— Il tempo a mia disposizione è quasi finito — tagliò corto Breton Senior, che s’era accasciato sul banco e con la voce ridotta a un roco sussurro. — Jack, più rimani fuori del tuo universo, e più si accentueranno gli squilibri che finiranno col distruggere tutte e due le correnti temporali. Devi tornare subito!
— Continuo a non capire — dichiarò Jack Breton, traendo un profondo sospiro, mentre si sforzava di far funzionare il cervello. — Dici che restando qui distruggerò l’universo, eppure tu, a quanto pare, sei tornato in questo tempo, da un futuro che non dovrebbe esistere.
— Quanto credi che sia lontano questo futuro?
— Non lo so. — Jack cominciava ad aver paura.
— Vent’anni? Trent’anni? — insisté Breton Senior.
— Immagino di si.
— No. Solo quattro anni.
— Ma… — Jack era sbigottito, e si accorse che lo era anche John.
— Io ho solo quattro anni più di voi — disse Breton Senior, facendo uno sforzo per raccogliere le poche energie che gli restavano. — Ma vedo che non avete ancora completamente afferrato la situazione. È colpa mia. Non sono stato abbastanza chiaro, ma pensavo che avreste capito… Non vedi, Jack? Io sono quello che tu diventerai se uccidi il tuo te stesso del Tempo B e continui a vivere in questa corrente temporale con Kate. Io ho passato quello che passerai tu, se resterai qui, e ne porto le conseguenze. Ne porto le conseguenze! — ripeté con una risata quale Jack Breton non aveva mai udito; e poi continuò a parlare, ma non ai due uomini che gli stavano davanti… le sue frasi spezzate delineavano i lineamenti della faccia di Armageddon.
“…quando i legami della forza di gravità si allentarono, i pianeti si allontanarono dal sole, seguendo nuove orbite adeguate all’equilibrio alterato delle forze radiali e gravitazionali. Ma non si mossero abbastanza in fretta, perché il sole li seguì come una madre impazzita decisa a uccidere i propri figli. Dilatato, trasudando nell’universo il pus nucleare della propria dissoluzione, bombardò i pianeti figli con un’inimmaginabile quantità di radiazioni letali.
“Breton Senior visse per quattro anni in un mondo che era diventato l’arena di due diverse forme di morte, in lotta tra di loro per accaparrarsi la maggior quantità di carcasse umane. Gli antichi flagelli della fame e della peste si trovarono a combattere contro nuovi contendenti: il cancro epidemico e la mutazione epidemica sterilizzante.
“Quando Kate morì di un male senza nome, Breton scoprì in sé qualcosa che mancava fino dal suo primo viaggio nel tempo: il potenziale cronomotore, che nei comuni mortali è il rimorso. Si accinse a costruire un nuovo cronomotore, anche se intralciato dalla perdita di un occhio, e riuscì a finirlo in poche settimane. Era sua intenzione persuadere Breton a tornare nella propria corrente temporale, in modo da ricostruire l’equilibrio universale prima che fosse troppo tardi.
“Se ci fosse riuscito, la corrente di Tempo B, che portava alla morte dell’universo, avrebbe continuato ad accelerare il suo corso verso il disastro (niente infatti avrebbe potuto evitarlo, ormai), ma si sarebbe anche prodotta una corrente collaterale: un mondo probabile, nato da una modificazione del Tempo B, in cui Kate e Breton avrebbero continuato a vivere in pace.
“Le ricompense, per quanto riguardava Breton Senior, sarebbero state più filosofiche che pratiche, in quanto le fredde equazioni della fisica cronomotrice non lasciavano scampo: se lui avesse cercato di vivere in quel mondo, la sua presenza l’avrebbe distrutto. Ma, avendo visto quello che aveva visto, era preparato a rassegnarsi: gli bastava sapere che l’altro mondo esisteva, in qualche punto del tempo e dello spazio.
“Dapprima, mentre si preparava al viaggio, aveva pensato di portare con sé un fucile per costringere con le cattive Jack Breton a tornare nel proprio universo… così come, in quella remota vita precedente, aveva espulso Spiedel dal mondo dei vivi.
“Ma sarebbe stata una soluzione troppo facile, e ormai non voleva più saperne di uccidere.
“Se non fosse riuscito a persuadere Jack Breton con la forza della ragione, allora sarebbe morto con il terribile rimorso di sapere di avere trascinato con sé alla distruzione tutti gli altri esseri viventi dell’universo…”
Ascoltando Breton Senior, Jack sentì che l’intollerabile peso di due universi veniva a ricadere sulle sue spalle. Le descrizioni dell’agonia e dell’orrore che si preparavano per il futuro, fatte dall’altro se stesso, grottesco e più anziano, si incisero profondamente nel corpo e nell’anima di Jack Breton; sentiva una morsa di crescente malessere allo stomaco e un sudore gelido su tutto il corpo. Il suo universo privato stava crollando in briciole, e lui avrebbe voluto negare l’evidenza, gridare “No!", come se questo potesse servire a cambiare le cose.
Ma Breton Senior era lì che aspettava davanti a lui, una specie di Dorian Gray del suo passato e del suo futuro.
— Va bene, tornerò — sussurrò. — Puoi andartene, ora. Te lo prometto.
Breton Senior esitava, non ancora persuaso. Ma infine, forse sapendo di non avere più tempo, si limitò a dire: — Grazie.
Le vibrazioni di quell’unica parola echeggiavano ancora nell’aria, quando già Breton Senior era svanito. Jack Breton si ritrovò a fissare il banco d’officina attraverso lo spazio vuoto. Si voltò disperato, e vide John, la cui faccia era diventata color della cenere per lo shock. Vi fu tra i due un momento di totale comprensione reciproca, che non aveva niente a che fare con la telepatia.
— Adesso… — mormorò Jack, a corto di parole. — Adesso ti libererò.
— Te ne sarò molto grato. Però continuo a detestarti.
— Ti capisco.
Jack aprì il cassetto del banco e trovò un’altra spoletta di lenza da pesca. Con la piccola lama a ghigliottina che vi era inserita, tagliò i nodi che legavano i polsi di John. Stava recidendo quelli all’altezza del gomito, a cui era collegato il filo che passava intorno alla trave del soffitto, quando sentì una macchina fermarsi davanti al capanno. Il rumore fu seguito da quello di due sportelli che sbattevano.
Jack Breton infilò la spola nella mano striata di sangue di John, e corse al banco. Ci saltò sopra e scostò le tende del finestrino. Alla luce fantomatica delle stelle cadenti, vide la Plymouth di Convery. Kate stava già correndo verso il capanno, e Breton rimase a fissarla, riempiendosi gli occhi dei contorni del suo corpo aureolati dalla fredda luce argentea. La vista di quel viso ovale, delle gambe lunghe e snelle, dei seni alti lo riempì di un acuto senso di dolorosa nostalgia.
Lasciò cadere la tenda e saltò giù dal banco. Nel cassetto, trovò un piccolo cacciavite. Spinse l’orologio da polso in alto sull’avambraccio, appoggiò la lama del cacciavite sul rigonfio del modulo cronomotore, e rimase lì, esitando, cogli occhi fissi su John.
— Vuoi dirmi addio?
— Addio.
— Grazie.
Jack Breton premette il cacciavite sul gonfiore del polso, e il mondo del Tempo B si allontanò immediatamente da lui.
17
Convery fu più lento di Kate a scendere dalla macchina.
Ormai, non c’era più bisogno di affrettarsi. Le risposte che aveva cercato per nove anni erano a pochi metri da lui, e non potevano più sfuggirgli. Voleva procedere con calma, il cervello pronto a non lasciarsi sfuggire niente, assaporando ogni particolare, perché questa era la conclusione di tutto.
La luce mutevole che scendeva dal cielo permetteva di distinguere ogni singolo ciottolo. Convery notò la Turbo-Lincoln parcheggiata vicino alla darsena, e stava voltandosi per avviarsi verso la loggia, quando vide una scarpa in riva al lago, e si chinò a raccoglierla. Era lo stesso mocassino nero che aveva osservato il giorno prima in mano a Breton. Come mai adesso era lì? Convery scrollò le spalle. Era un altro pezzo del mosaico che si sarebbe inserito al suo posto nel gioco di pazienza, al momento della resa dei conti.