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«Allora, non concordi con me che abbiamo incontrato degli ET?» lo punzecchiò leggermente Carol, andandogli vicino.

«Non so che dire» rispose lentamente lui. «Mi sembra un salto logico un po’ troppo grosso. Dopotutto, se ci fosse un’infestazione extraterrestre nelle acque del Golfo del Messico, avremmo già dovuto averne segnalazioni, visto che questa regione viene attraversata almeno una o due volte l’anno da sottomarini e altre imbarcazioni con sonar attivo.» Poi, con un sorriso: «Mi sa che hai letto un po’ troppa fantascienza».

«Al contrario» rispose lei, fissandolo con lo sguardo. «La mia esperienza in fatto di tecnologia ultravanzata è quasi certamente superiore alla tua. Ho fatto una serie di servizi sull’Istituto Oceanografico di Miami e, avendo visto quali ingegnosissimi concetti vi vengono sviluppati, posso affermare che nulla, assolutamente nulla, s’avvicina al tappeto o alla cosa gigantesca tipo ameba. La probabilità che esista una spiegazione meno che fantasiosa per tutto questo è quindi minima.» Tacque un momento, poi continuò: «Inoltre, può darsi che il laboratorio sia là da poco. Che sia stato completato solo di recente, o magari anche che sia stato trasportato in quel punto».

Alle prime parole di lei, Nick si era sentito fremere. Rieccola, aveva pensato, sicura di sé, presuntuosa e competitiva — quasi come un uomo. Poi aveva ammesso con se stesso che anche a lui era capitato di assumere atteggiamenti autoritari in più d’una discussione. E Carol aveva indiscutibilmente ragione almeno su un punto: la sua maggior esperienza nel campo dell’alta tecnologia. Per una volta, dunque, e per quella sola, non era il caso di controbattere.

La conversazione conobbe così una pausa. Anche Carol cominciava a diventare più sensibile alla dinamica dell’interazione. Al veder Nick irrigidirsi quando lei aveva affermato di intendersi di tecnologia più di lui, si era detta, con fulmineo intùito: Ah, ah… Su Carol, mostra un po’ più di tatto e di riguardo…, e aveva deciso di cambiare argomento.

«Quanto ci vorrà per arrivare al porto?» chiese. Nell’agitazione del giovedì pomeriggio, aveva infatti prestato scarsa attenzione al tempo impiegato nel rientro.

«Un po’ meno di due ore» rispose Nick. Poi, ridendo: «A meno che non mi perda, visto che sono più di cinque anni che non mi servo della guida manuale in queste acque».

«E che dirai quando ci saremo?»

Nick la guardò. «A chi… e su cosa?» domandò.

«Lo sai benissimo. Dell’immersione, e di Troy.»

Si fissarono. Poi fu Nick a rompere il silenzio. «Io propenderei per non dire niente… finché… finché non sapremo con certezza» disse quasi sottovoce. «Così, se Troy salta fuori, non ci sarà problema.»

«E se non saltasse fuori mai più…» qui la voce di Carol si spense «… saremmo entrambi nella merda fino al collo, signor Williams.» La gravità della situazione stava diventando evidente a tutte due.

«Ma chi pensi che crederà mai a una storia tanto incredibile?» disse Nick dopo un istante. «Anche con le tue foto, non abbiamo prove concrete che possano corroborare il tuo racconto. Oggigiorno, con l’elaboratore, la gente può fabbricare qualunque specie di fotografia. Ricordi quel caso di omicidio dell’anno scorso, a Miami, in cui era stata esibita come alibi, e formalmente accettata come prova, una foto che successivamente un esperto di elaborazione-dati ha dimostrato essere truccata?» Una pausa, mentre Carol ascoltava attenta. «Un’altra cosa: chiunque abbia costruito quel posto, lo sta magari smantellando proprio in questo momento. Sennò, perché ci avrebbe lasciati andare via? No: io dico che ci conviene aspettare un po’ — ventiquattr’ore o giù di lì, diciamo. E ponderare del nostro meglio sul dafarsi.»

Carol assentì, «Credo di esser d’accordo con te, sebbene non proprio per le stesse ragioni.» Consapevole di quella vocetta di giornalista che le diceva dentro di proteggere le informazioni per il suo sensazionale scoop, si augurava al tempo stesso che questa sua ambizione non si frapponesse alla presa della decisione giusta per Troy. Disse perciò, meditabonda: «Ma, Nick, non credi che, non avvertendo le autorità, possiamo in qualche modo danneggiare Troy?».

«No» rispose immediatamente lui. «Perché, secondo me, se intendevano ucciderlo, l’hanno già fatto. O lo faranno presto.»

Questa parte della conversazione le sembrava troppo semplicistica. Andò alla fiancata e tornò a scrutare l’oceano, pensando a Troy e alla stravagante avventura dopo il risucchio nella fessura. Era stato lui ad aiutarla a reggere, non c’era dubbio; erano stati il suo senso dell’umorismo e il suo spirito a impedirle di impazzire. E se lei aveva salva la vita, era probabilmente perché lui aveva deviato su di sé l’attenzione della cosa.

Sotto quel buffo aspetto esteriore, era un uomo affettuoso e sensibile, andava pensando. Una persona molto attenta. E sembrava nascondere tutto un fardello di dolore, che gli veniva da chissà dove. Per un momento, si persuase che non gli fosse capitato nulla di male: in fin dei conti, lei era stata aiutata a fuggire… Poi si chiese come mai non si fosse più imbattuta in lui, laggiù, e le si insinuò così un’ombra di dubbio che la fece rabbrividire. Maledizione: l’unica cosa sicura è che non sappiamo niente di preciso. Di nuovo l’incertezza, quell’incertezza che odio tanto… Non è giusto…

Avvertì dentro di sé una profonda tristezza, un turbamento che le veniva dal passato, e un senso d’impotenza, d’impossibilità a esercitare un qualsiasi controllo sulla situazione. Le salirono le lacrime agli occhi. Nick le era venuto accanto in silenzio. Vide le lacrime, ma non disse nulla. Si limitò a posarle la mano sulle sue, e a ritrarla dopo un momento.

«Troy stava diventando un buon amico» disse Carol, accingendosi a nascondere ciò che provava. Un repentino bisogno di comunicare i propri sentimenti ne sopraffece però i meccanismi naturali di protezione, e, guardando l’acqua, continuò: «Ma non è tanto questo a sconvolgermi. È l’incertezza che mi fa piangere. Il non sapere. Che non sopporto». Tacque e si asciugò gli occhi.

Nick non aprì bocca. Malgrado non capisse bene ciò che lei intendeva, sentiva che stava per accadere qualcosa di speciale tra loro. Mentre le onde sciabordavano dolcemente contro la barca, lei riprese in tono sommesso: «Mi ricorda la mia infanzia, subito dopo la partenza di mio padre, che io continuavo a credere sarebbe tornato. Tutt’e tre, Richie, mamma e io, ci ripetevamo che si trattava solo di una separazione temporenea, che un giorno lui sarebbe entrato dalla porta dicendo “Eccomi qua!” E, la notte, a letto, aspettavo con l’orecchio teso di udire il rumore della sua macchina nel vialetto».

Ora le lacrime scendevano copiose, grosse lacrime che le rigavano il volto e cadevano nel vasto oceano. «E quando veniva a prenderci per portarci a cena, o per un sabato, aiutavo la mamma a farsi bella, scegliendole i vestiti, spazzolandole i capelli.» Un singhiozzo le impedì per un istante di continuare. «Dopo averlo abbracciato sulla porta, lo portavo sempre da lei dicendo: “Non è bella?”.

«Questo è durato sei mesi, con me che non sapevo che cosa avrei provato l’indomani. Quell’incertezza mi distruggeva, mi faceva stare male. Pregai mio padre di offrire alla mamma un’altra possibilità, e Richie gli suggerì addirittura di comprare la casa accanto, così, anche se lui e mamma non riuscivano ad andar d’accordo, noi saremmo comunque rimasti vicini.» Un amaro sorriso, accompagnato da un immenso sospiro.

«Poi lui portò la mamma a San Francisco per il fine settimana. Che emozione non fu quella, per me! Per trentasei ore ebbi il morale alle stelle: il mio futuro era assicurato, né c’era ragazzino di dieci anni più felice di me, nella valle di San Fernando. Ma, al loro ritorno la domenica sera, mia madre era ubriaca fradicia. Occhi gonfi, trucco sfatto, tutta in disordine, ci passò davanti senza una parola per andare in camera sua. Papà, Richie e io rimanemmo nel soggiorno, ad abbracciarci e piangere insieme. E, in quell’istante, capii che era finita.»