Breton si strinse nel soprabito, fissando con nostalgia i solchi neri lasciati dal passaggio delle ruote nella neve. Quando la macchina acquistava velocità, piccoli blocchi di neve fresca, sollevati dalle ruote anteriori, andavano silenziosamente a colpire il parabrezza e si frantumavano scivolando all’indietro, fino a scomparire disintegrandosi. Breton cercò di concentrarsi in quello che Hetty stava dicendo, ma si accorse con sgomento che un puntino di luce colorata, scintillante, era comparso a mezz’aria davanti a lui. “Oh, non adesso!” pensò, fregandosi gli occhi; ma la farfallina di luce cominciava già a crescere. Nel giro di un minuto aveva assunto le dimensioni di un soldo nuovo di zecca, che ruotava scintillando e rimaneva sempre al centro del campo visivo del suo occhio destro, da qualunque parte lui voltasse la testa.
— Stamattina sono andata a casa vostra e ho acceso la caldaia del termosifone — disse Hetty. — Se non altro, starete al caldo.
— Grazie — rispose lui, intontito. — Vi siete disturbata anche troppo per me.
Lo scintillio furtivo cresceva con sempre maggior rapidità, ora, occupando quasi tutto il campo visivo, e già cominciava a svilupparsi secondo ben noti schemi: prismi geometrici che variavano in continuazione, si muovevano, si deformavano, aprivano finestre su dimensioni sconosciute. “Non adesso!” supplicava lui in silenzio. “Non voglio fare un viaggio adesso…” Quei fenomeni ottici gli erano noti fin dall’infanzia. Si presentavano a intervalli irregolari, da un minimo di pochi giorni a un massimo di tre mesi, a seconda dello stato di tensione mentale, ed erano generalmente preceduti da una sensazione di insolito benessere. Una volta passata l’euforia, si presentava il bagliore zig-zag davanti all’occhio destro, cui sarebbe seguito uno dei viaggi inesplicabili e spaventosi nel passato. Sapere che ogni viaggio durava solo una frazione di secondo di tempo reale e che doveva essere legato a una manifestazione non comune della memoria, non serviva a rendere più sopportabili i fenomeni che lo precedevano, perché le scene non erano mai piacevoli. Erano sempre frammenti della sua vita che avrebbe preferito dimenticare, momenti critici. E non era difficile indovinare quale sarebbe stato l’incubo che gli si sarebbe presentato con maggiore frequenza per l’avvenire.
Quando arrivarono davanti a casa sua, Breton era praticamente cieco dall’occhio destro, la cui vista era coperta da una ridda smagliante di forme colorate, geometriche, tremule, prismatiche, che gli impedivano di calcolare bene le distanze. Riuscì a persuadere Hetty a non scendere dalla macchina, la salutò con la mano quando lei si allontanò lungo il vialetto coperto di neve, e finalmente aprì tentoni la porta. La luce scintillante aveva raggiunto il punto massimo, il che significava che, fra pochissimo, sarebbe improvvisamente scomparsa, e avrebbe avuto inizio il viaggio per chissà dove. Breton aspettava. La visuale dell’occhio destro comincio a schiarirsi, la tensione interiore aumentò, la stanza si allontanò, distorcendosi, mostrando strane prospettive. Con passo deciso, ineluttabilmente, varchiamo il limite…
Kate stava allontanandosi sul marciapiede illuminato dalle vetrine dei negozi. Con la mantella argentea strettamente avvolta sull’abito leggero, e le gambe lunghe rese ancora più slanciate dai tacchi altissimi dei sandali, pareva la versione, idealizzata per lo schermo, della pupa di un gangster. La luminosità delle vetrine la incorniciava proiettandone l’immagine nitida nella mente di lui; e fu allora che Breton vide, con la certezza che la scena fosse sbagliata, tre alberi crescere in mezzo alla strada, proprio tra le corsie del traffico dove non c’erano mai stati alberi. Erano olmi, ormai quasi privi di foglie, e un certo non so che nella disposizione dei rami nudi provocò in lui il desiderio di allontanarsi in preda a un senso di repulsione. Si accorse poi che i tronchi erano immateriali e che la luce dei fari delle auto li passava da parte a parte. Quel gruppo di alberi continuava a incutergli un senso di timore; eppure, nello stesso tempo, se ne sentiva attratto.
E intanto, Kate continuava ad allontanarsi, e una voce gli diceva che non poteva lasciarla girare sola di notte per la città vestita cosi. Combatté la stessa battaglia col suo orgoglio, poi si voltò per incamminarsi nella direzione opposta, pieno di disgusto verso se stesso, imprecando…
…un senso di dolorante vastità, un mutamento di prospettiva e parallasse, inimmaginabili transizioni in cui le curve dello spazio-tempo ondeggiano tra il positivo e il negativo, e l’infinito si apre al centro, minaccioso, illusorio, pungente…
Breton si aggrappò ai braccioli della poltrona e li strinse con forza finché l’ansito del suo respiro non si attenuò fino a spegnersi nel silenzio della stanza. Allora si alzò e si diresse al camino per caricare la vecchia pendola di quercia. Fuori, la neve aveva ricominciato a cadere a fiocchi piccoli, asciutti, simili a minuscoli spettri alla luce dei fari delle auto, oltre lo schermo degli alberi. La casa era piena di pazienti ombre scure.
Breton andò in cucina a preparare un po’ di caffè, e intanto la sua mente andava piano piano liberandosi dall’intontimento provocato dal viaggio. La perdita di energia nervosa che seguiva ogni viaggio era un altro degli aspetti caratteristici comuni alle escursioni nel passato; ma questa volta il consumo di energia era stato maggiore del solito. Mentre aspettava che l’acqua bollisse, si accorse, in ritardo, che il viaggio era stato diverso dagli altri, anche perché vi si era introdotto un elemento fantastico. Quegli olmi che spuntavano nel bel mezzo della Quattordicesima Strada lo avevano sorpreso, ma oltre all’assurdità della loro presenza lì, avevano qualche altra cosa che lo aveva colpito. Erano trasparenti come immagini proiettate su uno schermo luminoso. Tuttavia, l’arco irregolare formato dai rami era vero. Lo aveva visto da qualche parte, e aveva un significato… quale?
Quando il caffè fu pronto, aprì il frigo, ma non trovò né panna né latte. Il pensiero di bere solo caffè gli rivoltava lo stomaco, ma un’accurata ricerca nella cucina vuota gli rivelò che l’unico altro liquido disponibile era quello di un vasetto di sottaceti, dove alcuni cetriolini galleggiavano come reperti anatomici. Breton si versò una tazza di brodaglia nera, da cui si levavano spirali di vapore grigio, e tornò in soggiorno. Si accomodò in poltrona, bevve qualche sorso e pensò vagamente che doveva ricominciare a occuparsi del suo lavoro. Ma la penombra aveva ormai invaso la stanza, e lui era stanco. Una settimana di cure e di riposo non erano stati sufficienti a cancellare i postumi di una sbornia prolungata.
Breton si svegliò qualche ora dopo, quando ormai si era fatto buio. Una luce tenue, venata di viola, filtrava nella stanza da un lampione stradale, e le ombre degli alberi si agitavano sulla parete di fronte. Breton decise di uscire a mangiare. Mentre si alzava dalla poltrona, notò le ombre vacillanti dei rami sullo schermo grigio della televisione… e allora si ricordò dove aveva visto i tre olmi.
Nel corso di un servizio televisivo avevano trasmesso una diapositiva del luogo dove era stato trovato il cadavere di Kate… vicino a tre olmi.
L’unica diversità era che gli olmi visti nel viaggio non erano immobili come quelli della foto. Si muovevano, i loro rami assumevano di continuo posizioni diverse a seconda dei capricci del vento. Breton esitò prima di definirli “reali", ma lo erano! Questo significava, probabilmente, che c’era qualcosa di cambiato nei suoi viaggi, che una parte della sua mente aveva ritenuto necessario credere di avere veramente visto Kate, quel giorno. Era possibile, si domandò freddamente Breton, che la sua coscienza solitaria, colpevole, avesse sfidato le leggi della natura facendo un viaggio reale nel tempo? E se l’antico desiderio umano di compiere l’impossibile, di tornare nel passato per correggere gli errori, fosse stato la forza psichica che aveva reso possibili tutti i suoi viaggi? Questo avrebbe spiegato perché le scene rivissute erano sempre momenti cruciali che avevano determinato una svolta disastrosa nel corso della sua esistenza, Non poteva darsi che lui fosse un viaggiatore nel tempo, ostacolato, deluso, ancorato al presente dalla realtà inamovibile del suo corpo, ma che si sforzava, con la forza della mente, di proiettare un aspetto immateriale della sua identità attraverso il tempo e di bussare alle porte invisibili del passato? Se le cose stavano così, allora avrebbe continuato a rivivere fino alla morte quell’ultima, tremenda scena con Kate. E c’erano anche i tre olmi…