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«E qual è il significato di questo oggetto?» chiese Winters, studiando il tridente. «Gli avete fatto una quantità di foto, mi pare.»

Nick stava facendo alcuni calcoli. Se mi trattengono qui per un po’, Carol e Troy lasceranno senza dubbio l’astronave. E gli alieni partiranno. Tirò un profondo sospiro. L’unica scelta è la verità.

«Comandante Winters,» cominciò quindi «la prego di ascoltare con la massima attenzione quello che lo sto per dire. Le parrà fantastico, anzi senz’altro assurdo, ma è tutto vero. E, se verrà con me, le proverò quanto. Da ciò che faremo nei prossimi cinque minuti può dipendere il destino dell’umanità.» Fece una pausa per ordinare le idee.

Per qualche ragione, Winters si sovvenne della ridicola storia della carota raccontatagli da Todd. Ma la gravità che leggeva sul viso di Nick lo persuase a continuare ad ascoltare. «Dica pure, Williams.»

«Carol Dawson e Troy Jefferson sono, in questo momento, a bordo di un’astronave extraterrestre ultravanzata ferma direttamente sotto di noi. Questo velivolo alieno sta compiendo un viaggio di pianeta in pianeta per depositare pacchetti di esseri embrionici geneticamente progettati per sopravvivere ciascuno su un pianeta specifico. L’oggetto d’oro che lei ha in mano è, in un certo senso, una culla per creature destinate a evolversi sulla Terra. Ora, se io non torno dagli alieni prima della loro partenza, c’è caso che i nostri discendenti siano destinati all’estinzione.»

Winters lo guardò come si guarda un folle e fece per parlare. «No» disse Nick, anticipandolo «mi ascolti fino in fondo. L’astronave si è fermata qui anche perché abbisognava di riparazioni. C’è stato un momento in cui abbiamo pensato che avesse trovato lei il vostro missile, e questa è in parte la ragione per cui ci siamo lasciati coinvolgere. Non sapendo delle creature nella culla, abbiamo cercato di aiutare. Una delle cose necessarie agli alieni per le riparazioni era l’oro. E avevano solo tre giorni per…»

«Oggesù Cristo santissimo!» gridò Winters. «E lei si aspetta che io creda e queste stronzate? Ma è la storia più balorda e strampalata che abbia mai udito in vita mia! Lei è suonato come una campana! Culle, alieni che hanno bisogno d’oro per riparazioni… E adesso, magari, mi dirà anche che sono alti un metro e ottanta e somigliano a delle carote…»

«Con quattro fessure verticali in faccia?» disse Nick.

Winters si guardò intorno. «Gliel’ha detto lei?» chiese al tenente Ramirez. Questi fece energicamente di no con la testa.

«No,» continuò bruscamente Nick, mentre Winters sembrava al culmine dello sconcerto «quella carota non era un alieno, o perlomeno non uno dei superalieni costruttori della nave. Era solo una proiezione olografica…»

Il perplesso Winters agitò le mani: «Basta, basta, Williams, non intendo ascoltare altre assurdità del genere. Non qui, almeno. Quello che voglio sapere, invece, è se lei e i suoi amici conoscete la posizione del missile. Ora: vuol venire sulla nostra barca di sua spontanea volontà, o dobbiamo portarcela impacchettato?».

In quel momento, due metri sopra di loro, una creatura a dieci zampe, nera, simile a un ragno, con un corpo di una decina di centimetri di diametro, avanzò, non notata, fino al margine del tendaletto. Qui giunta, estese tre antenne in direzione dei quattro uomini e poi, di scatto, saltò sulla nuca del tenente Ramirez. «Ahiii!» strillò questi, e, cadendo sulle ginocchia dietro a Nick, afferrò la cosa nera che stava asportandogli un pezzo di pelle. Per un secondo, nessuno si mosse. Poi Nick afferrò una grossa pinza dalla plancia e colpì la cosa nera una, due, tre volte, sino a farle mollare la presa.

La cosa cadde sul piancito, e tutti la videro correre alla “culla” che Winters aveva posta per aiutare Ramirez, ridurre la mole per un fattore di dieci, e sparire all’interno per la soffice e appiccicosa apertura al polo superiore della sfera. Nel giro di secondi, la sostanza appiccicosa si solidificò e le superfici esterne della culla tornarono rigide in ogni punto.

Winters rimase esterrefatto. Ramirez si segnò. Il marinaio sembrava prossimo allo svenimento. «Le giuro che la mia storia è vera, comandante» disse Nick con calma. «Tutto ciò che deve fare è scendere con me a vedere con i suoi occhi. La mia roba da immersione, l’ho lasciata giù per poter risalire più in fretta qui a prendere l’oggetto. Possiamo scendere con l’ultima bombola che mi resta, dividendoci l’aria».

Winters si sentiva girare la testa. Il ragno a dieci zampe era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ora si sentiva entrato nella Zona Crepuscolo. Non ho mai visto né sentito in vita mia niente di nemmeno lontanamente paragonabile a questo, pensò. E solo mezz’ora fa ho avuto allucinazioni folli accompagnate da musica. O sono io che sto perdendo il contatto con la realtà (il tenente Ramirez era sempre in ginocchio, e sembrava pregare), o è forse, finalmente, il segnale di Dio per me.

«D’accordo, Williams,» si sorprese a rispondere «verrò con lei. Ma i miei uomini aspetteranno qui, sulla sua barca, il nostro ritorno.»

Nick raccolse il tridente e corse dietro il tendaletto a preparare l’attrezzatura d’immersione.

Carol e Troy misero qualche secondo a reagire alla brusca partenza di Nick. «Strano…» finì col dire Carol. «Cos’avrà dimenticato, secondo te?»

«Non ne ho idea» rispose Troy, facendo spallucce. «Ma spero che si affretti a tornare, perché credo che non manchi molto al lancio e sono sicuro che loro ci butteranno fuori prima che avvenga.»

Carol rifletté un momento, poi tornò a guardare il cilindro. «Sai, Troy, questi cosi d’oro sono esattamente uguali al tridente, all’esterno. Tu hai detto…»

«Prima non ho risposto, angelo,» interruppe Troy «ma, sì hai ragione: il materiale è lo stesso. Fino al nostro ritorno di oggi, non mi ero reso conto che quello che avevamo trovato nella prima immersione era il pacchetto di semi per la Terra. Loro, magari, hanno anche tentato di dirmelo, ma forse io non li ho capiti.»

Affascinata, Carol andò a mettere il viso contro il cilindro. Sembrava più vetro che plastica. «Allora, forse, avevo ragione nel pensare che fosse più pesante e più grosso…» disse, tanto a sé quanto a Troy. «E dentro quel tridente ci sarebbero quindi semi di piante e animali migliori?» Troy assentì.

Nel cilindro ci fu del movimento. Le sottili membrane di separazione dei sottovolumi stavano sviluppando una sorta di fili guida che andavano ad avvolgersi attorno a ciascun oggetto d’oro. Carol ricaricò la macchina con un dischetto nuovo e corse attorno al cilindro a fotografare, arrestandosi nei punti più adatti, l’intero processo. Troy abbassò gli occhi al braccialetto. «Non c’è dubbio, angelo: questi ET si stanno decisamente preparando al lancio. Forse dovremmo andare.»

«Aspetteremo il più possibile!» gridò lei dall’altra parte della sala. «Queste foto avranno un valore inestimabile!» Entrambi udivano ora strani rumori oltre le pareti: rumori non forti, ma tanto stravaganti e alieni, da lasciar disorientati. Camminando avanti e indietro nervosamente, Troy ne ascoltò l’intera gamma. Carol gli si avvicinò. «E poi, Nick ci ha chiesto di aspettarlo» disse.

«Benissimo,» rispose Troy «purché siano disposti ad aspettare loro.» Sembrava nervoso in maniera insolita. «Non intendo infatti trovarmi a bordo, quando questi tizi lasceranno la Terra.»

«Ehi, signor Jefferson, l’uomo calmo dovresti essere tu» disse Carol. «Rilassati, dunque! Non hai detto tu stesso che saranno loro a buttarci fuori prima di partire?» Si arrestò a scrutarlo. «Cosa sai che io non so?»