«È quella Let Me Take Care of You, Baby, l’ha scritta veramente per Troy?» intervenne Nick senza lasciarla finire, distruggendo così la tenera atmosfera creata da Angie con l’affettuosa descrizione del padre. Troy, vedendolo seduto in punta di sedia, e così agitato e turbato, si domandò di nuovo che cosa mai fosse successo in quello scambio con Carol per metterlo in un tale stato di tensione.
«Credo proprio di sì» rispose Angie, guardando Troy con un sorriso di tristezza. «Anche se, in origine, avrebbe dovuto essere un motivo scherzoso, una specie di brioso commento al gioco dell’amore.» Tacque per un istante. «Però parla di un problema reale. A volte è duro essere una donna di successo, perché interferisce…»
«Amen, amen» interruppe Carol, senza lasciarle il tempo di sviluppare il proprio pensiero perché questo era uno dei suoi argomenti preferiti e che lei non perdeva occasione per ribadire. «La maggior parte degli uomini non sopporta che una donna abbia un successo anche minimo, figurarsi uno come il suo!» Poi, fissando apertamente Nick, continuò: «Ancora oggi, nel 1994, vigono regole non scritte che vanno seguite. Se una vuole una relazione permanente con un uomo, deve tener conto di tre non: Non dargli l’impressione di esser più brava di lui, non esser la prima a prendere l’iniziativa sessuale, e, soprattutto, non far più soldi di lui. Queste sono infatti le tre aree-chiave della fragilità dell’ego maschile. E se una donna mina l’ego di un uomo, magari anche solo scherzando, con quello ha chiuso».
«Sembri proprio un’esperta» replicò, sarcastico, Nick. Poi, con ostilità manifesta: «Io mi domando se a qualcuna di voi, femmine liberate, sia mai passato per il cervello che non è il vostro successo a respingere gli uomini, bensì il modo con cui lo gestite. La vostra riuscita nella vita non significa un cazzo sul piano personale. La maggioranza delle donne ambiziose e aggressive da me conosciute,» continuò, guardando apertamente Carol «sono tipe che fanno di tutto per trasformare i rapporti maschio-femmina in una specie di competizione, né permettono all’uomo, nemmeno per un attimo, di nutrire l’illusione di vivere in una società patriarcale. Alcune di loro, secondo me, evirano di proposito…»
«Ecco: ci siamo!» colse trionfante la palla al balzo Carol, dando di gomito ad Angie, sorridente ma anche un po’ imbarazzata dall’astio che emergeva dal diverbio. «Ha detto la parola magica? Ogni volta che una donna si permette di discutere e di non accettare come vangelo una qualche profonda verità maschile, ecco che tenta di “castrare” o di “evirare”…»
«Be’, ragazzi, adesso basta» intervenne deciso Troy, scuotendo la testa. «Cambiamo argomento. Io avevo pensato che voi due poteste magari godere di una serata in compagnia, ma se cominciamo così…»
«Il problema» continuò Carol, rivolta ad Angie e ignorando l’invito di Troy «è che gli uomini hanno paura, perché la comparsa di donne non più disposte ad andar scalze e incinte ne minaccia l’egemonia sul mondo occidentale. Se penso che, quand’ero a Stanford…»
Si arrestò allo scricchiolìo di una sedia spostata. «Con tutto il rispetto, signorina Leatherwood,» disse Nick, in piedi, le mani strette sullo schienale della sedia «credo proprio di dovermi scusare. La sua musica è stata per me un vero piacere, ma preferisco non sottoporla a ulteriori scortesie. Le auguro ogni fortuna per la sua carriera e spero che qualche volta vorrà passare un po’ di tempo in barca con Troy e me.» Poi, rivolto a Troy: «Ci vediamo domattina alle otto al porto». Infine, guardando Caroclass="underline" «Anche tu, se hai sempre voglia di venire. Così ci racconterai dei perdiballe di Stanford quando saremo in mezzo al Golfo».
Senza aspettare risposta, raccolse la busta e si aprì la strada tra la massa dei clienti verso l’uscita. Quando fu quasi alla porta, si sentì chiamare: «Nick, ehi, Nick! Da questa parte!». Era Julianne, che gli faceva segno da un tavolo vicino, pieno di bicchieri e posacenere. Insieme con Corinne e Linda, era circondata da una mezza dozzina di uomini, ma stava allargando il cerchio per farvi entrare una sedia libera per lui. Nick accolse l’invito.
Mezz’ora dopo, era ubriaco fradicio. E, fra Julianne che ogni tanto gli sfiorava la gamba, i giganteschi seni di Corinne (ora coperti, ma che ricordava dal videogioco del pomeriggio) e la vista intermittente di Carol attraverso la cortina di fumo di sigaretta, si sentiva anche eccitato. Accidenti a te, Williams, hai di nuovo rovinato tutto!, si era detto nel sedere con la compagnia di Julianne. Avevi l’occasione ideale per far colpo su di lei, anzi magari per sedurla, e… Mezz’ora dopo, e dopo tanti bicchieri, i suoi pensieri ricordavano invece piuttosto la volpe di Esopo. Tanto, è troppo aggressiva, per me. Famosa. Intraprendente fino all’invadenza. E, sotto, sotto, troppo dura, probabilmente. E fredda a letto. Un’altra rompicoglioni, insomma. Salvo che continuava a guardarla dall’altra parte della sala.
Le sedie in più che erano state portate per l’esibizione di Angie, vennero sgombrate per fare spazio per la danza. Un discjockey orchestrò il resto della serata da una cabina accanto alla pedana; la clientela poteva ballare al ritmo di una quantità di selezioni musicali moderne, guardare chiassosi videoclip sui grandi schermi, o semplicemente parlare, perché la musica non era eccessivamente alta. La maggioranza delle persone attorno a Nick era gente del porto turistico. Durante un intervallo tra un disco e l’altro, Linda Quinlan si chinò sul tavolo verso Nick, che aveva appena ingollato un’ennesima tequila. «E dài, Nick, confidaci il tuo segreto» disse. «Cos’è che avete trovato ieri, tu e Troy?»
«Niente di speciale» rispose Nick, memore del patto ma sorpreso di avere una gran voglia di parlarne.
«Le voci dicono diversamente» intervenne uno della compagnia. «Lo sanno tutti che stamattina sei andato da Amanda Winchester con qualcosa. Dài, dicci cos’è. Non avrai mica trovato un’altra nave carica di tesori?»
«Può darsi,» rispose Nick, con un ghigno da ubriaco «dico solo: può darsi.» Ebbe un altro forte impulso di raccontare tutto mostrando le foto, ma si trattenne. «Non ne posso parlare» troncò.
In quel momento, due giovani tarchiati, due tipi della Marina in divisa da ufficiali e coi capelli a spazzola, stavano dirigendo dritti verso il suo tavolo dopo essersi staccati dall’estremità opposta della pista da ballo. Uno dei due, dalla carnagione scura, era di sicuro un oriundo messicano. La coppia avanzava con passo sicuro, anzi baldanzoso, e il suo arrivo al tavolo zittì la conversazione. Il tenente bianco posò la mano sulla spalla di Julianne. «Ecco qua la Marina, bambolona bella» esordì con sfrontatezza. «Perché tu e la tua amica» continuò indicando Corinne, dietro la quale stava Ramirez «non venite a ballare con noi?»
«No, grazie» rifiutò con un garbato sorriso Julianne. Todd la squadrò. Barcollava lievemente, e i suoi occhi rivelavano chiaro che ne aveva bevuto uno di troppo.
«Vuoi dire che preferisci stare qui seduta con ‘su’ stronzi locali invece di ballare con futuri ammiragli?» Julianne sentì la mano di lui stringerle la spalla, e guardò gli altri fingendo di ignorarlo.
Todd, cui non garbavano le ripulse, staccò la mano dalla spalla di Julianne per puntare il dito verso i seni di Corinne. «Cristo, Ramirez, avevi ragione: sono proprio mostruosi! Non ti andrebbe di pappartene uno?» I due tenenti uscirono in una risata volgare, che fece fremere d’imbarazzo Corinne.