Per parte sua, Carol si convinceva sempre più della veridicità della storia. Né la turbava l’incapacità di Troy di rispondere a tutte le domande: data anzi la natura alquanto fantasiosa della vicenda, avrebbe nutrito dubbi sulla sua veridicità proprio se lui avesse sciorinato risposte pronte a tutto. E, a dispetto della propria formazione giornalistica, si scoprì stuzzicata e un po’ incantata dall’idea di essere lei quella del cui aiuto abbisognavano dei superalieni di un altro mondo.
Nella formazione delle opinioni, l’intùito aveva in lei altrettanto peso del ragionamento razionale. In questo caso, c’era anzitutto il fatto della sua fiducia in Troy. Osservandolo attentamente, mentre rispondeva alle domande, non scorgeva in lui la minima ombra di menzogna: parlava come uno convinto di dire la verità, non c’era dubbio. Il problema era se la stesse dicendo davvero, o se stesse venendo manipolato e diretto da quegli stessi ET che affermava di rappresentare. Ma a che scopo lo verrebbe?, ragionava intanto. Non è che noi tre si possa fare gran cosa per loro. E anche le informazioni richieste sono, faccenda delle armi a parte, relativamente innocue. Per il momento, accantonò l’idea del suo amico Troy divenuto una sorta di pedina in mano degli alieni.
Nick — lo vedeva — si stava insospettendo sempre più. Non era strano che tre sommozzatori della Marina si trovassero in acqua nel punto giusto proprio nel momento in cui Troy veniva portato in superficie da uno dei tappeti? E, in quanto all’interrogatorio dopo il trasporto in elicottero a Key West, la versione di Troy risultava tanto confusa da essere esasperante.
«Cristo, Jefferson, o la tua memoria è molto corta, o ricorda solo quello che le garba!» esclamò. «Tu ci vieni a dire che sei stato trattenuto dalla Marina per quasi un’ora, e poi non ricordi in pratica né le domande che ti sono state fatte, né il perché ti siano state fatte. Dunque, per me, qui c’è qualcosa che non quadra.»
«Oh, cazzo, Nick: ti ho detto che ero stanco!» cominciò a irritarsi Troy. «Ero reduce da un’esperienza traumatica, e quelle domande mi parevano senza senso. E, intanto, continuavo a sentire dentro di me come una vocina che cercava di farsi strada nel cervello.»
Nick si rivolse a Carol. «Credo di aver cambiato parere. Non ho più voglia di giocare a questo gioco — per intelligente che sia. Homer e Greta sono una seccatura, ma, all’occorrenza, saprei tenerli a bada; la Marina, invece, mi spaventa. Se ci seguiva, doveva esserci un motivo, perché, come coincidenza, è troppo improbabile. Troy forse ne sa qualcosa o forse no — chissà. Come che sia, a me mi puzza troppo.»
Si alzò per andarsene, ma Carol gli fece cenno di tornare a sedere. Poi, tirando un profondo sospiro, disse a voce bassa: «Ora ascoltate me: ho da farvi una confessione, e mi sembra che questo sia proprio il momento ideale. Io non sono venuta a Key West né per le balene né» — un’occhiata a Nick — «per i tesori, bensì per controllare una voce secondo la quale un nuovo missile della Marina avrebbe deviato dalla traiettoria e sarebbe finito nel Golfo del Messico». Dopo una pausa di vari secondi per lasciar penetrare il messaggio, continuò: «Avrei dovuto dirvelo prima, probabilmente, ma non ho mai trovato il momento adatto. Me ne rincresce molto, credetemi».
«E hai pensato che il missile stesse nella fessura» disse Troy qualche secondo dopo. «Così, ieri, sei tornata per questo.»
«E noi, recuperandotelo, ti avremmo procurato un’esclusiva mondiale», aggiunse Nick, la sensazione di tradimento alquanto attutita dalla manifesta sincerità delle scuse di lei. «Ti sei servita di noi per tutto il tempo, insomma.»
«Se vuoi,» convenne Carol «anche se, come giornalista, io la vedo in maniera diversa.» Avvertendo la tensione ora instauratasi (Nick, soprattutto, sembrava sulle sue), continuò: «Ma adesso ciò che importa non è questo, ma il fatto che abbiamo una spiegazione per la presenza della Marina nella zona d’immersione. In questi ultimi due giorni ho fatto parecchie ricerche a ogni livello sulle attività clandestine che la Marina ha attualmente in corso per la ricerca del missile, e ieri sera quel tenente messicano ha avuto modo di dare una buona occhiata ai nostri migliori primi piani del missile nella fessura; sicché qualcuno deve aver mangiato la foglia».
«Senti, angelo,» disse Troy dopo un altro breve silenzio «io, di ’sta storia del missile, non so niente, né, con tutto quello che succede, mi sento di offendermi perché mi hai mentito. Avrai avuto le tue ragioni, punto e basta. Quello che mi occorre di sapere ora è se sei o no disposta ad aiutarmi a portare questa roba agli ET o alieni o come cavolo tu voglia chiamarli.»
Prima che Carol potesse rispondere, Nick tornò ad alzarsi e si avviò alla porta. «Ho una fame da lupi, e voglio riflettere sull’intera faccenda» annunciò. «Quindi, Troy, se non ti spiace, vado a cenare e ti vedrò in serata per comunicarti la mia risposta.»
Carol si rese conto a sua volta di avere anch’essa una gran fame. Era stata una giornata lunga e snervante, e oltre a non aver mangiato nulla di sostanzioso dopo la prima colazione, era anche un po’ preoccupata per la reazione di Nick alla sua confessione. «Non potrei venire a mangiare un boccone con te?» gli domandò. Nick si strinse nelle spalle, come a dire: Se ti va… «Allora, sentite,» continuò Carol, abbracciando Troy «troviamoci tutti nella mia camera al Marriott intorno alle sette e mezzo. Tanto, ci devo andare per cambiarmi per l’intervista ai mostri, e voi potreste darmi qualche imbeccata.»
La sua gaiezza non rasserenò tuttavia l’atmosfera. Troy, chiaramente impensierito, aveva una faccia serissima, quasi grave. «Professore, so di non aver potuto rispondere a tutte le tue domande, ma non ho potuto farlo nemmeno con le mie» disse in tono sommesso e deliberatamente monocorde. «Di una cosa però sono certo: sulla Terra non è mai accaduto niente di simile — stando alla storia documentata, almeno. Le creature che hanno costruito l’astronave sono, paragonate a noi, ciò che noi sembreremmo alle formiche o alle api se potessimo venirne compresi. E queste creature hanno chiesto aiuto a noi tre per poter riparare il loro velivolo. Parlare di occasione unica nella vita sarebbe, in questo caso, una minimizzazione colossale.
«Potendo, sarebbe bello stare qui seduti a dibattere la faccenda per settimane o magari mesi, ma il tempo scarseggia. La Marina non tarderà di certo a trovare quelle creature, se non l’ha già fatto, e ciò può avere terribili conseguenze per gli esseri umani di questo pianeta. Loro mi hanno infatti detto chiaro che devono assolutamente compiere la loro missione, ossia riparare il velivolo e continuare il viaggio, anche a costo di dover interferire col sistema terrestre per riuscirci.
«Mi rendo conto che tutto ciò suona incredibile, anzi, magari assurdo, ma io ora vado a prendere dei pesi di piombo dai miei amici sub e a ritirare i dischi in biblioteca: perché, domattina all’alba, con o senza il vostro aiuto, intendo essere su quell’astronave.»
Nick lo studiò con la massima attenzione durante il discorso. Verso la metà, gli parve che non fosse più lui a parlare, bensì qualcun altro per bocca sua, e fu colto da un brivido d’inquietudine. Oh cazzo, sono ridotto male quanto loro!, pensò. E ci sono dentro anch’io, adesso. Un gesto d’invito a Carol, e uscì.
7
«Come ho già detto due volte» fece, stanca e seccata, la voce, «ero fuori in immersione coi miei amici Nick Williams e Carol Dawson. Poi lei ha avuto un problema di attrezzatura e ha deciso di tornare alla barca. Avevamo trovato una scogliera particolarmente interessante, con caratteristiche del tutto insolite; non essendo certi di poterla ritrovare, ho deciso di rimanere io sul posto in attesa del suo ritorno. Mezz’ora dopo, quando sono tornato a galla, non c’era più segno né di lei né di Nick né della barca.»