«Ah, ma certo» rise Winters. «Marrone rossiccio, rame. E sono molto lunghi.» L’hai già detto: fai la figura dello scemo, gli sussurrò, dentro, una voce.
La commessa gli fece segno di seguirla in fondo al negozio. Qui gli indicò una vetrinetta tonda zeppa di pettini di ogni foggia e misura. «Ecco qua una serie di splendidi regali per sua nipote» disse appoggiando su quel “nipote” con un tono che lo impensierì. Che sappia qualcosa? Una sua amica, magari? O una spettatrice della commedia? Tirò un respiro per calmarsi, sbalordendosi ancora una volta della volubilità delle proprie emozioni.
Su uno degli scaffaletti si vedevano due bei pettini assortiti di color marrone, filigranati d’oro in cresta. Uno era abbastanza grande da poterle fissare tutti quei magnifici capelli in uno chignon alla nuca; l’altro, più piccolo, era perfetto per esser portato a lato o dietro. «Prendo quelli,» disse alla commessa «i due con la riga d’oro in cima. Me ne faccia una confezione regalo, per favore.»
L’efficiente ragazza tolse i pettini dalla vetrinetta e, dopo avergli detto di aspettare un paio di minuti per l’incarto, sparì nel retrobottega lasciandolo solo. Glieli lascerò sulla toeletta alla fine dell’intervallo, pensava intanto lui, evocando l’immagine di Tiffani che rientrava sola in camerino e trovava il regalo contro lo specchio sotto la targhetta col suo nome. Sorrise al pensiero della sua reazione. In quel momento venne sfiorato da una donna che si portava dietro la figlia di otto o nove anni. «Mi scusi» disse la donna, senza voltarsi, mentre si precipitava con la piccina a toccare dei cestini pasquali appesi al muro.
La commessa aveva finito di confezionare il regalo e stava accanto alla cassa elettronica. Quando lui arrivò al bancone, gli porse un biglietto con «Buon compleanno» stampato nell’angolo superiore sinistro. Winters lo fissò per qualche secondo, poi disse: «No, niente biglietto. Ne comprerò uno apposito in cartoleria».
«Contanti o addebito?» chiese la ragazza.
Un momento di panico. Chissà se ho portato abbastanza soldi… Come faccio, sennò, a spiegare a Betty l’addebito? Aprì il portafoglio e contò. Poi, sorridendo. «Contanti, sì» disse, constatando di avere quasi cinquanta dollari — contro i soli trentadue, tasse comprese, del costo del regalo.
Uscì dal negozio quasi saltellando, col cuore traboccante di gioia e senza più ombra d’apprensione. E fischiettava addirittura quando aprì la porta e lasciò l’aria condizionata della zona commerciale coperta. Spero che le piaceranno, si disse. Poi, con un sorriso: Ma che spero: ne sono sicuro!
8
Nick versò l’ultimo chablis nel bicchiere di Carol. «Non credo che potrei mai fare il giornalista» disse. «Per riuscire nel ramo, mi sa che bisogna essere dei furbastri.»
Carol infilzò un pezzo di pesce gatto alla griglia e un po’ di cavolfiore, e si portò la forchetta alla bocca. «Non è poi così diverso da tanti altri lavori. Le questioni morali, i momenti di conflitto tra vita privata e professionale, ci sono comunque sempre.» Finì di masticare il boccone e inghiottì. «Pensavo di parlarne a te e Troy venerdì sera. Ma, come sai, le cose non sono poi andate per il verso giusto.»
«Se lo avessi fatto, tutto sarebbe stato diverso» disse Nick, allontanando il piatto per indicare che era sazio. «Mi sarei reso conto del possibile pericolo, e molto probabilmente, laggiù, ci sarei stato io con te. E chi lo sa che cosa sarebbe accaduto, allora.»
«Ho avuto conflitti peggiori, in passato» disse Carol, bevendo un sorso di vino. Voleva chiudere l’argomento, e a modo suo. «Subito dopo la laurea a Stanford, ho lavorato per il San Francisco Chronicle. Uscivo ogni tanto con Lucas Tipton, ed era l’epoca dello scandalo Warrior, quello della droga. Così, ho sfruttato i contatti sociali che mi ero procurata tramite lui per ottenere una visuale unica della faccenda. E Lucas non me l’ha più perdonato. Come vedi, ai problemi ho fatto il callo: fanno parte della professione.»
Venne un cameriere col caffè. «Ma adesso che ho finito di scusarmi per la terza volta,» continuò, sottolineando il “terza” «spero che possiamo tornare all’essenziale. Bisogna proprio che te lo dica, Nick: la tua idea del complotto russo a me sembra una stupidaggine. L’elemento più debole è Troy. Una spia, lui? Ma andiamo, via, è assurdo!»
«Più assurdo di un veicolo spaziale superalieno bisognoso di riparazioni e fermo sul fondale del Golfo del Messico?» ribatté ostinato Nick. «Senza contare un motivo ben preciso: il denaro. Hai visto la mole di attrezzatura che è entrata in quel suo videogioco?»
«Sì, ma una settimana di diritti d’autore di Angie basta probabilmente a pagare tutto quello di elettronico che c’è là dentro» disse Carol. Poi, chinandosi e posandogli una mano sul braccio: «Ora, non andare in collera, ti prego: ma i rapporti in cui è la donna a sopportare il peso finanziario, esistono, sai? Io sento che lei lo ama, e non dubito minimamente che sia pronta ad aiutarlo».
«Ma, allora, perché ha tentato di farsi prestare soldi da me e poi ancora dal capitano Homer, giovedì sera?»
«Accidenti, Nick, non lo so,» fece Carol, con una punta di stizza «e comunque, non importa. A farla breve, nulla, se non la certezza di finire uccisa, mi impedirebbe di tornar là sotto con lui. Qualunque sia la verità, è sicuramente una storia sensazionale. E mi sorprende che tu esiti tanto: ti credevo un avventuriero!»
Lo guardò fisso, e Nick colse un lampo di civetteria dietro quello sguardo imperturbabile. Sei una donna affascinante, pensò. E ora mi stai stuzzicando. Il doppiosenso non m’è sfuggito, va’! Ricordò com’era stato bello nel pomeriggio, là sulla barca, quando l’aveva tenuta stretta a sé. Sotto quella facciata aggressiva c’è un’altra persona, bella e intelligente. Dura come il ferro un momento, e vulnerabile come una bimba il momento dopo. Ogni speranza di poter continuare il suo rapporto con lei dipendeva, ne era certo, dal suo esser disposto ad aiutare Troy. Perché a lei non interessavano gli uomini non disposti a correre rischi.
«E lo ero difatti, una volta» rispose finalmente, rigirandosi in mano il bicchiere vuoto. «Poi non so cosa sia accaduto. Sarà che sono stato punto un paio di volte, il che mi ha reso più cauto — specialmente nei rapporti umani. Ma confesso che l’intera faccenda mi appare assolutamente affascinante, se solo mi immagino in posizione di osservatore estraneo.»
Carol finì il vino e posò il bicchiere sul tavolo. Nick rimase tranquillo in silenzio. Lei tambureggiò con le dita sulla tovaglia, sorridendo. «Allora,» disse quindi, fissandolo negli occhi nel sollevare la tazzina del caffè «hai preso una decisione?»
«Ma sì, ma sì: ci sto» rise lui. Poi, chinandosi lui, stavolta, a toccarle il braccio: «E per un sacco di ragioni».
«Bene» disse lei. «Ora che siamo giunti a una decisione, che ne diresti di aiutarmi a preparare la mia intervista col capitano Homer e la sua ciurma? Quanto valeva il tesoro sommerso della Santa Rosa? E chi era Jack? Bisogna che dia l’impressione di essere seriamente interessata alla storia, capisci.» Posò sul tavolo il registratore tipo stilografica e lo avviò.
«Ufficialmente, un po’ più di due milioni di dollari. Jake Lewis e io abbiamo ricevuto il dieci per cento ciascuno, Amanda Winchester il rimborso delle spese più il venticinque per cento. Il resto l’hanno tenuto Homer, Ellen e Greta.» Nick si fermò, ma Carol gli fece cenno di continuare. «Jake Lewis è l’unico amico intimo che abbia avuto da adulto. Era un essere squisito: onesto, lavoratore, intelligente e leale. E ingenuo al cento per cento. Così è caduto a pesce nelle reti di Greta, che l’ha manipolato a suo piacimento sfruttandone l’amore a proprio vantaggio.»