— Secondo te, dunque, esisterebbe una corrispondenza individuale fra questo piano d’esistenza e un altro? — disse Palfrey. — Ma non è detto che sia così.
— Ma no, non volevo dir questo. Dai dati di cui disponete riguardo all’altro piano d’esistenza, si direbbe che esso sia popolato di scrittori privi di carta e penna, che trascorrono il tempo proiettando telepaticamente vaniloqui in questo piano. E, non si sa bene come, Oscar Wilde è lo stakanovista del gruppo… Forse è la punizione per aver scritto il De Profundis.
Palfrey sfoderò un sorriso paziente. — Ma noi non dicevamo che…
— Non perder tempo a discutere con lui — lo interruppe Kate. — È proprio quello che va cercando. John fa l’ateo di professione, e comunque parla troppo. — Gli lanciò un’occhiata sprezzante, ma esagerò troppo, al punto da sembrare, per un attimo, una bambina arrabbiata. “Che sentimento poco adatto per sembrare più giovane!” pensò Breton.
— Mia moglie ha ragione — disse. — Tutta la costruzione della mia fede è crollata quand’ero bambino… Il primo colpo di piccone l’ha dato la scoperta che F.T. Woolworth non era un uomo d’affari locale.
Kate accese una sigaretta. — Ha bevuto dieci whisky: quando ne ha bevuti dieci, tira sempre fuori questa battuta.
“E tu tiri sempre fuori quella dei dieci whisky” pensò Breton. “Sgualdrina priva di umorismo, che pretendi di farmi passare per un robot alimentato ad alcol.” Nonostante questo, continuò a mostrarsi loquace e gioviale, benché risentisse ancora del trauma provocato dal viaggio. Continuò a essere cordiale anche quando presero il caffè e le tartine, e seguì Kate sulla porta al momento dei commiati.
Era una frizzante sera d’ottobre, e le costellazioni invernali cominciavano a risalire sull’orizzonte, a est, quasi a ricordare che presto la neve avrebbe iniziato la sua marcia partendo dal Canada.
Breton provava un senso di caldo benessere. Si soffermò a fumare sulla soglia, mentre Kate scambiava qualche parola coi Palfrey, già in macchina. Due stelle cadenti attraversarono fulminee il cielo: “Fine del viaggio, benvenute sulla Terra” pensò Breton guardandole. E finalmente l’auto si mosse frantumando e facendo schizzare la ghiaia, mentre la luce dei fanali sciabolava sui tronchi degli olmi che fiancheggiavano il vialetto. Kate salutò con la mano, e poi rientrò in casa, rabbrividendo un poco. Breton cercò di cingerla col braccio mentre gli passava vicino, ma Kate continuò a camminare decisa, e lui ricordò com’era stato pungente, prima. Nelle ore piccole ci sarebbero stati i commenti, mentre le tende della camera da letto respiravano lievi nel sonno.
Breton alzò le spalle per dimostrare a se stesso quanto poco gliene importasse, poi fece volare sul prato il mozzicone, che si spense nell’erba umida.
Infine aspirò a fondo un’ultima boccata di aria che sapeva di foglie morte, e si voltò per rientrare.
— Non chiudere la porta, John. — La voce proveniva dal tunnel buio della siepe che fiancheggiava il vialetto. — Sono venuto a riprendere mia moglie. Te n’eri forse dimenticato?
— Chi è? — Breton si lasciò sfuggire la domanda vedendo un’alta figura maschile avanzare verso la luce. Ma aveva già riconosciuto la voce. Quella della telefonata anonima. Di colpo lo assalì un’ondata d’ira impotente.
— Non hai ancora capito, John? — Lo sconosciuto era arrivato al portico e stava salendo lentamente i gradini. La luce gli batté sulla faccia, rivelando la sua identità.
Breton, paralizzato da una paura travolgente e inesplicabile, si ritrovò a fissare la propria faccia.
2
Jack Breton sentì che gli tremavano le gambe mentre andava incontro all’uomo che rispondeva al nome di John Breton.
Forse, pensò, era dovuto al fatto di essere stato accucciato nel buio complice della siepe per oltre un’ora. Ma c’era anche un’altra spiegazione più plausibile: non si era preparato a rivedere Kate. Tuttavia, nessuna preparazione, nessuna previsione, sarebbero riuscite ad attutire il colpo. Il suono della voce di lei che salutava gli ospiti gli era entrato nel sistema nervoso con prepotenza, sollecitando dall’intero suo essere, e da ogni atomo che lo componeva, reazioni impensate. “Ti amo” sussurrava ogni molecola del suo corpo, lungo miliardi di sentieri enzimici. “Ti amo, Kate.”
— Chi siete? — domandò con durezza John Breton. — Che cosa volete?
Sbarrò decisamente il passo a Jack Breton, e, sotto la luce del portico, il suo viso sembrava una maschera d’ansia segnata da ombre profonde.
Jack Breton tastò la pistola automatica nella tasca del soprabito, ma sentendo il tono titubante della voce dell’altro, non tolse la sicura. Non occorreva modificare i piani.
— Ti ho già detto cosa voglio, John — disse con gentilezza. — E tu, a quest’ora, devi aver capito chi sono… non ti sei mai guardato in uno specchio?
— Mi sembra… — John Breton non finì la frase, timoroso di esprimere a voce alta quel che pensava.
— Entriamo — disse con impazienza Jack. — Ho freddo.
Si mosse e fu rinfrancato dalla vista di John che arretrava incerto. “Ha paura di me” pensò con lieve stupore Jack Breton. “Questo essere che ho creato a mia immagine, questa creatura che ha cambiato il mio nome in John, ha paura del suo autore.” Entrando nella familiare anticamera soffusa di luce arancione, Jack notò la morbidezza del folto tappeto e quell’indefinita aria di benessere economico che aleggiava nella vecchia casa. Il lavoro fatto quel giorno in biblioteca, dove aveva scorso annate di giornali locali, gli aveva già fatto capire che John Breton si trovava in condizioni molto migliori di nove anni prima, ma adesso la realtà superava le sue previsioni. “Ben fatto, servo bravo e fedele…”
— Mi pare che stiamo esagerando, adesso — esclamò John Breton, quando furono nello spazioso soggiorno. — Vorrei qualche spiegazione.
— Bene, buon per te, John.
Parlando, Jack esaminava la stanza. Il mobilio era tutto nuovo per lui, ma ricordava l’orologio e un paio di oggetti. Gli piacquero soprattutto le ampie poltrone dall’alto schienale che erano state scelte solo in funzione della comodità. Pareva che gli dessero il benvenuto. “Prendine mentalmente nota” si disse. “Benché non subisca alcuno spostamento nello spazio, il viaggiatore nel tempo si sottopone a un sostanziale spostamento psicologico che può manifestarsi mediante la personalizzazione di oggetti inanimati, come delle poltrone che gli danno il benvenuto. Sta’ in guardia!”
Riportò l’attenzione su John Breton: la sua curiosità naturale riprendeva il sopravvento, ora che andava adattandosi alla miracolosa realtà dell’esistenza di Kate. L’altro se stesso era un po’ più massiccio di quanto avrebbe dovuto essere, e indossava costosi pantaloni fatti su misura, una camicia sportiva marrone e una giacca di cashmere. “Nove anni! Nove anni divergenti hanno prodotto delle differenze” pensò Jack. “Io non sono riposato e ben nutrito, ma la mia ora è venuta. La mia ora.”
— Sto aspettando — disse John Breton.
Jack alzò le spalle. — Avrei preferito parlare in presenza di Kate, ma immagino che sia salita…
— Mia moglie è di sopra. — Le prime due parole furono sottolineate da un tono enfatico appena percettibile.
— Bene, allora, John. È strano, ma questa è una parte della faccenda che non ho preparato in anticipo… Non ho pensato a come dovevo dirtelo. Vedi, John… Io… sono… te.
— Sarebbe come dire che io non sono io? — ribatté John, con voluta indifferenza.