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Mentre Nick attraversava la sala verso di lui, i suoni intermittenti oltre le pareti aumentarono di ampiezza e frequenza. Dietro il cilindro, vicino a una delle grandi macchine di supporto, si apri una porta, per la quale entrarono, serpeggiando come vermi, due tappeti, immediatamente seguiti da due guardiani e quattro piattaforme su cingoli. Le piattaforme portavano pile di materiali da costruzione, e, guidate due per volta in un angolo della sala da ciascun guardiano, cominciarono a fabbricare robusti puntali d’ancoraggio per il cilindro.

I due tappeti vennero al centro della sala a porsi davanti a Nick. Qui si ersero in verticale e s’inclinarono in direzione dell’uscita oceanica. «Ci stanno dicendo che è tempo che andiamo» disse Carol, affiancandosi a Nick con Troy.

«Capisco, ma non sono ancora pronto» replicò Nick. Poi, rivolto a Troy: «Sai se questo gioco abbia un qualche tasto X? Perché mi farebbe comodo una pausa d’arresto».

«Non credo proprio, professore» rise Troy. «Né c’è modo di “salvare la partita” e di ritentare.»

Nick sembrava assorto in meditazione. I tappeti, intanto, continuavano a indicare l’uscita. «Su, Nick, andiamo prima che vadano in collera» disse Carol, afferrandogli il braccio.

Ma Nick avanzò di scatto verso uno dei tappeti porgendo la culla d’oro. «Ecco qua: prendetela e mettetela con le altre nel cilindro, dov’è il suo posto» disse. Il tappeto rinculò e mosse l’estremità superiore da destra a sinistra. Poi unì i lati lunghi e si puntò verso di lui.

«Non c’è bisogno del braccialetto per interpretare quel gesto» osservò Troy. «Ti sta chiaramente dicendo di riportare il tridente sulla barca.»

Nick assentì e rimase zitto un momento. «È l’unico?» chiese quindi a Troy, che non capì la domanda. «È l’unico pacchetto di semi per la Terra?»

«Credo di sì» rispose Troy dopo un istante d’esitazione, guardandolo perplesso.

L’attività in corso nella sala era intanto cresciuta d’intensità. Mentre, in mezzo, a tanto fervore, il capitano Winters si dirigeva placido verso il terzetto, i guardiani e le piattaforme lavoravano intensamente negli angoli. Dietro le pareti si udiva il rumore di apparecchiature spostate e, mentre la musica d’organo si faceva più forte e vagamente minacciosa, dal soffitto si spiegò, e scese lentamente verso il cilindro, una gigantesca calza, o copertura che fosse, imbottita di materiale soffice e cedevole. Il capitano Winters si guardava intorno con franco sbalordimento. Sempre serenamente pago della bellezza e intensità della propria epifania, prestava scarsa attenzione a ciò che stavano dicendo gli altri.

«Ma il tridente se lo devono assolutamente prendere loro» diceva in quel momento Nick, serio, a Carol e Troy. «Non capite? Ora che so che contiene semi umani, è tanto più importante. Altrimenti, i nostri figli non avranno la minima possibilità!»

«Ma i loro erano così belli, così intelligenti» disse Carol. «Tu non li hai visti, ma noi sì, e non posso credere che quei bambini possano mai fare del male a qualcuno o a qualcosa.»

«Io non dico che ci distruggerebbero di proposito: dico solo che accadrebbe inevitabilmente» obiettò Nick.

I tappeti avevano cominciato a saltellare su e giù. «Lo so, lo so,» disse Nick, tornando a porgere la culla «volete che ce ne andiamo. Prima, però, vi prego di ascoltarmi. Noi vi abbiamo aiutati: ora, vi chiedo, siate voi ad aiutare noi. Ho paura del contenuto di questo pacchetto temo che possa sconvolgere il delicato equilibrio del nostro pianeta. Il progresso della nostra specie è stato lento, sussultorio, con un numero di passi indietro pressoché uguale a quello dei passi avanti. Qualunque cosa sia contenuta qua dentro, la nostra evoluzione futura potrebbe esserne minacciata, o subire un arresto totale.»

L’attività della sala continuava senza soste. Il discorso di Nick non suscitò alcuna particolare reazione da parte dei tappeti, che ora andavano scambievolmente dal centro della sala all’uscita e viceversa come a chiarir meglio il loro messaggio a quegli ottusi di umani. Nick guardò Carol come a chiederle soccorso. Lei gli restituì lo sguardo con un sorriso e, dopo qualche secondo, venne a prendergli la mano. I loro occhi s’incrociarono brevemente quando lei prese a parlare, e Nick le colse nello sguardo un’espressione nuova, come d’ammirazione.

«Ha ragione lui, sapete» disse Carol alla coppia di tappeti. «Voi non avete riflettuto abbastanza all’esito di questa vostra missione. Prima o poi, i vostri embrioni speciali e gli umani già presenti su questo pianeta interagirebbero, e sarebbe la catastrofe. E se il pacchetto di semi venisse trovato prima dello sviluppo pieno dei vostri superumani, sono sicura che i Terrestri si sentirebbero costretti a distruggerlo. Quale altra reazione potrebbero avere, infatti? Anche se l’entità della minaccia non fosse misurabile, chiunque riconoscerebbe facilmente che delle creature biogeneticamente create da superalieni non potrebbero che porre un problema gigantesco alle specie natie di questo pianeta.»

Alle loro spalle, Troy ascoltava attentamente, mentre attorno a lui continuavano a fervere i preparativi di lancio. Guardiani e piattaforme avevano terminato il loro lavoro. Le due coppie di puntali d’ancoraggio da essi fabbricate per attutire le vibrazioni in fase di lancio erano ormai pronte, e il cilindro non lasciava più vedere le culle dorate al proprio interno perché la copertura aveva oramai quasi raggiunto il pavimento.

«… Perciò, se non riportate via con voi questa culla d’oro, magari per depositarla su un altro mondo al momento ancora sprovvisto di vita intelligente, il risultato sarà una morte non necessaria: o dei vostri semi, che periranno prima della maturazione, o degli umani nativi come noi, che finiranno inghiottiti, se non direttamente uccisi, dagli esseri più capaci da voi biogeneticamente creati. Il che mi sembrerebbe un’iniqua ricompensa per quanto abbiamo fatto per voi.»

Carol si arrestò per osservare quattro strane corde che, estendendosi dalla cima e quasi dalla base del cilindro, serpeggiarono nell’aria sino a fissarsi ai puntali d’ancoraggio negli angoli della sala. I tappeti s’agitavano sempre più. I guardiani esaurirono il controllo delle procedure prelancio, e, di scatto, puntarono verso i quattro esseri umani.

Stringendo più forte la mano di Nick, Carol continuò, in tono lievemente incrinato dalla paura alla vista della marcia decisa dei guardiani: «Forse è vero che la nostra evoluzione naturale è un processo lento e non del tutto soddisfacente, ed è sicuramente vero che noi umani commettiamo errori, sia come individui sia come gruppi. Ma voi non potete trascurare il fatto che questo pur imperfetto processo ha prodotto gente come noi, che ha avuto abbastanza preveggenza o compassione o come vi piace chiamarla.»

«Fermi!» gridò Troy, strappando la culla dalla mano di Nick e sbarrando il passo a uno dei minacciosi guardiani. «Fermi!» gridò di nuovo, mentre a soli pochi centimetri gli roteavano davanti minacciose due bacchette con strumenti da taglio alle estremità.

Miracolosamente, cessò ogni attività: tappeti e guardiani s’immobilizzarono, cessarono i rumori entro la parete e tacque anche la musica d’organo. «Di noi tutti,» continuò Troy a voce spiegata, la testa china all’indietro e rivolta al soffitto «quello che sa di più circa lo scopo della vostra missione sono io. Così come sono io quello che ha più da perdere dal raccomandarvi di rinunciare a questa sua parte. Ciononostante, concordo coi miei amici.»