«No grazie, capitano Ashford: ho visto abbastanza» rispose quindi, cogliendo l’occasione per togliersi di torno con garbo. Porgendogli quanto restava della Coca-Cola continuò: «Lo yacht è magnifico, ma mi rendo conto che è troppo caro per una donna sola che voglia passare un pomeriggio distensivo. Molte grazie, comunque per il suo tempo e per il giretto di visita».
Detto ciò, fece per avviarsi verso la passerella che saliva alla gettata. Il capitano Homer strinse gli occhi. «Ma, del prezzo, non abbiamo ancora discusso, signorina Dawson. E sono certo che, per una come lei, potremmo farne uno speciale…»
Carol si rese conto che lui non l’avrebbe mollata così semplicemente. Mentre si accingeva a sbarcare, si presentò in coperta anche Greta. «Fenendo con noi, afreppe l’occasione di scrifere kvalcosa per il suo ciornale» disse Greta con uno strano sorriso. «Kvalcosa di insolito.»
Carol si voltò, sorpresa. «Ah, mi avete riconosciuta, dunque?» disse, ribadendo l’ovvio. La strana coppia le rispose con un ghigno. «E perché non avete detto niente?»
Il capitano Homer si limitò ad alzare le enormi spalle. «Abbiamo pensato che magari lei viaggiasse in incognito, o fosse in cerca di qualche divertimento particolare, o stesse facendo un servizio…» La voce di lui si spense. Carol sorrise scuotendo il capo. Poi salutò con un cenno, salì in passerella e prese la gettata in direzione della lontana capitaneria di porto. Ma chi è questa gente?, tornò a domandarsi. Adesso sono sicura di averla già vista. Ma dove?
Per due volte si guardò alle spalle per vedere se il capitano Homer e Greta fossero sempre là a osservarla. La seconda volta, quand’era ormai a quasi cento metri dallo yacht, non li vide più. Tirò allora un respiro di sollievo. Decisamente, quell’esperienza le aveva messo i nervi a fior di pelle.
Camminando lentamente, estrasse dalla piccola borsa da spiaggia color porpora il tabulato consegnatole da Julianne. Prima però che potesse guardarlo, uno squillo di telefono sulla sinistra richiamò naturalmente i suoi occhi. Il telefono era quello di una barca che le stava proprio di fronte. Sul ponte, un uomo robusto, sulla trentina appena passata, sedeva su una sedia pieghevole. L’uomo indossava solo un berretto rosso da baseball, dei calzoncini da bagno, occhiali scuri da sole e un paio di ciabatte infradito, e guardava intento un piccolo televisore posto su un minuscolo carrello. In una mano aveva un tramezzino (anche da dieci metri di distanza, Carol poteva vedere il filo bianco di maionese che ne colava), nell’altra una lattina di birra. E non dava alcun segno di aver udito lo squillo del telefono.
Carol si avvicinò, incuriosita. La televisione stava trasmettendo una partita di pallacanestro. Più o meno al sesto squillo, l’uomo lanciò un «Cooosì, bravi!» (con la bocca piena) in direzione del sei pollici, trangugiò un sorso di birra, e si alzò di scatto per andare a rispondere. Il telefono era sotto il tendaletto al centro della barca, su una parete rivestita di legno, dietro il timone e accanto a una sorta di banco incassato che sembrava contenere l’apparato di navigazione e la radio. L’uomo parlò brevemente, gli occhi fissi al televisore, la mano inconsciamente occupata a cincischiare la birra, poi riattaccò, lanciò un secondo «Cooosì!», e tornò alla sedia pieghevole.
Carol, ferma sul molo, stava ora a soli pochi centimetri dalla prua della barca e a non più di tre metri da dove sedeva l’uomo. Questi, tutto preso dalla sua partita di pallacanestro, non l’aveva minimamente notata. D’improvviso, balzò in piedi urlando un «Braavoo!». Il brusco movimento fece rullare la barca, e il carrello, costruito di materiale scadente, cedette. L’uomo si slanciò per afferrare il televisore prima che cadesse, ma perse l’equilibrio e finì sul piancito coi gomiti.
«Oh, merda…» imprecò fra sé dal dolore. Ora era lungo disteso sul ponte, occhiali di traverso sulla testa, mentre il televisore che aveva fra le mani continuava a trasmettere la partita. Carol non riuscì a trattenersi dal ridere. Resosi finalmente conto di non essere solo, Nick Williams, proprietario e pilota della Florida Queen, si voltò in direzione della risata.
«Mi scusi,» esordì amabilmente Carol «passavo di qui per caso e l’ho vista cadere…» L’espressione tutt’altro che divertita di Nick le impedì di continuare.
«Cosa vuole?» fece Nick, con un’occhiataccia truculenta. Poi si alzò e, sempre tenendo (e guardando) il televisore, tentò di rimettere in piedi il carrello. Ma non aveva abbastanza mani per fare tutto insieme…
«Potrei anche darle una mano, sa,» disse Carol, sempre sorridendo «se questo non offende il suo orgoglio maschile.» Oh porca…, pensò Nick in un lampo. Ecco un’altra di quelle che la sanno lunga…
Posato il televisore sul piancito, Nick procedette a rimettere in sesto il carrello. «No, grazie,» rispose intanto «mi arrangio da solo.» Poi, facendo come se Carol non esistesse, rimise il televisore sul carrello, tornò alla sua sedia pieghevole, e ripigliò tramezzino e birra.
Divertita da quel chiaro invito a togliersi dai piedi, Carol si guardò intorno. L’ordine non era certo il forte del proprietario: la prua era infatti disseminata di cose e cosette, tipo maschere, tubi di respirazione, regolatori, asciugamani, e resti di vecchi pranzi da fast-food. In uno degli angoli, qualcuno aveva chiaramente smontato un’apparecchio elettronico, forse con l’intenzione di ripararlo, e poi piantato lì, alla rinfusa, i pezzi. Sopra il tendaletto azzurro c’erano due insegne, scritte in caratteri diversi: una col nome della barca, l’altra con SI PREGA DI NON FUMARE.
La Florida Queen sembrava fuori posto nell’ambiente tutto lustro e moderno del porto turistico, e Carol immaginò il ribrezzo degli altri proprietari di barche alla sua vista. D’istinto, consultò il tabulato che teneva in mano, e per poco non scoppiò a ridere quando la vide elencata tra le nove disponibili per il nolo.
«Mi scusi» riprese nell’intenzione di avviare le trattative per il noleggio pomeridiano.
Con un sospirone, Nick staccò gli occhi dalla partita di pallacanestro. L’espressione scocciata del viso diceva chiaramente: Ma come, ancora qui? Eppure credevo che la conversazione fosse finita! Ora se ne vada e mi lasci godere il pomeriggio sulla mia barca.
Spirito birichino, Carol non seppe resistere all’occasione di punzecchiare l’arrogante signor Williams (dava per scontato, infatti, che il nome del tabulato corrispondesse a quello dell’uomo che aveva davanti, giacché le pareva impensabile che un membro dell’equipaggio potesse comportarsi con tanta sicurezza e con tanta autorità sulla barca di un altro). «Chi è che gioca?» chiese gaiamente, come se non avesse affatto notato il chiaro invito a levarsi di torno.
«Harvard e Tennessee» rispose sgarbatamente lui, stupito che lei non avesse colto il messaggio.
«E a quanto stanno?» s’affrettò a continuare Carol, divertendosi al gioco da lei stessa appena creato.
Nick si girò di nuovo, con un’espressione tra lo stupefatto e l’esagerato. «31 a 29 per Harvard,» rispose secco «a pochi minuti dalla fine del primo tempo.» Immobile, Carol si limitò a ricambiare con un sorriso, senza batter ciglio, l’occhiataccia di lui. «Ed è il primo girone del campionato NCAA, e sono le Regionali del Sud-est. Altre domande?»
«Una sola» fece lei. «Vorrei noleggiare questa barca per il pomeriggio: Nick Williams, è lei?»
«Cosa?» esclamò Nick, colto di sorpresa. In quell’istante il Tennessee pareggiò, mandandolo ancor più in confusione. Guardata per un altro paio di secondi la partita, tentò di ricomporsi. «Ma non ho avuto chiamate, da Julianne. Chiunque voglia noleggiare una barca, qui a Hemingway, deve firmare al banco e poi…»
«lo ero venuta a vedere un’altra barca, prima. Ma non mi è piaciuta, e così, tornando, mi sono fermata qui.» Nick aveva ripreso a guardare la televisione, e Carol cominciava a perdere la pazienza. Sulle prime, era stato divertente… Se non altro, non ho da preoccuparmi di venir palpata, pensò. Perché, se non riesce a concentrarsi su di me nemmeno di quel tanto che gli servirebbe per noleggiarmi la barca… «Senta,» riprese «me la vuole noleggiare per questo pomeriggio sì o no?»