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All’espressione costernata di lei, Nick ne seguì il dito che indicava, dietro di lui, la fiancata opposta. Giratosi, lì per lì non notò nulla, poi vide uno strano oggetto piatto, simile a un tappeto, che strisciava sul piancito verso il monitor del telescopio. Aggrotando la fronte, si girò di nuovo verso Carol con espressione perplessa.

Il tappeto s’era chissà come arrampicato sulla fiancata, per finire quindi sul ponte, mentre Carol stava parlando. Il tempo che lei cominciasse a spiegare, ed era già davanti allo schermo, intento a osservare le immagini del fondale sottostante riprese dal telescopio. Non ci fu tempo per spiegazioni protratte. Con un «Ma che cazzo…» Nick si avventò sullo strano visitatore per catturarlo, ma, quando la sua mano arrivò a tre centimetri dal tappeto, avvertì una forte scarica elettrica alla punta delle dita. «Acc…!» fece Nick, saltando indietro. E, mentre scuoteva la mano e osservava sbalordito, il tappeto continuò a rimanere davanti allo schermo.

Nick guardò Carol come in cerca d’aiuto, ma lei sembrava trovare la scena alquanto divertente. «Quel coso è solo una delle ragioni della stranezza della nostra immersione» disse, senza accennare alla minima voglia di intervenire. «Ma non credo che ti farà del male. È a lui, probabilmente, che devo la vita.»

Nick afferrò una piccola rete da pesca appesa al tendaletto e s’avvicinò lentamente al tappeto. Questo parve girarsi a guardarlo. Lui scattò in avanti con la rete, ma il tappeto la schivò con destrezza, e lui perse così l’equilibrio, finendo contro il monitor a braccia incrociate. Carol scoppiò a ridere di gusto, ricordando il loro primo incontro. Il tappeto si posò sopra la banca-dati del telescopio e s’avvolse stretto attorno all’intero sistema.

Dal piancito, Nick lo osservò studiare il sistema-dati, e scosse la testa incredulo. «Ma si può sapere che cavolo è, ’sto coso?» gridò a Carol.

Lei gli si avvicinò e gli porse la mano per aiutarlo, scusandosi così dello sfogo di poco prima. «Non ne ho idea» rispose. «In principio ho pensato che potesse essere un robot superperfezionato della Marina, ma è troppo sofisticato e intelligente.» E, indicando il cielo con la sinistra libera: «Chi lo sa, sono loro» disse con un sorriso.

Il ricordo di Troy la fece diventare grave. Andò alla fiancata e rimase a fissare l’oceano, Nick, intanto, si alzava, a un braccio di distanza dal tappeto e dalla banca-dati del telescopio. Il tappeto, a quanto pareva, aveva in qualche modo esteso parte di sé nel sistema elettronico interno! Nick osservò per qualche secondo, come affascinato, impazzire le varie letture diagnostiche digitali della banca-dati, poi disse: «Ehi, Carol, vieni a vedere! Questo maledetto coso è di plastica o materiale del genere».

Lei non si voltò subito. «Nick» gli chiese finalmente, girandosi, in tono sommesso «che facciamo per Troy?»

«Appena sbattuto fuori questo dannato intruso, faremo una ricerca sistematica della zona» rispose Nick da sotto il tendaletto, dove stava frugando fra gli utensili da cucina. «E magari mi calo io stesso a vedere se riesco a trovarlo.»

Impugnato un forchettone dal manico di plastica, si accinse a scacciare il tappeto dalla banca-dati. «Non lo farei, se fossi in te» avvertì Carol. «Se ne andrà quando lo vorrà lui.»

Ma l’avvertimento giunse troppo tardi. Nick infisse il forchettone attraverso il tappeto, sicché i denti finirono contro la parete superiore della sezione elettronica. Ci fu uno schiocco, poi un sottile arco azzurro lingueggiò a ritroso lungo il forchettone, procurando a Nick una scossa potente. Si udirono degli squilli d’allarme, la lettura digitale dei dati sparì dallo schermo, e il monitor del telescopio oceanico prese a fumare. Il tappeto ricadde sul piancito e cominciò a produrre le ondine che Carol gli aveva visto fare nel salone con la finestra sull’oceano. Un momento dopo, lo squillo di due allarmi del sistema di navigazione indicò che non solo era andata perduta la posizione della barca, ma che era stata anche cancellata la memoria non volatile, ossia quella immagazzinante tutti i parametri che consentivano la comunicazione via satellite.

In piedi in mezzo al rumore e al fumo, Nick si massaggiava il braccio destro dal polso alla spalla con aria sconcertata. «Sono paralizzato» constatò stupito. «Il mio braccio non sente nulla.»

Il tappeto continuava a fare le sue onde sul piancito della barca, mentre Carol, preso un secchio e calatolo in mare, spruzzava d’acqua il monitor. Nick, intanto, se ne stava là immobile, a pizzicarsi il braccio con aria confusa. Carol gli rovesciò addosso il resto dell’acqua. «Ma, cazzo, si può sapere che ti piglia?» esclamò lui, indietreggiando involontariamente e sputando acqua.

«Mi piglia che dobbiamo trovare Troy,» rispose lei, andando alla plancia di comando «e che non possiamo star qui ad aspettare per il resto della giornata. Ignora quel maledetto tappeto e… il tuo braccio. C’è in ballo la vita di un uomo.»

Mentre lei aumentava la velocità della barca, il tappeto tornò a rizzarsi, e, girando su se stesso, si affrettò alla fiancata. Nick tentò di fermarlo, ma invano: in un lampo, fu in acqua. Mentre Carol pilotava in cerchi sempre più larghi, lui rimase alla fiancata a scrutare l’oceano alla ricerca di Troy.

Un’ora più tardi furono entrambi d’accordo che non aveva più senso continuare le ricerche. Avevano percorso l’intera area diverse volte (a prezzo di un notevole sforzo, visto che non disponevano più di un sistema di navigazione funzionante), ma senza trovare traccia di Troy. Convintosi di avere il braccio ormai perfettamente a posto, Nick si era perfino immerso e aveva percorso la trincea dalla fessura alla sporgenza e viceversa, ma, di Troy, manco l’ombra. Aveva anche avuto la vaga tentazione di esaminare la fessura, ma la strampalata storia di Carol sembrava remotamente plausibile, e la prospettiva di finir risucchiato in un bizzarro laboratorio sottomarino gli era parsa assai poco allettante. Senza contare che, sparito lui, per Carol sarebbe stato praticamente impossibile riportare a Key West una barca dal sistema di navigazione fuori uso.

Mentre perlustravano la zona, Carol tornò a raccontargli l’intera storia della propria immersione, e lui, sebbene certo che i particolari fossero non poco abbelliti, non riuscì a riscontrarvi errori logici stridenti — anche perché, dopo tutto, il tappeto l’aveva pur visto! Riconobbe quindi, dentro di sé, che lei e Troy dovevano davvero aver avuto esperienze raccapriccianti in una sorta di edificio sottomarino e che la tecnologia da loro incontrata doveva essere decisamente più avanzata di qualunque altra mai vista.

Ciò che invece riluttava ad accettare era la spiegazione di Carol, la quale sosteneva come niente fosse che si trattava di extraterrestri. Un primo contatto in circostanze tanto… mondane, a lui sembrava improbabile. In quanto al tappeto, era di certo una meraviglia di capacità inimmaginabili, ma lui, poco colto in campo tecnologico, non si sentiva di dichiarare categoricamente che non potesse esser stato creato da esseri umani.

Come sotterfugio sarebbe anzi perfetto, pensava fra sé Nick, mentre scrutava l’orizzonte col binocolo alla ricerca di punti di riferimento per mettere la rotta su Key West. Supponiamo che i russi o magari la nostra stessa Marina volessero metter fuori strada… Si arrestò in pieno pensiero, rendendosi conto che, se era così, e se il tappeto era di fabbricazione umana, Carol, Troy e lui continuavano a correr pericolo. Ma perché, allora, Carol è stata lasciata andare? E perché non mi è stata confiscata la barca? Avvistò lontano un’isoletta nota e riorientò la barca. Dio, che casino!, pensava intanto, scuotendo la testa.