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— Gravità, gravità! — esclamò Abram. — Cosa me ne importa, della gravità?

— Invece dovrebbe importarcene, caro generale! — Qui Rasch si concesse un breve sorriso. — La gravità è una delle costanti, nei calcoli che i computer dei vostri missili eseguono per indirizzarli verso il bersaglio designato… E adesso la costante non è più costante.

— Volete dire… — Abram s’interruppe perché aveva finalmente afferrato l’enormità di quanto aveva detto Rasch.

— Sì, generale. I missili non cadranno più sui bersagli prestabiliti.

— Ma ci sarà un modo per far fronte a questo cambiamento della gravità.

— Certo, però ci vorrà del tempo. La diminuzione è progressiva, e…

— Quanto?

— Forse sei mesi… Dipende.

— Ma questo mi pone in una situazione insostenibile. Cosa dirà il Presidente?

— Non so pensarci… però possiamo consolarci.

— E come?

— Tutte le nazioni del mondo si trovano di fronte allo stesso problema. Voi vi preoccupate per un numero limitato di missili a breve raggio… Pensate a come devono sentirsi i russi, gli americani, e gli altri. — Rasch parlava con una calma sognante, filosofica, che irritò al massimo Abram.

— E voi, dottor Rasch? — tuonò. — Voi non siete preoccupato?

— Preoccupato, generale, preoccupato? — Rasch guardò dalla finestra il deserto che tremolava scintillando nella crescente calura. — Se avete tempo di ascoltarmi, vi spiegherò in che cosa queste frivolezze scientifiche, come dite voi, influenzeranno il futuro dell’umanità.

Cominciò a spiegare con voce sottile e monotona, e, mentre lo ascoltava, il generale Abram scoprì che cosa significava realmente aver paura…

Nelle notti limpide, specie se c’era la luna, si poteva notare una finestra aperta all’ultimo piano della casa più alta di Ridgeway Street.

I nottambuli scorgevano una macchia chiara e indistinta che si muoveva nel rettangolo buio e sapevano di aver scorto Willy Lucas che li guardava. E Willy Lucas, con la faccia foruncolosa, cosparsa di peluria e contratta dal panico, si ritraeva dalla finestra, atterrito perché lo avevano visto.

Le donne che abitavano di fronte avevano spesso pensato che Willy cercasse di spiare nelle loro camere da letto, e lo avevano punito lamentandosene con suo fratello. Ma a Willy non interessavano le massaie dalle labbra sottili e dagli occhi maligni di Ridgeway Street: e neppure le femmine attraenti e strane che talvolta si accompagnavano a lui nei sogni.

La verità era che Willy si divertiva a guardare la città immersa nel silenzio, quando tutti gli altri dormivano. In quelle ore preziose era come se tutti quanti fossero morti e lo avessero lasciato solo, e non c’era più nessuno a sgridarlo o a guardarlo con esasperazione…

Quando cadde la prima stella, Willy era al suo posto di osservazione all’ultimo piano dell’edificio alto e stretto. Tremando per l’eccitazione, afferrò il vecchio binocolo da teatro di madreperla, che aveva rubato da Coomey, il rigattiere all’angolo, e lo mise a fuoco sulla buia calotta del cielo. Ogni volta che vedeva una stella cadente, il cui luminoso tragitto assumeva tutti i colori dell’iride per via del cattivo funzionamento del binocolo, gli si risvegliavano nella mente pensieri informi che lo turbavano. Con gli istinti affinati di chi non si trova a proprio agio negli schemi dell’esistenza normale, Willy si rendeva conto che quelle fuggevoli falene luminose recavano un messaggio destinato solo a lui… Ma quale?

Willy rimase in osservazione fin quasi all’alba, accovacciato nel buio sempre più freddo del piccolo abbaino, poi chiuse la finestra e andò a letto.

Quando si alzò e scese a far colazione, il negozio che si apriva al pianterreno della casa era pieno di clienti. Le due sorelle maggiori, Ada ed Emily, erano troppo occupate per andare a preparargli la colazione, e cosi Willy si fece dei panini abbondantemente imbottiti di marmellata d’arancia.

Mentre masticava in silenzio, immerso nei suoi pensieri, sfogliava senza vederle le pagine del libro che aveva davanti, e sentiva il rumore delle patate che venivano pesate in negozio. Perché, come è detto nella Bibbia, gli era apparsa la folgorante spiegazione, terribile e agghiacciante, di quella pioggia di stelle.

Provava una grande esaltazione al pensiero di essere stato scelto come strumento attraverso cui il messaggio si sarebbe divulgato nel mondo, ma, nello stesso tempo, ne sentiva l’enorme peso. In vita sua, Willy non aveva mai avuto la benché minima responsabilità, e non sapeva se possedeva le doti necessarie, specie in una cosa di quella importanza. Gironzolò per tutta la giornata nella vecchia casa buia, tentando di trovare il modo di scaricarsi di quelle responsabilità impostegli da Dio, ma non riuscì a escogitare una soluzione che potesse essere valida. Al tramonto, suo fratello Joe tornò a casa dall’officina del gas dove lavorava, e si arrabbiò perché Willy non aveva imbiancato il cortile. Willy non gli fece molto caso, e accettò senza ribellarsi gli aspri rimbrotti, mentre continuava a pensare come poteva onorare la fiducia che Dio aveva riposto in lui.

Quella notte, la pioggia di stelle cadenti fu ancora più spettacolare, e Willy incominciò a sentire un’urgenza a cui non era abituato, quasi un senso di colpa perché non aveva ancora fatto niente per diffondere il Verbo. Cominciò a preoccuparsi, e quando era assorto o distratto, Willy si riduceva in uno stato di completa imbecillità. Gironzolando per il negozio rovesciò una cassetta di pomodori, e un’altra volta fece cadere un cesto di bottiglie vuote.

Trascorse un’altra notte di brulicante splendore, prima che gli venisse l’idea. Era un’idea piccola, misera (se ne rendeva conto con una certa obiettività), ma era sicuro che Dio conosceva i limiti dello strumento da Lui prescelto, meglio di Willy stesso.

Una volta deciso il da farsi, Willy non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Invece di andare a dormire dopo aver vegliato tutta la notte, scese di corsa nel cortile posteriore a cercare gli attrezzi da falegname. Joe, che si era già vestito con la tuta marrone da lavoro, beveva il tè davanti ai fornelli. Guardò Willy con la solita espressione di antipatia, mista a disgusto.

— Willy — disse con voce tesa — se non imbianchi il cortile oggi, lo farò io, adoperando te come pennello.

— Sì, Joe.

— Ti avverto per l’ultima volta, Willy. Siamo arcistufi di mantenerti senza che tu alzi mai un dito per renderti utile.

— Sì, Joe.

— Te ne stai a letto tutta la notte e buona parte della giornata.

— Sì, Joe.

Willy fissava la faccia quadra del fratello e stava per dire quanto potessero ritenersi fortunati Joe, Ada ed Emily, e tutti gli uomini della Terra, per il fatto che lui “non” era stato a letto tutta la notte. Grazie alla sua vigilanza l’umanità aveva guadagnato un po’ di tempo. Ma poi decise che era troppo presto per parlare, e uscì in cortile.

L’esecuzione del lavoro si rivelò più difficile del previsto, soprattutto per la scarsezza di materiale. Willy sprecò del tempo a frugare nel mucchio di legna annerita dalla pioggia, in fondo al cortile, facendosi male alle mani e coprendosi gli abiti di macchie di muschio e di funghi. Infine capì che non avrebbe trovato niente che potesse servirgli; andò allora nello sgabuzzino che serviva alle sorelle come magazzino di deposito.

Vicino alla porta c’era una grande cassa di legno, piena di sacchetti e di rettangoli di carta marrone, che venivano usati per avvolgere le verdure. Incominciò a vuotarla con cura, ma i pacchi di carta erano più pesanti del previsto e le sue dita maldestre non riuscivano ad afferrarli bene. Così, cominciarono a cadere uno dopo l’altro, e fogli e sacchetti si sparpagliarono sul pavimento. Willy sopportò la malvagità di quegli oggetti inanimati finché poté, ma alla fine sollevò di lato la cassa, facendo scivolare il contenuto come una valanga sul cemento fangoso del cortile.