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Era ormai lontano dalla città quando ritornò in sé quel tanto che gli bastava a fargli controllare il piede destro e costringerlo a sollevarsi; e allora la grossa vettura rallentò la sua corsa da incubo. Restare ucciso in un incidente automobilistico a quel punto del progetto, sarebbe stato un vero peccato, anche se avrebbe avuto forse conseguenze interessanti. Non appena l’attività del suo sistema nervoso centrale fosse cessata, il modulo cronomotore inserito nel polso sinistro non avrebbe più avuto la fonte di energia che lo alimentava, e il suo corpo sarebbe svanito per tornare nel Tempo A.

La situazione sarebbe potuta diventare anche più intricata se la morte non fosse stata istantanea, ma fosse sopravvenuta a bordo dell’autoambulanza che lo trasportava all’ospedale. Gli infermieri come avrebbero potuto spiegarsi la scomparsa di un individuo?

Queste fantasie riuscirono a distendere abbastanza i nervi di Breton per permettergli di pensare costruttivamente a ciò che doveva fare nell’ora seguente. La successione dei fatti era semplice: uccidere John Breton, trasportare il cadavere sul luogo delle trivellazioni, e liberarsene riducendolo in polvere. Questo, in teoria. Ma se, tanto per dirne una, c’erano dei turni di notte, e una squadra fosse stata al lavoro…?

Soddisfatto di constatare che riusciva a ragionare ancora con lucidità, Breton cominciò a tenere d’occhio la strada dalla parte in cui aveva visto le installazioni per le ricerche nel sottosuolo. Rallentò, per essere sicuro che non gli sfuggisse l’insegna, e finalmente i fari illuminarono il grande cartellone grigio e bianco dell’Azienda di Consulenza tecnica Breton. Allora svoltò nel viottolo d’accesso, procedendo adagio fra i solchi lasciati dalle pesanti macchine, e sollevando nuvole di polvere con le ruote.

A meno di cinque minuti dall’autostrada, il viottolo sfociava in un ampio spiazzo dal fondo disuguale, dove erano al lavoro le trivelle. Breton zigzagò fra i mucchi di materiale finché i fari non illuminarono le torri delle trivellazioni. Non c’era anima viva, in giro. Soddisfatto, Breton fece dietrofront e, dopo pochi minuti, era di nuovo sull’autostrada.

Man mano che procedeva verso nord, la sua fiducia in se stesso aumentava. C’era stato un momento in cui aveva temuto che le cose si mettessero male, nel Tempo B, come se questo mondo volesse ribellarsi al suo creatore, ma la colpa era stata sua. Non aveva pensato che in nove anni di vita trascorsi da John e Kate lontano da lui, potessero essere maturati circostanze e stati d’animo da cui lui era escluso e che non aveva potuto prevedere…

Il cielo cupo fu improvvisamente illuminato davanti a lui da un vividissimo bagliore.

Un sole in miniatura tracciò un arco, dall’alto in basso, seguito da una scia di fuoco, e poi scomparve dietro un’altura incoronata di piante, a meno di un miglio di distanza. La luce abbagliante dell’esplosione fece stagliare i profili degli alberi, e poi un fragore tremendo inghiottì la macchina paralizzando Breton con una paura primordiale. La prima esplosione fu seguita da una serie di rombi che andarono diminuendo fino ad assumere il tono di grugniti e borbottii olimpici, che riempirono tutta l’atmosfera circostante.

Breton si ritrovò madido di sudore. Passarono alcuni secondi prima che tornasse padrone di sé, nel silenzio mortale che era seguito ai rombi. E allora, la sua capacità di ragionare di uomo del Ventesimo secolo riuscì a far capolino e a spiegargli che aveva assistito alla caduta di una meteorite. Imprecò tra i denti, e strinse più forte il volante tra le mani.

“Il cielo” pensò a un tratto, con una profonda frustrazione “mi è nemico.”

Raggiunse la cresta dell’altura, e, in lontananza, sulla sinistra, vide dei frammenti di fuoco color topazio che si levavano dal pendio erboso. Nel giro di pochi minuti tutta la zona sarebbe stata meta di una gran folla di curiosi. Breton conosceva la mentalità del cittadino medio del Montana: anche un fuocherello di sterpi era sufficiente per trascinarlo fuori dalla sua misera casa, ben felice di saper dove andare con la sua bella macchina nuova che, per quanto grande e veloce, non aveva le virtù di un tappeto magico nella vastità delle praterie.

Un avvenimento come la caduta di una meteorite avrebbe fatto accorrere gente da centinaia di miglia, e anche più, appena la radio avesse trasmesso la notizia. Questo voleva dire che il viaggio di ritorno su quella strada, con un morto nel portabagagli, sarebbe stato lento e difficoltoso, in mezzo a una marea di auto. C’era anche la probabilità che intervenisse la polizia istituendo posti di controllo. Breton ebbe una visione di uomini dal viso duro, in divisa blu, che aprivano il portabagagli, mentre era imbottigliato nel traffico, come aveva fatto il giorno prima il tenente Convery.

La prospettiva lo spaventò, e tuttavia pensava che, in un certo senso, quella meteorite gli aveva fatto un favore. Con un traffico intenso, sarebbe stato difficile infatti che qualcuno notasse i movimenti di una singola macchina. Accelerò un poco, per portarsi fuori dalla zona prima che cominciasse ad arrivar gente.

Il capanno sarebbe stato immerso nell’oscurità, quando vi giunse, se non fosse stato per la luce spettrale dell’aurora a nord e per la continua caduta di meteoriti che costellavano il cielo di frammenti simili a diamanti.

Breton scese dall’auto e si avviò a rapidi passi verso il capanno, tenendo una mano sulla tasca della giacca per evitare che la pistola gli sbattesse contro l’anca.

In quella luce mutevole, innaturale, le linee solide del capanno da pesca sembravano contrarsi, vacillare, espandersi come plasma gelatinoso. Una volta di più, Breton rabbrividì di freddo e si sentì mortalmente stanco. Aprì la porta ed entrò nel buio fitto: un impulso improvviso l’indusse a estrarre la pistola. Giunto in cima alla scala della cantina, esitò un attimo prima d’accendere la luce.

Il bagliore dapprima tremulo, e poi fisso, del tubo fluorescente illuminò John Breton disteso su un fianco in mezzo alla stanza. Gli abiti gualciti, sporchi e impolverati lo facevano sembrare morto, ma gli occhi erano vivi, intelligenti.

— Ho cercato di liberarmi — disse con naturalezza, mentre Jack scendeva i gradini — e a momenti mi tagliavo le mani.

Si contorse, per riuscire a mostrare i polsi, ma poi i suoi occhi si fissarono sulla pistola impugnata da Jack.

— Di già? — C’era più tristezza che paura, nella sua voce.

Jack si accorse di tenere la pistola seminascosta, e, con uno sforzo, la mise in vista.

— Hai intenzione di discutere?

— Sarebbe inutile! Che cosa otterrei? — John pareva convinto di godere di un qualche oscuro vantaggio psicologico.

— Bene. — Jack tolse la sicura e puntò l’arma. Non c’era nulla da guadagnare a perdere tempo.

— Ah, no! — esclamò John con un tremito nella voce. — Hai davvero intenzione di sparare?

— Devo. Mi spiace.

— Anche a me spiace. Per noi tutti.

— Riserva la compassione a te tesso.

Jack piegò il dito sul grilletto, ma questo sembrava rigido come un pistone idraulico, e i secondi passavano senza che nulla accadesse. John rimase immobile per un momento, poi la sua decisione di accettare l’inevitabile si frantumò: cominciò a contorcersi cercando di indietreggiare per porre la maggior distanza possibile fra se stesso e la canna della pistola. I suoi piedi slittavano sul cemento, mentre si sforzava di arretrare. Jack avanzò. Aveva passato la pistola nella sinistra e sentiva che il grilletto incominciava a cedere.

D’un tratto, una ventata gelida investì Jack Breton, che si volse e per poco non sparò, in preda al panico. Un oggetto fantomatico, trasparente, stava sospeso a mezz’aria, a pochi metri da lui. Breton fece una smorfia quando riconobbe la ben nota sagoma bilobata.