Angie tornò sulla pedana. Quando il chiasso si fu calmato, fu possibile udirne la voce morbida e carezzevole. «Come tutti sapete, Key West è per me un luogo molto speciale. È il luogo dove sono cresciuta e sono andata a scuola; il luogo dove mi riporta la maggior parte dei ricordi.» Qui si arrestò un istante a scrutare il pubblico. «Molte sono le canzoni che ridestano i ricordi e i sentimenti che vi sono legati. Ma, di tutte, la mia preferita è il tema conduttore della commedia musicale Cats. E a te, Key West, la dedico.»
Applausi sparsi, mentre i sintetizzatori musicali d’accompagnamento suonavano l’introduzione a Memories. Il pubblico rimase in piedi mentre la melliflua voce di Angie si lanciava nella bella canzone; e, fin dalle prime battute, Nick fu trasportato istantaneamente al Kennedy Center di Washington D.C., nel giugno dell’84, dove era andato ad assistere a una replica di Cats insieme con i genitori. Era finalmente tornato a casa per spiegare loro come mai non avesse potuto tornare a Harvard dopo le vacanze primaverili in Florida, ma, per quanto avesse tentato, non era riuscito a raccontare la storia a un padre deluso e a una madre dal cuore spezzato. Ogni volta, aveva cominciato con un «È stato per via di una donna…» e poi era ammutolito.
Era stato un triste ritorno. Mentre stava a Falls Church, a suo padre erano stati trovati nel colon, e asportati, i primi polipi maligni. I medici avevano ottimisticamente parlato di parecchi anni di vita, pur sottolineando la frequente insorgenza del cancro in simili casi e il formarsi di metastasi ad altre parti del corpo. In un lungo colloquio col padre improvvisamente infragilito, Nick aveva promesso di laurearsi a Miami. Questo, però, aveva dato ben poco piacere al vecchio, che aveva sognato di vedere il figlio laurearsi ad Harvard.
La rappresentazione di Cats al Kennedy Center non era parsa granché divertente a Nick. Verso metà spettacolo, si era sorpreso a domandarsi quanti del pubblico conoscessero davvero l’autore del materiale di fondo delle canzoni, quel poeta T.S. Eliot che non solo ammirava e apprezzava le caratteristicità feline, ma aveva aperto una sua poesia con una descrizione della sera come «largodistesa contro il cielo, come una paziente anestetizzata sul tavolaccio». Ma, quando la vecchia gatta dalla bellezza ormai avvizzita era venuta al centro della scena e aveva cominciato a cantare la canzone dei suoi “giorni al sole”, si era sentito commuovere al pari del resto del pubblico. Per ragioni a lui incomprensibili, aveva visto Monique nella parte della gatta, in anni futuri. E là a Washington aveva pianto lacrime silenziose, subito celate ai genitori, quando la voce dolorosamente pura della soprano aveva raggiunto l’apice della canzone.
«Toccami… È così facile lasciarmi… tutta sola coi ricordi… dei miei giorni al sole… Se mi tocchi… capirai che cosa sia la felicità…»
La voce di Angie allo Sloppy Joe non era altrettanto penetrante di quella della soprano di Washington, ma aveva la medesima intensità: un’intensità che evocava tutta la tristezza di una persona per la quale tutte le gioie della vita stiano nel passato. Gli occhi di Nick si riempirono di lacrime ai margini, e una traboccò a rigargli la guancia.
Dal punto in cui stava, Carol poteva vedere la guancia di Nick illuminata dal riflesso delle luci di scena. Colse così la lacrima, quella finestra di vulnerabilità, e fu presa anch’essa dalla commozione. Per la prima volta provò un’emozione profonda, anzi quasi un affetto per quell’uomo distante, solitario, ma stranamente attraente.
Ah, Carol, come sarebbe stato probabilmente diverso se, per una volta nella vita, non avessi agito d’impulso! Se gli avessi consentito di vivere il suo momento di solitudine o di strazio o di tenerezza o di ciò che comunque provasse, avresti potuto rievocare questo momento più tardi, in circostanze più serene, con qualche vantaggio. E la condivisione di tale momento avrebbe potuto finire per diventar parte di un legame fra voi. Ma tu dovevi invece battergli sulla spalla prima ancora della fine della canzone, prima ancora che lui si fosse reso conto di piangere, e spezzargli cosi la sua preziosa comunione col proprio io. Fosti, così, un’intrusa. E, come spesso accade, provocasti l’effetto opposto: lui vide nel tuo sorriso derisione, non comprensione, e come una tartaruga spaventata si ritrasse in sé per il resto della serata, deciso a respingere come insincera qualunque futura profferta di amicizia.
Troy non poté cogliere lo scambio fra Carol e Nick. Quando si girò per tornare a sedere dopo l’applauso finale, fu perciò sorpreso di vedere le spalle di Nick irrigidite nella posa manifesta dell’ostilità. «Non è stata stupenda, angelo?» disse a Carol. «E tu che ne dici, professore? È la prima volta che la senti cantare?»
Nick assentì. «È stata grande» disse quasi controvoglia. «E io ho sete. È possibile avere da bere, in questo posto?»
Troy fu leggermente offeso. «Be’, scusa tanto» disse. «Spiacente che lo spettacolo sia stato tanto lungo.» Poi, mentre gesticolava nel tentativo di richiamare l’attenzione di un cameriere, disse a Carol in tono conversevole: «Cos’è che gli ha preso, angelo?».
Carol rispose con una stretta di spalle. Poi, nel tentativo di rasserenare l’atmosfera, si chinò verso Nick e gli batté leggermente sull’avambraccio posato sul tavolo, dicendo: «Ehi, Nick, t’ha morso un cane rabbioso?».
Nick ritrasse di scatto il braccio mormorando qualcosa d’incomprensibile, e si estraniò dalla conversazione. Quando vide Angie avvicinarsi al tavolo, si alzò automaticamente, imitato da Carol e Troy. «È stata fantastica» disse Carol, un po’ troppo forte, non appena Angie fu a portata di voce.
«Grazie… Salve» rispose Angie, prendendo la sedia che Troy le aveva scostata. Qualche istante per ringraziare garbatamente degli elogi i clienti dei tavoli circostanti, poi sedette con un sorriso. «Lei dev’essere Carol Dawson» disse con fare naturale, chinandosi verso la giornalista.
Angie era anche più bella di quanto non apparisse nella foto di copertina del disco. Aveva una pella marrone-scuro, non nera. Il trucco, compreso il rossetto rosa-pallido, era ridotto al minimo, così da far risaltare meglio le sue grazie naturali, fra cui era una dentatura perfetta, che il sorriso rivelava di un bianco smagliante. Dietro la bellezza c’era anche la donna: una donna che irradiava un calore naturale cui nessuna fotografia poteva render giustizia, e che attraeva immediata simpatia.
«E lei dev’essere Nick Williams» continuò Angie, porgendo la mano a Nick, che stava ancora in piedi, l’aria incerta e a disagio, quando Troy s’era ormai seduto. «In questi ultimi giorni Troy mi ha tanto parlato di lei, che mi pare di essere già sua amica. A sentir lui, lei avrebbe letto ogni romanzo degno di lettura che sia mai stato scritto.»
«È un’esagerazione bella e buona, s’intende» disse Nick, manifestamente lieto di essere stato riconosciuto e sembrando sciogliersi un po’. Sedutosi, fece per aggiungere ancora qualcosa, quando Carol intervenne a togliergli la parola di bocca.
«Quella bella canzone sul cieco, l’ha scritta lei personalmente?» chiese, senza dar tempo ad Angie di sistemarsi. «Mi è sembrata una confessione personale, in effetti.»
«Sì» rispose garbatamente Angie, senza mostrare la minima irritazione per l’assalto di Carol. «Il grosso del mio materiale proviene da altre fonti, ma ogni tanto scrivo anch’io qualche canzone. Quando mi capita un soggetto che mi sta a cuore.» Un breve sorriso a Troy, e continuò: «Mio padre è un uomo straordinario, affettuoso, cieco dalla nascita ma dotato di un’incredibile comprensione del mondo a ogni livello. Senza la sua pazienza e la sua guida, non avrei probabilmente avuto mai il coraggio di cantare fin da piccola, perché ero troppo timida e impacciata. Ma lui ci persuase tutti quanti, fin da piccini, di essere, per un verso o per l’altro, qualcosa di speciale. Ci diceva che Dio aveva dato a ognuno di noi qualcosa di insolito, di unicamente nostro, e che una delle grandi gioie della vita era la scoperta e lo sviluppo di questa dote speciale».