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Convery fece voltare la Plymouth nel vialetto di cemento di casa sua, mancando per un pelo il triciclo del minore dei suoi figli.

— Sei in ritardo, caro. — Sua moglie Gina era al tavolo di cucina con le braccia infarinate; nell’aria tiepida aleggiava un allettante profumo di torta all’uvetta.

— Mi spiace — rispose lui — ma mi hanno trattenuto. — Sculacciò affettuosamente la moglie, si portò alla bocca un pezzetto di frutta candita e lo mordicchiò distrattamente.

— Blaize!

— Cosa c’è, cara?

— Sei stato di nuovo dai Breton?

Convery smise di masticare. — Perché me lo domandi?

— Tim mi ha detto che hai frugato nella sua collezione di fossili. Non trova più l’ammonite.

— Ehi! — rise Convery. — Credevo di essere io il poliziotto, in questa casa.

— Ci sei stato, sì o no?

— Mi sono fermato solo qualche minuto.

— Oh, Blaize, ma cosa penserà quella gente? — Si capiva che Gina Convery era preoccupata.

— E che cosa dovrebbero pensare? È stata una visita da amico.

— La gente non fa amicizia coi poliziotti che hanno indagato sul loro conto in un caso di omicidio. Specie gente con il denaro dei Breton.

— Non devi prendertela così, cara… John Breton e io andiamo perfettamente d’accordo.

— Oh, me l’immagino! — disse Gina mentre Convery passava in salotto. Il poliziotto si mise a sedere, prese una rivista e si mise a sfogliarla distrattamente. Qualcosa di strano, di molto strano, era accaduto nove anni prima ai Breton, e la visita di oggi era stata come un viaggio attraverso il tempo, che aveva messo a fuoco il punto sensibile. Oltre che dimagrito, Breton gli era parso invecchiato, anche se, in modo indefinibile, più giovane, meno esperto, meno sicuro di sé… Diverso insomma. “Sto diventando matto” pensò Convery. “Una sensazione non è una prova… a meno che questa telepatia di cui si parla tanto in questi giorni non si stia diffondendo davvero.”

Finì di sfogliare la rivista, ne prese un’altra, e la gettò via disgustato.

— Gina! — chiamò. — A che ora mangiamo?

— Verso le cinque… va bene?

— Benissimo. Devo uscire di nuovo.

Un attimo dopo, Convery si ritrovò seduto in mezzo a una nuvola di farina: sua moglie era entrata come una furia e gli agitava il pugno sotto il naso.

— Blaize Convery — sibilò inferocita — per uscire dovrai passare sul mio cadavere!

Convery guardò la faccia rosea e decisa, vagamente stupito. — Non capisco.

— C’è la festa per il compleanno di Tim… Per che cosa credi che stessi preparando quei dolci?

— Ma compie gli anni la settimana ventura — protestò Convery.

— Lo so. Però Kenneth li ha compiuti la settimana scorsa e li festeggiamo sempre insieme nella settimana intermedia — Gina lo guardava con aria accusatrice. — Ormai lo dovresti sapere!

— Lo so, cara, solo che l’avevo dimenticato. Senti, non credo che gliene importerà, anche se non ci sono, per una volta…

— Per una volta! Non c’eri neanche l’anno scorso, e nemmeno due anni fa. E stasera non ti muoverai di qui!

— Ma ho un lavoro da sbrigare.

— Non questa sera.

Convery guardò sua moglie negli occhi, e quel che vi lesse lo indusse a cedere, sorridendo per non perdere completamente la faccia. Quando Gina se ne fu andata, alzò esageratamente le spalle con un gesto teatrale, rivolto a nessun altro che a se stesso, e riprese la rivista. John Breton aveva aspettato nove anni: poteva aspettare ancora un po’.

10

Quando il telefono squillò, infrangendo il silenzio della casa, Breton corse a rispondere, ma poi rimase incerto con le dita strette sul ricevitore.

Due ore di solitudine, nella quiete ombrosa del pomeriggio, l’avevano riempito di vaghi presagi, alternati a momenti di eccitante trionfo. Era proprio il tipo di giornata in cui poteva aspettarsi da un attimo all’altro lo scintillio furtivo che precedeva un attacco di emicrania in piena regola. Ma nell’anno passato da quando aveva fatto il primo grande balzo, aveva avuto pochissimi viaggi, come se il potenziale nervoso si fosse scaricato, prosciugato. Adesso, non aveva altro nella testa se non un senso di imminenza, una consapevolezza di vita e di morte in equilibrio sul filo di una lama…

Sollevò il ricevitore, attese, senza parlare.

— Pronto. — La voce maschile aveva un leggero accento inglese. — Sei tu, John?

— Sì — rispose cauto Breton.

— Non ero sicuro che fossi già a casa. Ho chiamato in ufficio e mi hanno detto che te n’eri già andato… ma sono passati solo cinque minuti… Devi aver consumato i copertoni per arrivare a casa così in fretta.

— Ho corso un po’. — Breton cercò di parlare con voce normale. — Ma chi parla?

— Gordon, naturalmente. Gordon Palfrey. Senti, Kate è qui con noi. Miriam e io l’abbiamo incontrata al supermarket… Adesso te la passo.

— Bene.

Con uno sforzo, Breton riuscì a ricordare che i Palfrey erano quei tizi che si occupavano di scrittura automatica e che erano riusciti a entusiasmare anche Kate. Miriam era dotata di facoltà telepatiche, o così almeno pareva, e l’idea di doverle parlare lo metteva a disagio.

— Pronto, John? — Kate ansimava un po’, e dalla sua esitazione, capì che sapeva che non era John.

— Cosa c’è, Kate?

— John, Miriam mi ha detto delle cose fantastiche. In questi giorni sta ottenendo dei risultati meravigliosi. Sono eccitatissima.

“Come può?” pensò seccato Jack Breton. “Come può la mia Kate lasciarsi invischiare da gente simile?”

E ad alta voce disse: — Interessante. È per questo che mi hai chiamato?

— Sì. Miriam vuol dare una dimostrazione a qualche amico intimo, stasera, e mi ha invitato. Ti dispiace se vado direttamente a casa loro? Puoi sbrigartela senza di me per una sera?

Il fatto che Kate non stesse in casa nelle prossime ore si accordava perfettamente coi suoi progetti; tuttavia, la devozione di sua moglie per i Palfrey lo irritò. Solo il timore di comportarsi come l’altro Breton gli impedì di protestare.

— Kate — disse calmo — mi stai evitando?

— Ma no! Solo mi spiacerebbe perdere questa occasione.

— Mi ami?

Seguì un breve silenzio. — Non credevo che avessi bisogno di chiedermelo.

— Va bene. — Breton decise di passare all’azione. — Ma, Kate, ti pare una buona idea non tornare a casa, stasera? Non scherzavo parlando delle intenzioni di John, sai. È in uno stato d’animo per cui non mi stupirei se stasera stessa decidesse di andarsene e di scomparire.

— Sta a lui decidere. Tu avresti qualcosa in contrario?

— No, ma voglio che siate tutti e due sicuri di quel che fate.

— È una cosa a cui non posso pensare — disse Kate, con voce sommessa. — Questa situazione è più forte di me.

— Non. preoccuparti, cara — disse dolcemente Breton. — Va’, e divertiti. Risolveremo la situazione, in un modo o nell’altro.

Depose il ricevitore e pensò alla prossima mossa. Gordon Palfrey aveva detto che John era già uscito dall’ufficio; dunque, sarebbe arrivato a casa da un momento all’altro. Breton salì di corsa in camera a prendere la pistola. Per rendere plausibile l’ipotesi che John Breton avesse piantato in asso moglie e lavoro, bisognava liberarsi anche degli indumenti e di quelle cose che presumibilmente avrebbe dovuto portare con sé. Denaro! Jack Breton guardò l’ora. Ormai le banche erano chiuse. Esitò, domandandosi se Kate non si sarebbe insospettita scoprendo che John se n’era andato senza quattrini. Era probabile che non se ne accorgesse, per qualche giorno e magari per qualche settimana; ma alla fine l’avrebbe scoperto, e avrebbe trovato strana la cosa.