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Nel mondo marino dei fondali del golfo del Messico, Nick Williams si sentiva nel proprio elemento. Quel mondo era il suo luogo di rifugio e di ricreazione. Ogni volta che si sentiva angosciato o disturbato dagli eventi in superficie, sapeva che gli bastava immergersi per trovare distensione ed evasione. Salvo che, in questa particolare immersione, provava un’emozione ineffabile, come d’un inizio, di un’aspirazione a qualcosa di non ben definito, mista forse a un ricordo di anni addietro. Stava seguendo un’ondina che nuotava lungo la scogliera, e la vista lo emozionava. Mi sono comportato come un ragazzino rompiballe, o peggio, pensò. E perché? Perché è bella? No. Perché è tanto viva. Tanto più viva di me…

Carol e Nick fecero due giri esplorativi, ciascuno a partire dal cavo dell’àncora, senza trovare né balene né altro. Quando tornarono all’àncora dopo il secondo, Nick indicò l’orologio: erano sott’acqua ormai da quasi mezz’ora. Carol fece di sì con la testa, poi alzò l’indice per segnalare che intendeva tentare una terza e ultima direzione.

Trovarono le balene subito dopo aver superato un grosso scoglio della barriera che si protendeva sino a cinque metri dalla superficie. Fu Nick ad avvistarle per primo. Indicò in basso: le tre balene erano circa sei metri più sotto, e più avanti di una trentina, e nuotavano lente, più o meno appaiate, in quella sorta di cerchio che Nick e Carol avevano osservato sullo schermo. Carol fece segno a Nick di scostarsi e indicò la macchina fotografica. Poi nuotò verso le balene, scattando foto nell’avvicinarsi ed effettuando nel contempo due altre manovre: il controllo della profondità e la regolazione della pressione auricolare.

Nick le scese accanto. Le balene, ne era certo, dovevano averli avvistati, però, chissà perché, non accennavano a fuggire. In tutti i suoi anni di immersione, solo una volta gli era capitato di vedere una balena in oceano aperto tollerare la vicinanza di un essere umano: e s’era trattato di una femmina in travaglio, incontrata in una laguna del Pacifico al largo della Bassa California — una femmina sulla quale i dolori del parto avevano potuto più del timore istintivo dell’uomo. Qui, invece, anche dopo che Carol s’era portata a cinque, sei metri da loro, le balene continuavano quella loro indolente deriva — come perdute, come drogate, anzi.

Visto che le balene non accennavano a fuggire, Carol rallentò l’approccio e scattò altre fotografie. Le riprese ravvicinate di balene nell’habitat naturale erano ancora qualcosa di eccezionale, per cui il suo viaggio era già di per sé un successo giornalistico. Ma quel loro comportamento lasciava interdetta anche lei. Come mai ignoravano la sua presenza? E come mai ciondolavano in quello specifico punto? Ricordò la balena solitaria che l’aveva sorpresa durante la nuotata del mattino, e tornò a domandarsi se tutti questi episodi non fossero in qualche modo correlati.

Meno di venti metri sulla sua destra, Nick stava indicando qualcosa al di là delle balene e le faceva segno di avvicinarsi. Lei si staccò dai grandi mammiferi e si diresse verso di lui. Vide immediatamente ciò che ne aveva attirato l’attenzione: sotto le balene, sul fondo dell’oceano, si apriva, in un’imponente struttura corallina, un grande buco nero, che a prima vista sembrava l’ingresso di una grotta sottomarina. L’occhio acuto di Carol notò però che il buco, anzi la fessura a forma di labbra, presentava una tale regolarità e simmetria, da suggerire quasi che si trattasse di un’opera d’ingegneria umana. Nel salire verso Nick, rise fra sé: lo sbalorditivo mondo sottomarino e il bizzarro comportamento di quelle balene cominciavano a farle venire idee balzane…

Nick indicò il buco, poi se stesso, segnalando così l’intenzione di voler scendere a controllare più da vicino. Quando si avviò, Carol provò l’improvviso impulso di allungare la mano per afferrargli il piede e trattenerlo. Un istante dopo, mentre lo osservava scendere, venne presa da un’ondata travolgente d’inspiegabile paura. Tremante, tentò bravamente di contrastare quella strana sensazione: ma gambe e braccia le si coprirono di pelle d’oca, e dentro di sé avvertì un prepotente desiderio di andarsene, di fuggire prima che accadesse qualcosa di terribile.

Un istante dopo vide una delle balene muovere verso Nick. Fosse stata in superficie, avrebbe potuto urlare, ma, a quindici metri di profondità, non c’era modo di lanciare avvertimenti da lontano. Quando Nick, ignaro di ogni pericolo, si avvicinò all’apertura, una delle balene lo urtò, sfiorandolo, con tale forza da scagliarlo contro la barriera. Carambolando, Nick ricadde su una piccola chiazza di sabbia del fondale. Carol nuotò rapidamente verso di lui, tenendo però al tempo stesso d’occhio le balene. Nick aveva perso l’erogatore e non dava cenno di voler prendere quello di riserva. Lei gli si fermò accanto e fece il segnale di pollice ritto. Nessuna risposta. Gli occhi di Nick erano chiusi.

L’adrenalina che le montava nel sangue, Carol afferrò l’erogatore di Nick e glielo ficcò in bocca, battendo contemporaneamente col pugno sul vetro della maschera. Dopo pochi, ma interminabili secondi, Nick aprì gli occhi. Carol ripeté il segnale di pollice ritto. Nick scosse la testa come a sgombrarla delle ragnatele, sorrise, e finalmente rispose al segnale. Poi fece per muoversi, ma venne fermato da Carol, che gli fece segno di aspettare tranquillo che lei gli facesse un frettoloso esame. Data la forza con cui aveva battuto contro la barriera, Carol temeva il peggio: l’attrezzatura da immersione poteva infatti anche essere intatta, ma l’impatto contro il corallo tagliente doveva per forza avergli strappato e lacerato la pelle. Incredibilmente, invece, né il corpo né l’equipaggiamento rivelavano danni significativi, a parte un paio di piccole abrasioni.

Le tre balene erano sempre nel punto in cui lei e lui le avevano trovate. Ossevandole dal disotto, Carol si disse che sembravano sentinelle di guardia a un particolare settore del territorio oceanico: nuotavano avanti e indietro, descrivendo un arco complessivo di forse duecento metri. Che cosa avesse spinto una di esse a deviare dalla rotta di pattugliamento per investire Nick, non era minimamente chiaro, ma lei non intendeva certo arrischiare un nuovo incontro. Fece quindi segno a Nick di seguirla, e si allontanò con lui di una trentina di metri, raggiungendo una trincea di sabbia fra gli scogli.

Carol contava di tornare in superficie non appena si fosse accertata che Nick non aveva riportato ferite gravi. Ma, mentre gli esaminava minuziosamente il corpo per assicurarsi che al suo primo, frettoloso controllo non fosse sfuggita qualche lacerazione seria, Nick scoprì, nella sabbia accanto a sé, due solchi paralleli, e le afferrò il braccio per indicarglieli. I solchi sembravano impronte di carro armato, erano profondi sugli otto centimetri, e sembravano freschi. Andavano in due direzioni: verso la fessura della barriera sotto le tre balene, e, a perdita d’occhio, lungo la trincea sabbiosa che correva tra le due maggiori scogliere della zona.

Nick indicò di voler risalire la trincea e si avviò in tale direzione, seguendo i solchi come affascinato e senza voltarsi a guardare se Carol lo seguisse. Carol arretrò invece rapidamente in direzione della fessura (era di nuovo una sua impressione, o le tre balene non perdevano un movimento del suo avanzare lungo il fondale?) per scattare foto e accertare che i solchi partissero appunto da essa. Proprio davanti alla fessura le parve di veder convergere una rete di solchi analoghi, ma non si soffermò a verificare. Star separata da Nick in un posto sinistro come quello, proprio non le andava… Quando si volse, lui era quasi fuori vista. Per fortuna, quando si era reso conto di non averla dietro, si era fermato. Lei andò a raggiungerlo, e lui si scusò con un gesto.

Le linee parallele cessavano nel punto in cui la trincea sabbiosa si trasformava in roccia, ma Nick e Carol le ritrovarono una cinquantina di metri più oltre. Poi la trincea si restrinse tanto, da costringerli a nuotare un paio di metri al disopra per evitare di sbattere contro la roccia e il corallo. Subito dopo il restringimento, solchi e trincea piegavano a sinistra per sparire sotto una sporgenza. Carol e Nick si fermarono e, immobili l’uno dinanzi all’altra, si parlarono a gesti. Alla fine decisero che, a scendere per controllare se ci fosse qualcosa sotto la sporgenza, sarebbe stata Carol, che, quanto meno, avrebbe potuto scattare una foto ravvicinata del punto di sparizione dei solchi.