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Il fluido denso di pallini scorre rapido lungo un tubicino fino a raggiungere un contenitore semichiuso grande all’incirca come il becher. All’interno di questo vaso trasparente, un oggetto meccanico foggiato a cucchiaio affonda nel flusso del liquido in arrivo a raccogliere i pallini, i quali, una volta pescati, vengono momentaneamente sospesi, attorno al liquido in entrata, in un gas pesante contenuto nel vaso. Nel giro di pochi istanti, ciascun pallino si spezza, mentre il suo guscio apparentemente si dissolve, e nel vaso rimane visibile una serie di puntolini rossi circondati dalla sostanza verdognola e sospesi in un gas invisibile.

La sostanza si espande lentamente nel vaso al di sopra del liquido in entrata, fino a riempire tutti gli spazi liberi fra i puntolini rossi. Poi, una volta sparito del tutto il liquido smeraldo, si consolida in gelatina e va a tappare i fori di uscita e di entrata del fluido. Nel vaso ci sono ora parecchie migliaia di puntolini rossi alloggiati nella gelatina verdognola, i quali, nel corso del processo non hanno subito mutamenti visibili.

Passa del tempo. Nel vaso trasparente si ha una cessazione dell’attività. Ogni tanto vengono inserite delle sonde meccaniche per verificare la stabilità della gelatina nei fori ostruiti. Alla fine, il vaso viene afferrato da una specie di elevatore a forca robotizzato, che, toltolo dal suo alloggiamento, lo posa su un nastro trasportatore accanto a svariate dozzine di altri vasi, contenenti oggetti di tipo diverso (matite blu, stelle purpuree, e scatole rosse, fra gli altri) anch’essi sospesi in gelatina verdognola. Il nastro li porta tutti a un ampio forno circolare di quasi tre centimetri di diametro, dove vengono messi a cuocere insieme. All’interno del forno, le molecole di materia in essi contenute evaporano all’istante. A questo punto, una coppia di mani manipolatrici prive di corpo avvolge attorno alle strutture gelatinose un tessuto incredibilmente fine di filamenti connettivi. Dopo qualche tempo, l’unità assemblata viene tolta automaticamente dal forno e impaccata in un involucro di metallo dorato, i cui numerosi strati sono stati appositamente concepiti per la protezione ambientale residua.

I combustibili ipergolici si mescolano e s’accendono istantaneamente, saettando fuoco dall’ugello del razzo. L’affusolato veicolo sale, prima lentamente, poi con velocità sbalorditiva. Prima che raggiunga lo zenith della traiettoria, lo stadio sottostante lo strano carico-utile di forma paraboloide si stacca, e sotto il ventre del boomerang volante si accendono minuscoli motori. All’apice della traiettoria, l’intera struttura esplode improvvisamente, in apparenza disintegrandosi, e centinaia di frammenti del carico-utile originario ricadono, apparentemente a caso, verso la superficie del pianeta.

Un esame ravvicinato rivela che ogni singolo frammento risultante dall’esplosione è fatto di materiale di metallo dorato, incapsulato in plastica. Alla plastica è fissato un piccolo involto con sensore di propulsione, atto a fornire le necessarie correzioni di verniero durante la discesa susseguente all’esplosione controllata. I frammenti plastificati cadono su uno strano pianeta ibrido, ovviamente artificiale a giudicare dall’ampia varietà di superfici incongrue e di raggruppamenti nuvolosi già riconoscibili a decine di chilometri d’altitudine. Ci sono, sparsi qua e là, liquidi laghi di tinte diverse e una conformazione discontinua della superficie, con regioni desertiche ed erbose e montagne brulle e canyon. Un settore compatto del pianeta è coperto di nubi, bianche e fioccose in un punto, marroni e dense in un altro. Alcune sono attive: s’impilano e mutano per effetto di turbolenza; altre statiche, esili bave di bianco che striano immobili il cielo.

Uno dei veicoli plastificati precipita da un banco di nubi azzurro-fosco in un mare smeraldo. La plastica rimane in superficie, mentre l’oggetto incapsulato in metallo dorato scende per una decina di metri fin sul fondale. Per un paio di giorni, l’aspetto della sfera d’oro posata sul fondale non presenta cambiamenti visibili. Poi, nel suo polo settentrionale comincia a formarsi una protuberanza. La protuberanza si espande lentamente, sino ad assumere la forma di un grosso foruncolo, e si ha una metamorfosi: all’esterno della protuberanza, la dura superficie metallica s’ammorbidisce e comincia ad assumere l’aspetto di una membrana organica. La membrana è spessa e densa, ma ogni tanto si gonfia, ciò che suggerisce del movimento dall’altra parte della sua barriera d’oro.

Finalmente, dalla superficie esce nell’oceano smeraldo una sottile bacchetta nera, che pare una specie di sonda. Compare quindi una seconda, poi una terza sonda, entrambe nere come la prima, ma ciascuna munita, nel senso della lunghezza, di apparati del tutto diversi. Qualcosa di più voluminoso preme contro la membrana, una volta, due, sino a perforarla. Che strano congegno! È una forma aerodinamica lunga circa otto centimetri, in due segmenti separati e collegati da un giunto mediano. Il segmento anteriore è un’ogiva, l’altro un lungo cilindro che si rastrema fino a diventare un punto. Oltre alle tre sonde del segmento anteriore, il congegno presenta quattro altre appendici pieghevoli, o braccia, due a lato di ciascun segmento.

Raccolte lungo il corpo liscio le appendici plurisfaccettate, o braccia, il congegno si sposta verso una vicina pianta sottomarina. Qui le svolge e comincia a esaminare la pianta per mezzo di uno sbalorditivo apparato di minuscoli strumenti; poi, dopo pochi istanti di osservazione, passa oltre. Il procedimento si ripete a ogni pianta incontrata. Finalmente, trovata una pianta che gli “piace”, il coso ne stacca con le chele una delle forme più grosse, che, ripiegata sino a ridurne il volume, viene riportata indietro all’oggetto dalla membrana d’oro.

Al misterioso foraggiere si uniscono un compagno, sua copia carbone, e due grossi pesci con braccia e zampe multiple. La coppia di pesci schizza di lato e prende a modificare il fondale oceanico. Passano i giorni. I cosi muniti di sonde lavorano incessantemente, riportando alla casa-base un numero sempre maggiore di varietà vegetali e animali. Nel frattempo, lavorando anch’essi senza posa, i pesci con le zampe hanno costruito sul fondale oceanico, con sabbia, rocce, conchiglie e creature viventi a disposizione, circa un migliaio di minuscole case rettangolari sigillate. Il loro compito successivo è ora quello di trasportare, a uno a uno, i puntolini rossi dalla culla dorata alle nuove dimore.

Un’osservazione al microscopio mostrerebbe che all’interno dei puntolini è già in corso, fin dal momento del trasporto iniziale, lo sviluppo di una struttura destinata a dar loro definizione e distinzione. Ma i puntolini rossi sono ancora molto, molto piccoli. Una volta inseriti i puntolini con la loro gelatina protettiva nelle minuscole case, i foraggieri si fermano regolarmente a ogni viaggio per depositare una parte del raccolto. Contemporaneamente, i pesci con le zampe, architetti e costruttori delle case rettangolari, prendono a lavorare a dimore trasparenti, per gli embrioni di un’altra specie.

Un anno più tardi, quando la luce lunare cade sul lago smeraldo, parecchie centinaia di colli smaniosi, eccitati, guizzanti, alcuni blu-reale, alcuni celeste, s’avventano all’insù a cercare la luna. Le teste ruotano in ogni direzione, e in ciascun muso si vedono forse due dozzine di tacche e orifizi diversi. I colli s’inclinano ora di qua, ora di là. I serpenti silenziosi sono alla ricerca di qualcosa.