«Secondo la teoria oggi prevalente, questi parassiti confondono i complessi sistemi di navigazione che dicono alle balene quale rotta seguire. In altre parole, la capobranco si convince in qualche modo che la rotta migratoria debba passare per la spiaggia e la terra retrostante; e le altre, data la rigorosa gerarchia del branco, le vanno dietro.»
«Io ho sentito dire, dottor Marsden, che l’aumento degli arenamenti di balene sarebbe invece dovuto a noi e al nostro inquinamento. Vorrebbe dirmi il suo parere circa l’accusa secondo la quale i responsabili del deterioramento dei biosistemi sensori usati dalle balene per navigare sarebbero i nostri scarichi e il nostro inquinamento acustico ed elettronico?»
Con lo zoom della minuscola videocamera, Carol fissò il corrugarsi delle sopracciglia di Jeff Marsden. L’intervistato, chiaramente, non si aspettava da lei una domanda tanto importante a un’ora tanto poco avanzata del mattino.
«I tentativi di spiegazione del perché si assista oggi a un numero di arenamenti assai maggiore di quello verificatosi in passato, sono molti e dei più vari» rispose Marsden dopo una pausa di riflessione. «La maggior parte degli studiosi è comunque giunta all’inevitabile conclusione che nell’ambiente delle balene è avvenuto, nell’ultimo mezzo secolo, un cambiamento. E non è troppo azzardato pensare che i responsabili di tale cambiamento possiamo benissimo essere noi.»
Carol si rese conto di disporre ora delle citazioni giuste per un breve programma televisivo. Concluse perciò rapidamente l’intervista da esperta del mestiere e, ringraziato il dottor Marsden, andò a mescolarsi agli astanti. Nel giro di un minuto trovò una folla di volontari disposti a portarla nella laguna per una ripresa ravvicinata delle balene. Nel giro di cinque, non solo esaurì diversi rullini di foto fisse, ma, montata la videocamera su un treppiedi stabile fissato a una delle barche, fece un videoclip di se stessa come narratrice della vicenda degli arenamenti.
Prima di lasciare la spiaggia di Deer Key, aprì la parte posteriore della giardinetta, che le serviva da laboratorio fotografico ambulante. Per prima cosa, riavvolse e controllò il videonastro appena girato, verificando che si sentissero bene i tonfi delle balene sullo sfondo di se stessa in barca. Poi inserì le diapositive delle macchine fisse in appositi lettori per controllare la qualità delle foto. Erano venute bene… Sorridendo a se stessa, richiuse la parte posteriore della giardinetta e tornò a Key West.
2
Completato il doppio versamento del videonastro, via modem, a Joey Hernandez di Miami, Carol, seduta in una delle cabine private del nuovo salone-comunicazioni del Marriott di Key West, chiamò un altro numero. Lo schermo che aveva davanti riportò il numero chiamato, ma rimase sgombro di immagini. Poi una voce di donna disse: «Buongiorno. Ufficio del dottor Michaels».
«Ciao, Bernice, sono Carol. Mi puoi vedere sul video.»
Il monitor si schiarì in un secondo e offrì l’immagine di una graziosa donna di mezz’età. «Oh, ciao, Carol. Aspetta che avverto Dale.»
Con un sorriso, Carol la osservò ruotare la poltroncina per portarsi a una tastiera sulla sinistra. Bernice era come assediata dalla scrivania. Davanti aveva un paio di tastiere collegate a due grandi schermi, una quantità di fessure per dischetti e una specie di telefono inserito in un altro monitor. Apparentemente era mancato lo spazio per la collocazione dell’interfono accanto al telefono, sicché Bernice dovette spingersi sulla sua poltroncina di un paio di metri per poter avvertire il dottor Dale Michaels che era chiamato al videotelefono, che a chiamare era Carol, e che la chiamata veniva da Key West. Il dottor Dale, come lo chiamavano tutti meno Carol, era infatti un uomo che non rispondeva al telefono se prima non riceveva la sua buona dose di informazioni.
A sinistra e a destra di Bernice si levavano estensioni perpendicolari della scrivania, sulla quale pile di dischetti di formato diverso (etichettate “Lettura”, “Archivio” o “Corrispondenza in partenza”) s’ammonticchiavano scambievolmente su fasci di riviste e di cartelle di cartone contenenti tabulati di computer. Bernice pigiò un tasto, ma non accadde nulla. Si scusò allora con Carol con uno sguardo allo schermo.
«Scusa, Carol, credo di aver sbagliato» disse, un po’ innervosita. «Il dottor Dale ha fatto installare un nuovo sistema anche questa settimana, e io non sono sicura di…»
Su uno dei due grandi monitor lampeggiò un messaggio. «Ah, ecco» riprese Bernice, sorridendo. «Allora ho battuto giusto. Sarà da te fra un minuto. Adesso ha qualcuno con lui, ma se la sbrigherà in fretta così da poterti vedere e parlare. Non ti spiace, vero, che ti metta in attesa?»
Carol accennò di no e l’immagine di Bernice si dissolse. Sul monitor apparve l’inizio di un breve documentario didattico sull’allevamento delle ostriche. Il documentario offriva magnifiche riprese sottomarine, effettuate con le apparecchiature fotografiche più moderne, e la voce narrante — quella melliflua, del dottor Dale — esponeva il rapporto fra le invenzioni dell’IOM (l’Istituto Oceanografico di Miami, di cui il dottor Dale Michaels era fondatore e direttore a un tempo) e il rapido incremento della piscicoltura marina d’ogni tipo. Carol non poté trattenersi dal ridere. La musica di sottofondo, che aumentava di volume nelle pause senza voce, era infatti il Canone di Pachelbel, la musica d’atmosfera preferita da Dale; e a lei, che sapeva bene a che cosa preludesse quando lui, il più prevedibile degli uomini, infilava il relativo CD nel lettore del suo appartamento, faceva uno strano effetto ascoltare il ritmo vivace dei violini come accompagnamento di primi piani di ostriche in crescita.
La storia ostricina s’interruppe comunque in medias res, e, dopo una dissolvenza, sullo schermo apparve l’interno di un ampio ufficio dirigenziale. Dale Michaels sedeva su un divano fronteggiante, dall’altro capo della stanza, la sua moderna scrivania, e fissava uno dei tre monitor visibili nell’ufficio. «Ciao di nuovo, Carol» disse tutto allegro. «Allora, com’è andata? E dove sei? Non sapevo che il Marriott avesse anche lui il videotelefono.»
Il dottor Michaels era alto e snello, e aveva capelli biondi e leggermente ondulati che cominciavano appena appena a diradarsi alle tempie. Le scoccò un sorriso un po’ troppo rapido, quasi automatico, ma il calore e la franchezza degli occhi verdi erano sinceri.
«Sono giù nel salone comunicazioni dell’albergo» rispose Carol «e ho appena inviato per disco allo Herald il pezzo sull’arenamento delle balene. Cristo, sapessi che pena, quei poveri animali, Dale! Ma come possono incasinarsi tanto, se sono così intelligenti?»
«Non si sa, Carol» disse Dale. «Ma, a parte che il nostro concetto di intelligenza e quello delle balene sono quasi certamente del tutto diversi, non è poi tanto sorprendente che questi animali obbediscano al loro sistema interno di navigazione anche quando ne siano guidati alla catastrofe. Tu, per esempio, riesci a immaginare una situazione in cui scarteresti di proposito le informazioni che ti venissero dai tuoi stessi occhi? Be’, è la stessa cosa: nelle balene abbiamo una disfunzione dell’apparato sensore primario.»
Carol rimase in silenzio per un momento, poi disse: «Credo di capire che cosa intendi, ma, vederle là così ridotte all’impotenza, fa una pena… Be’ comunque, il pezzo l’ho fatto, e su video. Fra parentesi, la nuova tecnologia videointegrata è superba. Il Marriott ha appena installato un nuovo modem potenziato da video, il che mi ha permesso di trasmettere gli otto minuti del pezzo a Joey Hernandez, di Canale 44, in soli due minuti. Lui ne è stato felice. Capirai, fa il telegiornale di mezzogiorno… Guardalo, se puoi, così mi dai un parere».
Una piccola pausa, poi: «E, fra parentesi, grazie per l’informazione, Dale».