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Quello che era successo con Tiffani, non riusciva proprio a capirlo — né poteva anche solo pensarci, senza avvertire un senso di colpa. Nel reinfilarsi la divisa della Marina, si concesse di tornare a gustare i baci di lei sul letto e, di riprovare le tensione sessuale creatasi fra loro durante la fumata comune nel vicolo. Ma, oltre la consapevolezza della propria eccitazione, si rifiutò di andare. Il senso di colpa aveva un effetto depressivo e, in quella notte di prima riuscita, lui, di sentirsi depresso, non aveva proprio voglia.

Quando uscì dal camerino comune maschile, trovò Tiffani ad aspettarlo. I capelli di nuovo raccolti in treccine, il viso sgombro di trucco, era tornata a sembrare bambina. «Comandante» disse, quasi servile «vorrebbe concedermi un favore?» Al suo sorriso di assenso, lei gli fece segno di seguirla nel corridoio adiacente al retroscena.

Qui, Winters trovò un uomo dai capelli rossi, all’incirca della sua età, che fumava nervoso una sigaretta andando su e giù. L’uomo, che si sentiva chiaramente a disagio e fuori posto, aveva accanto una bruna vistosa sulla trentina, che gli sussurrava qualcosa masticando della gomma. Alla vista di Winters in uniforme, l’uomo si rasserenò visibilmente.

«Lieto di conoscerla, signor comandante» disse a Winters, quando Tiffani lo ebbe presentato come suo padre. «Io non m’intendo molto di questo mestiere dell’attore, ma certe volte mi preoccupo che possa nuocere a mia figlia.» Un ammicco alla moglie, la matrigna di Tiffani, poi, abbassando la voce: «Sa, comandante, con tutta questa fauna di spostati, checche e perdiballe in genere, uno non ci sta mai attento abbastanza. Ma poi Tiff mi ha detto che nel cast c’era un vero ufficiale di Marina, comandante autentico, e io, sulle prime, non ci ho creduto».

Tiffani e la moglie cercavano intanto, con piccoli segni, di far capire al signor Thomas che stava parlando troppo. «Ora, anch’io sono della Marina,» continuò lui, mentre Winters rimaneva in silenzio «e da quasi venticinque anni, ormai. Arruolato da ragazzo, diciott’anni appena. Due anni dopo, conoscevo la madre di Tiff…»

«Papà» lo interruppe Tiffani «mi avevi promesso che non mi avresti messa in imbarazzo. Lui ha altro da fare, probabilmente; perciò, ti prego, fa’ la tua richiesta e basta.»

Lui, Winters, tutto si sarebbe aspettato, meno che di incontrare il padre e la matrigna di Tiffani. A dir il vero, anzi, mai aveva pensato ai genitori di lei, sebbene ora, mentre ascoltava il signor Thomas, la cosa gli sembrasse normale, essendo Tiffani, in fin dei conti, solo una studentessa di scuola superiore. Ma certo, pensò, abita ancora con i genitori. Il signor Thomas aveva assunto un’aria molto seria, che, lì per lì, gli provocò un principio di panico. Ma no, ma no, che vado a pensare: è troppo presto perché lei abbia già detto loro qualcosa, rifletté rapidamente.

«Mia moglie e io giochiamo a bridge» stava dicendo il signor Thomas «in coppia, e partecipiamo a tornei. Ora, proprio questo fine settimana ce n’è uno, regionale, a Miami, sicché partiremo domattina per tornare solo domenica notte.»

Winters ascoltava confuso e disorientato: perché mai avrebbe dovuto interessargli il modo in cui i Thomas passavano il tempo libero? Finalmente, il signor Thomas venne al punto: «Così, abbiamo telefonato alla cugina di Mae a Marathon per chiederle se poteva venire a prendere mia figlia al termine dello spettacolo di domani sera. Ma siccome questo avrebbe costretto Tiff a rinunciare alla festa degli attori, abbiamo pensato, su proposta di mia figlia, che magari potesse accompagnarla a casa lei, dalla festa, e» aggiunse il signor Thomas con un sorriso «tenerla paternamente d’occhio durante la mia assenza».

Winters guardò istintivamente Tiffani. Per pochi millisecondi, le colse negli occhi uno sguardo esperto che lo trafisse come una palla di fuoco; poi lei tornò la bambina che supplica il padre di lasciarla andare a una festa.

«Sarò senz’altro lieto di farle questo favore, signor Thomas» rispose Winters, recitando la parte alla perfezione. «Tanto più» — qualche piccola pacca alla ragazza — «che lei, la festa, se la merita proprio, dopo tutto il lavoro che ha fatto.» Una pausa, quindi: «Ma avrei un paio di domande, prima. Ci sarà sicuramente champagne, e la festa durerà probabilmente fino a tardissimo. Tiffani, ha un’ora di coprifuoco? E a proposito dello…».

«Faccia a suo giudizio, comandante» tagliò corto il signor Thomas. «Mae e io ci fidiamo ciecamente di lei.» Strettagli la mano con un «Grazie mille, allora» aggiunse, mentre si girava per avviarsi: «Ah, dimenticavo: è stato formidabile — anche se mi ha un po’ preoccupato, sa? — quando si è messo a pomiciare con mia figlia. Certo che la checca che ha scritto ’sto dramma doveva essere un tipo strambo mica male…».

La matrigna di Tiffani farfugliò un grazie tra una masticata e l’altra della sua gomma, e Tiffani disse «Arrivederci a domani» mentre se ne andava coi genitori. Winters infilò la mano in tasca alla ricerca di un’altra sigaretta.

Quando arrivò a casa verso le undici, Betty e Hap dormivano entrambi, come lui si aspettava. Superata con un passo leggero la porta del figlio, si fermò davanti a quella di Betty. Nella sua fondamentale delicatezza, pesò per qualche secondo il sonno della moglie contro la propria necessità di chiarimento, e decise di entrare a svegliarla. Quando sedette, al buio, sulle sponde del letto di lei, ebbe la sorpresa di scoprirsi nervoso.

Betty dormiva sulla schiena, col lenzuolo e una leggerissima coperta ordinatamente allineati e tirati fino a cinque centimetri dalle spalle. La scosse piano. «Betty, cara, sono io. Vorrei parlarti.» Lei si agitò nel sonno, e lui tornò a scuoterla. «Sono Vernon» disse piano.

Betty si tirò su a sedere e accese la lampada sul comodino. La luce illuminò un quadretto col volto di Gesù: un volto molto più saggio della trentina d’anni che dimostrava, barbuto, dall’espressione seria, su una testa soffusa di una sorte di alone. «Oh, santo cielo,» disse Betty, accigliandosi e stropicciandosi gli occhi «che c’è? È successo qualcosa?» Già non particolarmente bella di per sé, negli ultimi dieci anni aveva cessato di curare il proprio aspetto, e messo su una decina di chili di troppo.

«No,» rispose lui «avevo solo voglia di parlare. Di sapere perché tu e Hap ve ne siete andati subito dopo l’intervallo.»

Betty lo guardò dritto negli occhi, da donna senza malizia, anzi senza capacità di cogliere le sfumature. La vita, per lei, era semplice e chiara: se si credeva sinceramente in Dio e in Gesù Cristo, non si avevano dubbi. Su niente. «Sai, Vernon,» cominciò «mi sono spesso chiesta perché scegli di recitare in drammi tanto inconsueti. Ma non me ne sono mai lamentata, anche perché sembrano l’unica cosa che sappia emozionarti in senso positivo dopo la Libia e quel terribile incidente sulla spiaggia.»

Si accigliò, e per un istante sembrò come rannuvolarsi. Poi continuò nel suo solito tono prosaico: «Soltanto, Hap non è più un bambino, ma sta diventando un giovanotto: e ascoltare suo padre, pur se in teatro, tacciare Dio di “vecchio petulante” e “delinquente senile” non contribuisce certo a rafforzare la sua fede». Poi, stornando lo sguardo: «Secondo, e altrettanto grave motivo di turbamento per lui, ho trovato che fosse il vederti palpeggiare quella ragazzina. Insomma,» concluse, tornando a fissarlo «ho ritenuto che il dramma non avesse valori, morale, o altro, che giustificassero una nostra ulteriore presenza in sala».

Winters sentì montare la collera, ma, come sempre, lottò per dominarla. Come invidiava a Betty la fede incrollabile, la capacità di vedere chiaramente Dio in ogni attività quotidiana! Lui, invece, si sentiva disgiunto dal Dio dell’infanzia, né le sue infruttuose ricerche personali erano fino a quel punto approdate a una più chiara percezione di Lui. Un paio di cose sapeva per certo: che il suo Dio avrebbe riso coi personaggi di Tennessee Williams e avuto compassione di loro. E che i bombardamenti di bambini non gli avrebbero fatto piacere.