Winters si alzò e andò a guardare dalla finestra aperta. Oltre la zanzariera saliva il dolce sussurrìo dei grilli. «Si tratta di un uomo che perde il suo posto accanto a Dio perché non sa o non vuole dominare i propri atti. Si tratta…» Volse la testa di scatto e sorprese il figlio in atto di guardare l’orologio. La delusione gli diede una fitta al cuore. Attese di calmarsi, poi, sospirando, disse: «Be’, ne parleremo un’altra volta, figliolo. Mi rendo conto solo adesso di quanto è tardi».
Andò alla porta. «Buonanotte, Hap.»
Passò oltre la camera della moglie, diretto alla terza stanza in fondo al corridoio. Si spogliò lentamente, avvertendo ancor più forte quella sensazione di desiderio insoddisfatto. Per un fuggevole secondo pensò di svegliare Betty, per parlare e magari… Ma no. Questo non è mai stato il suo stile, si disse. E già fin da prima che dormissimo insieme. E dopo la Libia e i sogni e i pianti notturni, chi potrebbe biasimarla di voler far camera a parte…
S’infilò nel letto in mutande, e si lasciò cullare dalla melodia dei grilli. E poi, lei ha il suo Dio, e io la mia disperazione. Fra noi non c’è più altro che Hap. Ci accoppiamo come estranei, entrambi timorosi d’una qualsiasi scoperta.
10
«La sala comunicazioni chiude fra cinque minuti. La sala comunicazioni chiude fra cinque minuti.» La voce asessuata del disco sembrava stanca. Carol Dawson non lo era di meno. Stava parlando al videotelefono con Dale Michaels, e la consolle sottostante allo schermo e alla telecamera era disseminata di fotografie.
«Va bene, credo che tu abbia ragione» stava dicendo. «Per risolvere ’sto rompicapo, l’unico modo è che io ti porti a Miami tutte le foto e il registratore del telescopio.» Un sospiro seguito da uno sbadiglio. Poi: «Verrò domattina presto, col volo che arriva alle sette e mezzo, così il laboratorio potrà dare subito un’occhiata ai dati registrati. Ricorda, però, che devo essere di ritorno in tempo per andare, alle quattro, a prendere il tridente. Ce la farà, il laboratorio, a elaborare tutti i dati in un paio d’ore?».
«Il difficile non sta nell’elaborazione, ma nell’analisi e nell’imbastimento di una storia che stia in piedi. E, farlo in una o due ore, sarà dura…» Il dottor Dale sedeva sul divano del salotto del suo spazioso appartamento di Key Biscayne. Davanti, sul tavolino da caffè, aveva una magnifica scacchiera di giada a caselle verdi e bianche. Su di essa rimanevano sei pezzi intagliati: le due regine e quattro pedoni, due per ciascun campo. «Mi rendo conto dell’importanza che questo ha per te» proseguì, dopo una pausa, guardando intensamente la telecamera. «E, per aiutarti, ho cancellato la mia riunione delle undici.»
«Grazie» disse automaticamente Carol, avvertendo una punta d’irritazione. Chissà perché, pensò, mentre Dale le parlava di uno dei suoi nuovi progetti all’IOM, gli uomini esigono sempre gratitudine per ogni piccolo sacrificio. Se una donna cambia programma per fare un favore a un uomo, è la più normale delle cose; se invece è un uomo a degnarsi di far lo stesso col suo, è una roba da finimondo!
Dale non smetteva di parlare. Ora le stava raccontando tutto entusiasta di una nuova impresa messa in cantiere dall’Istituto: il rilevamento dei vulcani sottomarini della zona di Papua, in Nuova Guinea. Devo proprio essere a terra, sorrise dentro di sé Carol, rendendosi conto di essere infastidita dall’interesse di Dale per i propri obiettivi. E mi sa che sto per comportarmi da rompiballe.
«Ehi» lo interruppe, alzandosi e procedendo a radunare le fotografie. «Scusa se pianto la festa, ma qui chiudono e sono sfinita. Arrivederci a domattina.»
«Non muovi?» disse Dale, indicando la scacchiera.
«No. Né adesso, né mai più, forse» disse lei, con una traccia di collera nella voce. «Qualunque giocatore ragionevole avrebbe accettato la mossa che ti ho offerto lo scorso fine settimana, e sarebbe passato a cose più serie. Ma il tuo maledetto amor proprio non tollera l’idea di finir battuto da me una partita su cinque.»
«C’è anche chi commette errori, nella partita finale…» rispose Dale, passando sopra al contenuto emotivo dell’osservazione di lei. «Ma so che sei stanca. Dunque, verrò a prenderti all’aeroporto e faremo colazione insieme.»
«D’accordo. Buonanotte.» Riappeso un po’ bruscamente il videotelefono, Carol mise in borsa tutte le foto. (Lasciato il porto turistico, aveva portato macchina e pellicola direttamente alla camera oscura del Key West Independent, dove aveva passato un’ora nello sviluppo ed esame dei positivi. I risultati si erano rivelati sorprendenti, specialmente in un paio di casi. Un’istantanea mostrava chiaramente quattro solchi diversi che convergevano in un punto appena al disotto della fessura. Un’altra, i corpi delle tre balene in una posa che dava loro l’aria di esser immerse in conversazione.)
Uscita dal salone, attraversò lo spazioso atrio dell’albergo Marriott. Il piano bar era quasi deserto. L’agile pianista nero stava suonando una vecchia canzone di Karen Carpenter, Goodbye to Love. Un bell’uomo fra i trenta e i quaranta stava baciando una giovane biondona in un séparé sulla destra. Carol ne fu risentita. La bimba ha almeno ventitré anni suonati, si disse, ed è la sua segretaria, probabilmente, o qualcosa di simile.
Nel discendere il lungo corridoio verso la propria stanza, rifletté alla conversazione con Dale. Lui le aveva detto che la Marina aveva dei piccoli veicoli robot, alcuni dei quali derivati da disegni originari dell’IOM, che potevano facilmente essere gli autori dei solchi. Ed era praticamente certo che di veicoli simili disponevano anche i russi. In quanto al comportamento delle balene, era irrilevante, secondo lui; il grave, invece, era che lei non si fosse accertata se vi fosse altro, sotto la sporgenza (Ma certo, aveva pensato lei nel sentirselo dire, avrei dovuto dedicare almeno un altro minuto a guardarci. Accidenti a me! Speriamo di non aver guastato tutto. Poi si era ripassata nella mente l’intero episodio della sporgenza, nel tentativo di ricordare eventuali indizi che lasciassero pensare ad altri oggetti nascosti.)
Ma la sorpresa maggiore, alla conversazione con Dale, era venuta quando lei, così di sfuggita, aveva lodato il funzionamento del nuovo algoritmo d’allarme. Di colpo interessatissimo, Dale aveva chiesto; «Allora, il codice di allerta ha segnato proprio 101?».
«Ma sì,» aveva risposto lei «ed è per questo che non mi sono meravigliata di trovare l’oggetto.»
«Non è possibile,» aveva ribattuto, deciso, lui «il codice d’allerta non può essere stato azionato dal tridente. Anche se fosse stato ai margini del campo visivo del telescopio — il che sembra improbabile, visto il pezzo in trincea che hai risalito per trovarlo —, è troppo piccolo per aver potuto azionare l’allarme corpo-estraneo. E poi, come poteva esser visto, se stava sotto la sporgenza?» Dopo una pausa, Dale aveva proseguito: «Tu non hai guardato le immagini infrarosse in tempo reale, vero? Be’, quando le avremo elaborate, vedremo di capire che cos’è che ha azionato l’allarme».
Carol aprì la porta della camera d’albergo avvertendo una strana sensazione di abbattimento. È solo fatica, si disse, non volendo ammettere di sentirsi un’incapace dopo la conversazione con Dale. Posata la cartella su una sedia, andò stancamente in bagno a lavarsi il viso. Due minuti dopo si addormentava sul letto con addosso la sola biancheria intima. Pantaloni, camicetta, scarpe e calze erano ammucchiati in un angolo.
È di nuovo bambina, nel sogno, e porta il vestito a righe azzurre e gialle che i genitori le hanno regalato per il settimo compleanno. Passeggia col padre lungo il Northridge Mall in un’affollata mattina di sabato. Passano davanti a una grande pasticceria. Lei abbandona la mano del padre e corre all’interno e si ferma a bocca aperta davanti alla vetrina dei cioccolatini. L’omone dietro il banco le chiede cosa vuole, e lei ìndica delle tartarughe di cioccolato al latte.