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Prima dell’attracco a Key West, l’accordo di compromesso era raggiunto. L’indomani mattina, venerdì, Nick avrebbe portato il tridente d’oro (il nome scelto da Carol era piaciuto sia a lui sia a Troy) a un’anziana donna di Key West, enciclopedia vivente in materia di tesori, lo avrebbe stimato, ne avrebbe indicato luogo e provenienza, e avrebbe funto da testimone del ritrovamento in caso l’oggetto fosse andato smarrito. Nel pomeriggio, poi, si sarebbero incontrati tutt’e tre sulla barca o nel parcheggio del porto alle quattro, e Carol avrebbe preso in consegna il tridente durante il fine settimana, con impegno di riconsegnarlo a Nick il lunedì mattina perché lo custodisse e ne curasse la vendita finale. Il tridente era proprietà comune di tutt’e tre; i ritrovamenti futuri avrebbero invece riguardato solo Troy e Nick, perché Carol non vi era minimamente interessata. Scritte le clausole del semplice accordo sul retro di un menù di ristorante trovato in borsetta, Carol firmò coi suoi compagni e promise di portar loro delle copie l’indomani.

In silenzio, senza più manifestazioni di esuberanza, Troy reinfilò nel baule le attrezzature di Carol, poi caricò il baule sul carretto e si avviò lungo la gettata, affiancato da Carol. Erano quasi le nove, e il porto, dai moli di legno illuminati d’uno strano riflesso dagli alti fanali a luce fluorescente, era immerso nella quiete. «Be’, angelo, è stata una gran giornata» disse Troy a Carol mentre s’avvicinavano alla capitaneria. «E la tua compagnia è stata per me un vero piacere.» Qui si fermò e si voltò a guardarla. I capelli neri non completamente asciutti le davano un aspetto alquanto arruffato, ma il viso era bello nella luce riflessa.

«Sai,» continuò, spostando lo sguardo verso l’acqua e le barche «è proprio un peccato che, a volte, la vita vada come va. Si conosce qualcuno per caso, si fa amicizia, e paf, il qualcuno se ne va. È tutto così… fugace.»

Carol gli si accostò e s’allungò a baciargli la guancia. «Be’, anche tu mi sei simpatico, sai?» disse, buttando la conversazione sul leggero con un sorriso e facendo così in modo di fargli capire quale genere d’amicizia potesse instaurarsi fra loro. «Ma su con la vita! Non è tutto perduto: mi vedrai domani per un po’, e poi, forse, lunedì, alla riconsegna del coso d’oro.»

Prendendolo quindi a braccetto mentre, lasciato il carretto, tornavano indietro di qualche passo, continuò ridendo: «E chissà: visto che ogni tanto capito nelle Key, potremmo bere qualcosa insieme e tu potresti raccontarmi qualche altra delle tue storie». Qualche centinaio di metri più in là, si distingueva a stento il faro orientabile sopra il tendaletto della Florida Queen. «Vedo che il tuo amico professore è ancora al lavoro. In fatto di addii — anzi, di maniere in genere, direi —, non è uno che si sprechi.»

Si girò, dando l’altro braccio a Troy, e tornò con lui al carretto. Attraversarono la capitaneria, apparantemente deserta, senza più parlare. Caricato il baule sulla giardinetta, Carol si congedò da Troy con un abbraccio. «Sei un brav’uomo, Troy Jefferson. Ti auguro ogni bene.»

Quando Troy tornò alla barca, trovò Nick quasi pronto a sbarcare. «Ha un’aria abbastanza innocente, eh, Troy?» disse, alludendo alla piccola sacca sportiva che stava preparando. «Nessuno sospetterà mai che contenga uno dei grandi tesori dell’oceano.» Dopo una pausa, cambiò argomento. «L’hai sistemata in macchina? Bene. È un tipetto strano, non ti pare? Petulante e aggressiva, però anche carina. Mi domando che cos’è che la muove.»

Chiuse la lampo della sacca e passò a fianco del tendaletto. «Per stasera, limitati a mettere a posto gli attrezzi da immersione. Il resto, lascialo perdere: sistemeremo domani. Io adesso vado a casa a sognar ricchezze.»

«A proposito di ricchezze, professore,» disse Troy con un sorriso «e quei cento dollari che t’ho chieso in prestito martedì? Tu mi hai detto solo un “vedremo”, ma una risposta vera non me l’hai poi data.»

Nick gli si avvicinò con passo deciso, gli si piantò davanti, poi rispose, scandendo le parole: «Avrei dovuto fare il mio discorso alla Polonio a entrambi fin dalla prima volta che mi hai chiesto un prestito. Così, invece, io ora faccio quello che presta e tu quello che prende in prestito, e la cosa non mi garba. Ti presterò dunque cento dollari, signor Troy Jefferson, ma sia chiaro che questa è l’ultima volta. E fammi la cortesia di non venirmene a chiedere più, perché questi prestiti per le tue sedicenti invenzioni mi rendono difficile lavorare con te».

Un po’ sorpreso dall’inattesa durezza di tono di Nick, e irritato dall’allusione implicita nell’ultima frase, Troy rispose piano, frenandosi: «Intendi forse che io non direi la verità e che i soldi non andrebbero in elettronica? O vuoi dire che non credi che un nero senza istruzione possa mai inventare qualcosa di buono?».

«Risparmiami la tua giusta indignazione razziale» rispose Nick, tornando a piantarglisi di fronte. «Qui non si tratta di pregiudizi o menzogne, ma solo e semplicemente di soldi. Il mio prestarteli manda a puttane la nostra amicizia.» Troy fece per ribattere, ma Nick lo bloccò con un cenno. «È stata una giornata lunga, e anche affascinante, volendo. Quello che avevo da dire sull’argomento prestiti, l’ho detto; quindi, chiudiamola lì.»

Raccolta la sacca, gli diede la buonanotte e sbarcò. Troy passò dietro il tendaletto a sistemare l’attrezzatura da immersione. Una decina di minuti dopo, mentre stava finendo, si udì chiamare per nome. «Troy… Troy, sei tu?» diceva una voce dall’accento straniero.

Si sporse dal tendaletto e vide Greta sulla gettata, sotto la luce fluorescente. Benché avesse rinfrescato, portava il solito bikini ridottissimo, che metteva in rilievo il suo splendido fisico. «Questa poi… Ma è la supercrucca!» esclamò Troy con un gran sorriso. «E come stai, accidenti a te? Vedo che non hai smesso di prenderti cura di quel tuo meraviglioso corpo…»

Greta abbozzò un sorriso. «Homer, Ellen e io diamo un piccolo party, stasera. E siccome ti abbiamo visto lavorare fino a tardi, abbiamo pensato che magari ti andava di raggiungerci, quando avrai finito.»

«Potrebbe andarmi sì» disse Troy, assentendo col capo. «Già, potrebbe proprio andarmi.»

9

«Oh, Dio, non possiamo finire qui, una volta per tutte? Concedilo, ti prego. C’è tanta pace, ora…» La donna parlava alle stelle e al cielo. Il vecchio sulla sedia a rotelle reclinò il capo ed esalò l’ultimo respiro. Hannah Jelkes gli s’inginocchiò accanto per vedere se fosse morto davvero; poi, baciatolo sulla corona del capo, alzò al cielo un sorriso colmo di serenità. Calò il sipario. Qualche secondo dopo tornò su, mentre gli attori al completo si riunivano sulla scena.

«Bene, per stasera è tutto: bravi.» Il regista, Melvin Burton, un uomo sui sessanta appena passati, capelli grigi che cominciavano a diradarsi al culmine della testa, si accostò al palcoscenico d’un balzo. «Ottima prova, Henrietta. Vedi di ripeterla identica domani sera alla prima: proprio la combinazione giusta di forza e vulnerabilità!» Poi, saltando agilmente sul palcoscenico: «In quanto a te, Jessie, se mi fai Maxine anche solo un pelo più sensuale, qui ci fanno chiuder baracca». Girò quindi sui tacchi con gesto teatrale e si unì alla risata di due altre persone sedute in quarta fila.

«Bene, ragazzi,» continuò, rigirandosi verso gli attori «ora andate a casa e prendetevi un bel po’ di riposo. Stasera è andata meglio: la prova mi è sembrata buona. Oh, comandante: lei e Tiffani non potreste fermarvi un momento, dopo che vi siete cambiati? Avrei ancora un paio di suggerimenti per voi.»

Saltò dal palcoscenico e tornò alla quarta fila, dove sedevano i suoi due associati. Uno era una donna, anche più anziana di lui ma con occhi verdi sfavillanti dietro gli occhiali da nonna, e vestita di un abito stampato in cui rilucevano tutti i colori della primavera. L’altro era un uomo sulla quarantina, dal viso serio e dai modi franchi e affabili. Melvin si accomodò loro accanto tutto in agitazione. «Quando abbiamo scelto la Notte dell’iguana, ero preoccupato che potesse essere troppo difficile per Key West. Non è infatti famosa come Un tram che si chiama desiderio o Lo zoo di vetro, e i personaggi sono, per certi versi, altrettanto peregrini di quelli di Improvvisamente, l’estate scorsa. Ma adesso sembra quasi perfetta. A patto di metter a posto le scene fra Shannon e Charlotte.»