appena sarà riparato il guasto al satellite delle comunicazioni, guasto che si è verificato alcune ore fa.

“Il signor C.J. Oxtoby, presidente della ‘Ustel’, la principale agenzia che si occupa della manutenzione dei satelliti, ha escluso, in un precedente rapporto, che i satelliti Courier possano aver deviato dall’orbita sincrona. Un’altra spiegazione possibile per il guasto verificatosi la scorsa notte, e che ha già sollevato numerose lamentele e reclami da parte di molti utenti civili, è che i satelliti siano stati colpiti da qualche meteorite.

“E ora, passando agli avvenimenti locali, sono state sollevate obiezioni al sistema proposto di…”

John Breton spense la radio.

— Il mondo continua ad andare avanti — commentò, quasi in tono di sfida. Sembrava quasi volersi giustificare per non aver trovato niente di importante da dire sull’argomento triangolo John-Kate-Jack. Jack si chiese distrattamente con chi mai avesse inteso scusarsi.

— Ma certo che va avanti. Mangia, e non pensarci troppo. — Jack si divertiva enormemente nel constatare che l’altro se stesso si preoccupava per questioni di nessun conto.

— Questa faccenda delle stelle cadenti non mi va — disse John mettendosi a sedere. — Ieri è stata una giornata infernale. Prima una ricerca gravimetrica andata a pallino, poi la visita dei Palfrey, poi ancora ho bevuto più whisky di quanto ne avessi voglia e ho fatto un viaggio come non ne facevo da anni… Adesso anche le stelle che fanno gli scherzi, e, come se non bastasse…

— Sono arrivato io — concluse per lui Jack. — So che è stato un colpo per te, ma non dimenticare che ho il diritto di essere qui. Ne abbiamo discusso stanotte, ed è tutto sistemato.

— "Tu” hai sistemato tutto — borbottò sgarbatamente John. — Io non riesco neppure a parlare di queste cose con Kate, con te fra i piedi.

— Cosa c’è da dire? — osservò Jack Breton continuando a mangiare di gusto.

La forchetta di John tintinnò contro il piatto. Poi John rimase per un momento a fissare il piatto, con le spalle curve, e infine sollevò gli occhi e guardò Kate con aria disgustata.

— Allora, cos’hai deciso? Hai già valutato i pro e i contro nei nostri riguardi?

— Non guardarmi così — scattò lei, con voce vibrante di collera. — In questa casa, sei tu l’uomo, e se non ti va di avere Jack tra i piedi, perché non fai qualcosa di concreto?

— Qualcosa di concreto? Io? Tocca a te farlo, lo ha detto Jack. Basta che tu gli dica di andarsene perché preferisci restare con me. Tutto qui.

— Mi sembra che tu voglia rendere le cose difficili — disse Kate. — Lo fai apposta?

— Bene, Kate! Mi piace come hai reagito — commentò John tornando serio di colpo.

Kate mosse le labbra senza dir niente, portandosi alla bocca la tazzina verde del caffè e scoccando al marito una delle sue occhiate sprezzanti, drammatiche, infantili. “Che sentimento poco adatto, per sembrare più giovane” pensò Jack.

John Breton scostò il piatto, e si alzò. — Mi spiace dover interrompere l’interessante conversazione, ma c’è qualcuno che deve andare al lavoro.

— Non vorrai andare in ufficio! — disse Kate, urtata.

— Devo assolutamente andarci. E poi voi due avete molte cose da dirvi.

Jack nascose la propria sorpresa per l’apparente indifferenza dell’altro, che pur sapeva di dover perdere Kate. — Ce n’è proprio bisogno? Perché non lasci che se la sbrighi Hetty per qualche giorno?

John corrugò la fronte. — Hetty? Hetty chi?