Un cervello umano.
Mentre guardava, una colonna vertebrale si materializzò sotto il cervello privo di sostanza, seguita da un intrico nebuloso di linee più sottili che andavano diramandosi, finché, nel giro di un secondo, l’oggetto venne a somigliare a un modello tridimensionale, in plastica, del sistema nervoso umano.
Seguì poi una seconda ventata gelida, e Jack Breton si ritrovò poi a fissare, paralizzato, il viso di un altro uomo.
“Anch’io dovevo essere così” pensò Jack Breton in quel primo istante di orrore. “Anch’io dovevo essere così, quando andai all’appuntamento sotto i tre olmi…” Un cervello nudo che si materializzava nel buio; terribile, pulsante, repellente, col sistema nervoso che si diramava verso il basso come un fungo in rapida crescita, finché non si ricoprì tutto di carne. Era un aspetto del cronomoto che non aveva mai preso in considerazione. L’arrivo, e…
I particolari a cui stava pensando vennero cancellati da un’improvvisa constatazione densa di significato.
— Metti via quella pistola, Jack.
Lo sconosciuto parlava con voce atona, disumana, ma perentoria. Si avvicinò a Jack Breton e la luce del tubo al neon lo investì in piena faccia. La prima impressione di Breton fu che la Natura avesse commesso un tremendo sbaglio nel fabbricare quel volto… Pareva che avesse un solo occhio, e due bocche!
Anche quando ebbe messo a fuoco tutte le sue facoltà visive e intellettuali dovette ammettere che, in quella faccia, c’era realmente un occhio solo. Al posto del bulbo oculare c’era un’orrenda cavità, e nessun tentativo era stato fatto per mascherarla o rimediare al difetto. La palpebra superiore e quella inferiore si congiungevano in un sorrisetto sardonico che faceva il paio con quello che arcuava le labbra dello sconosciuto.
Breton notò chiazze di capelli grigi sopra il cranio, una pelle molto grassa, e degli abiti trasandati di stile mai visto… Ma, più di tutto, la sua attenzione fu attratta dalla seconda fantomatica bocca.
— Chi… — riuscì a dire a fatica. — Chi sei?
La risposta non venne dallo sconosciuto, ma dal pavimento.
— Non lo riconosci, eh, Jack? — John Breton parlava con distacco, ma con un tono come di rimprovero. — Sei tu!
— No! — Jack Breton arretrò, puntando istintivamente la pistola. — Non è vero.
— Ma lui è vero. — Il tono di John adesso era vendicativo. — Questo è un aspetto della complessa faccenda dei viaggi nel tempo in cui io sono molto più esperto di te, Jack. Non mi hai mai concesso il merito di averti riconosciuto e accettato senza dubbi ed esitazioni, quella sera.
— Non discutete! — La voce dello sconosciuto era stanca, ma autoritaria, come quella di un imperatore morente. — Non mi ero reso conto che voi due foste tanto puerili… e c’è pochissimo tempo.
— Mi vuoi slegare? — domandò John Breton, cercando di alzarsi in piedi.
— Non c’è tempo — disse lo sconosciuto, scuotendo la testa. — Non ricorrerò alla violenza e non farò nulla che possa far precipitare la violenza. Posso servirmi solo delle parole.
— Vi ho chiesto chi siete — insisté Jack Breton.
— Sai benissimo chi sono. — Lo sconosciuto pareva sempre più stanco, come se gli stessero venendo meno le forze. — Quando hai progettato di trasferirti in questa corrente temporale, ti sei autodenominato Breton A, e hai dato a John il nome di Breton B. A me, queste etichette non piacciono, perciò preferisco farmi chiamare Breton Senior. È molto più appropriato.
— Potrei passarti da parte a parte con una pallottola — gli fece notare Jack, più che altro per vincere lo sgomento che lo attanagliava.
— Perché dartene la pena? Anche tu hai fatto un viaggio a ritroso nel tempo e sai bene quali effetti abbia sul sistema nervoso. Devi sapere che posso sopportare questo sforzo solo per un periodo brevissimo, dopo di che verrò risucchiato indietro per riempire il vuoto temporale che ho creato nel mio tempo.
Breton annuì ricordando com’era rimasto inerte bocconi sull’erba dopo aver sparato a Spiedel. E si era trattato di un balzo solo di pochi secondi. Cercò di immaginarsi cosa avrebbe dovuto passare Breton Senior nel tragitto di ritorno, ma la sua mente turbinava già di domande formulate a metà…
— Sei stato capace di fare quel balzo perché, oltre a possedere un’insolita struttura cerebrale, avevi il bisogno assoluto di tornare indietro a correggere un errore. Ma questa possibilità ti ha portato a commettere un errore ancora più grande. Un errore che ha due aspetti completamente diversi; uno personale e uno universale. — La voce dell’uomo tremava un poco. La strana figura si avvicinò al banco da lavoro e vi si appoggiò. La rigidità dei suoi movimenti ricordò a Jack Breton quanto gli fosse stato penoso e difficile camminare con quel reticolo di cavi incollati alla pelle.
— L’errore personale — continuò Breton Senior — è consistito nel non imparare a continuare a vivere rassegnandoti alla morte di Kate, e accettandone la tua parte di responsabilità. Molti vengono colpiti da una tragedia, ma la prova del loro valore come esseri umani si vede dalla loro capacità di superare la tragedia e trovare nuovi significati alla vita.
— Non ti sembra di citare un articolo del Reader’s Digest?
— Può darsi. Anzi l’avevo pensato. Ma anche tu, benché ti rifiuti di ammetterlo, hai cominciato a renderti conto che sto dicendo la verità. Dov’è la felicità che pensavi ti aspettasse nel mondo del Tempo B, Jack? Ha funzionato tutto come prevedevi?
Breton esitò un attimo, guardando John. — Funziona. È solo questione di tempo. Ho dei problemi con Kate, ma si tratta di questioni personali…
— Sbagli! — L’unico occhio di Breton Senior brillava come un faro. — E c’è un altro motivo per cui devi tornare al mondo del tuo tempo. Se non lo farai, vorrà dire semplicemente che avrai distrutto due universi!
Le parole suonavano familiari alle orecchie di Jack Breton, come se le avesse già sentite prima, in un sogno ormai dimenticato. D’istinto, avrebbe voluto gridare che non era vero, ma una parte della sua mente sapeva già da tempo… che il cielo gli era nemico. Sentì che gli tremavano le ginocchia.
— Continua — disse con un filo di voce.
— Va bene. Come ricorderai dagli studi intensi fatti sui fenomeni elettrici, hai stabilito che il problema fondamentale nella costruzione di un congegno cronomotore era l’abolizione delle Leggi di Kirchoff. Ti interessava in modo particolare la seconda legge e il fatto che la somma algebrica delle forze elettromotrici, in qualsiasi circuito chiuso, equivale alla somma algebrica dei prodotti della resistenza di ciascuna componente…
— Cerca di essere più semplice. Non riesco a capire — lo interruppe Jack Breton.
— D’accordo. E, del resto, manca il tempo. Partiremo dalla legge della conservazione dell’energia. L’universo è un sistema completamente chiuso, e deve obbedire al principio fondamentale che la somma della sua massa e della sua energia debbono restare costanti. Fin quando tu non lo hai lasciato, l’universo del Tempo A conteneva tutta la massa e tutta l’energia che aveva e avrebbe sempre posseduto. — Breton Senior parlava sempre più in fretta. — Ma tu, Jack, sei una creatura composta di massa e di energia e, abbandonando l’universo di Tempo A, hai provocato una perdita a cui è assolutamente impossibile porre rimedio. Ed entrando nell’universo di Tempo B hai creato un sovrappiù, un sovraccarico nel tessuto dello spazio-tempo. Squilibri simili sono tollerati solo per pochissimi istanti…
— Ah, dunque è cosi — s’intromise John Breton, partecipando per la prima volta alla conversazione. — È per questo che si sono verificati i cambiamenti nella costante gravitazionale. Così si spiega la pioggia di stelle cadenti, e tutto il resto. — Guardò Jack con aria indagatrice. — Tutto ha avuto inizio la sera del tuo arrivo. Adesso lo ricordo. Vidi un paio di stelle cadenti, quando accompagnai alla porta Gordon e Miriam. E quella stessa sera, Carl mi telefonò per dire…