Carol scese con le dovute cautele sul fondo della trincea, evitando abilmente il contatto coi due fianchi della scogliera. Nel punto in cui spariva sotto la sporgenza, la trincea si restringeva a una fessura nella quale passava giusto, inserendolo dall’alto, il suo piede pinnato. La sporgenza era a mezzo metro circa dal fondo, ma Carol non aveva modo di chinarsi per guardarvi sotto, perché, comunque l’avesse fatto, si sarebbe sbucciata viso o mani contro la roccia. Allora, piano piano infilò la mano nella fessura, nel punto in cui sparivano i solchi. Niente. Bisognava dunque appoggiarsi a rocce e corallo, e affondare di più la mano.
Mentre cercava una posizione migliore, perse un attimo l’equilibrio e sentì la puntura del corallo sul retro della coscia sinistra. Acc…, pensò, mentre reinfilava la destra sotto la sporgenza. Zero a uno per me. Un ricordino fisico di una giornata stupefacente. Inquietante, anzi. Balene bizzarre, impronte di carro armato sul fondo dell’oceano… e questo, cos’è? La sua mano si chiuse su ciò che sembrava al tatto una bacchetta metallica di circa tre centimetri di spessore. La sorpresa fu tale, da farle ritrarre all’istante la mano e da provocarle un brivido lungo la schiena. Sentì il cuore accelerare i battiti, e respirò lentamente per imporsi la calma. Poi reinfilò la mano e ritrovò l’oggetto. Ma non era lo stesso… Perché sembrava sì metallico al tatto, ma più grosso e con quattro denti tipo forchetta. Fece scivolare la mano lungo l’oggetto, e ritrovò la parte che somigliava a una bacchetta.
Dal suo punto d’osservazione, Nick si accorse che Carol doveva aver scoperto qualcosa, e, preso a sua volta dall’emozione, le calò accanto mentre lei si agitava invano per recuperare l’oggetto. Scambiatisi il posto, fu lui a infilare la mano sotto la roccia sporgente. Dapprima toccò qualcosa che sembrava una sfera liscia grande all’incirca quanto la sua palma. La sfera poggiava sulla sabbia e la bacchetta che vi era attaccata era alta diversi centimetri. Irrigidendosi, diede uno strattone alla bacchetta, smuovendola di un poco. Allora passò a tirare di lato e a far forza. Dopo una serie di strattoni, l’oggetto uscì da sotto la sporgenza.
Per quasi un minuto, Nick e Carol rimasero chini sull’oggetto metallico color oro che giaceva là sulla sabbia. Aveva una superficie liscia alla vista come al tatto, e una lunghezza totale di circa mezzo metro. Di esso non si vedeva che la superficie lucida, a specchio, che lo rivelava appunto fatto d’un qualche metallo. Il suo asse verticale era costituito da una bacchetta di circa due centimetri e mezzo di spessore, affusolata a un’estremità e infilata in una specie di gancio. A dieci centimetri dal gancio si trovava il centro di una piccola sfera, simmetricamente costruita attorno alla bacchetta e di raggio di poco superiore ai cinque centimetri. La sfera più grossa, toccata da Nick quando aveva infilato per la prima volta la mano sotto la sporgenza, aveva un raggio di circa dieci centimetri e stava esattamente al centro della bacchetta. E anch’essa era perfettamente simmetrica all’asse della bacchetta. A parte le due sfere, l’oggetto non presentava altro che una quadruplicazione della bacchetta all’altra estremità — i denti sentiti da Carol.
Carol fotografò con cura l’oggetto nella posizione in cui stava, davanti alla sporgenza. Prima che potesse finire, Nick indicò l’orologio. Erano sott’acqua da quasi un’ora. Carol controllò il manometro dell’aria e scoprì di essere vicina al rosso. Fece allora segno a Nick, e questi scese a raccogliere l’oggetto. Era pesantissimo: almeno dieci chili, secondo la sbalordita stima di Nick — che pensò: Allora non era incastrato, quando mi sforzavo di tiralo fuori… era il peso e basta.
Un peso che non fece che accrescergli l’emozione che l’aveva preso alla vista del color oro. Sebbene infatti non avesse mai visto nulla di simile a quel gancio e forchetta con sfere, ricordava che gli oggetti più pesanti del relitto della Santa Rosa erano risultati tutti essere d’oro. E l’oggetto che ora aveva in mano era assai più pesante di qualunque altro avesse mai toccato. Gesù, si disse, mentre liberava la cintura di qualche peso di piombo per agevolarsi la risalita con l’oggetto, se contenesse anche solo cinque chili d’oro puro, all’attuale valore di mercato di mille dollari l’oncia farebbero 160,000 dollari — e potrebbe essere solo l’inizio! Perché ce ne dev’essere dell’altro, nel luogo di provenienza di ’sto coso. Bene, Williams: forse questo è proprio il tuo giorno fortunato…
Carol, intanto mentre nuotava in tandem con Nick verso il varo dell’àncora, viaggiava di un miglio al minuto col pensiero, sforzandosi di integrare rapidamente tutto ciò che aveva visto in quell’ora. Ogni cosa, ne era convinta, era in qualche modo collegata al missile errabondo della Marina: il comportamento delle balene come la forchetta d’oro col gancio e i solchi di carro armato sul fondo dell’oceano; ma, lì per lì, non avrebbe saputo concretamente come.
Mentre nuotava, ricordò a un tratto di aver letto, anni prima, la storia di certe impronte lasciate da un sottomarino sovietico sul fondale antistante una base della Marina svedese. Nella sua mente di giornalista prese così a imbastirsi uno scenario strampalato, ma plausibile, che poteva spiegare quanto aveva visto. Forse il missile è caduto qui vicino e ha continuato a trasmettere dati anche da sott’acqua, ragionò. I suoi segnali elettronici avranno confuso in qualche modo le balene. E può darsi che siano stati captati da sottomarini russi. E americani. Per un momento, non seppe più cosa pensare. Poi, dopo qualche altra bracciata e mentre osservava Nick avvicinarsi al cavo dell’ancora con l’oggetto dorato sempre saldamente in mano, si disse: A questo punto, ci sono almeno due possibilità: o sono incappata in un complotto dei russi per localizzare e sottrarre un missile americano, o solchi e forchetta d’oro rientrano in un tentativo americano di trovare il missile lasciando all’oscuro l’opinione pubblica. Comunque sia, resta un colpo giornalistico sensazionale. Ma prima bisogna che porti ’sto coso d’oro a Dale e all’IOM perché lo analizzino.
Sia Nick sia lei emersero ormai pericolosamente a corto d’aria, a lato della Florida Queen. Data la voce a Troy perché li aiutasse ad alare il bottino dell’immersione, si issarono finalmente a bordo. Erano sfiniti, ma, entrambi al colmo dell’agitazione, emozionati dalle scoperte fatte, cominciarono immediatamente a parlare tutt’e due insieme. Anche Troy aveva qualcosa da raccontare. Mentre Nick e Carol seguivano i solchi della trincea, aveva infatti visto qualcosa di insolito sul monitor.
Nick andò a prendere della birra e dei tramezzini dal frigorifero, e Carol si medicò le lacerazioni da corallo. Poi il terzetto sedette ridendo sulle sdraio sotto il sole al tramonto. Nei novanta minuti del viaggio di ritorno a Key West, i tre ebbero parecchie cose da dirsi.
8
Il cameratismo durò per gran parte del ritorno al porto turistico. Nick perse il proprio mutismo: anzi, eccitato da quello che giudicava essere il primo ritrovamento di un grande tesoro sepolto, si mostrò decisamente ciarliero. Raccontò la propria versione dello scontro con la balena almeno due volte, dicendosi certo che doveva essere stato accidentale: la balena si era trovata, chissà come, a procedere in una certa direzione e non aveva fatto caso alla sua presenza.