Guardando fuori della finestra del piccolo ristorante specializzato in frutti di mare, fissò lo sguardo su alcuni gabbiani saettanti sull’acqua nel calar del crepuscolo e continuò: «La sera che siamo rientrati col grosso del tesoro, Jake e io abbiamo concordato che uno di noi due doveva restare sempre sveglio. Il triangolo Homer-Ellen-Greta aveva infatti qualcosa di strano già allora, e sebbene all’epoca non facesse ancora vita in comune, c’era qualcosa che m’induceva a diffidarne. Mentre Jake era di guardia, Greta lo raggiunse e lo scopò fino a levargli il sentimento. “Per festeggiare”, mi disse lui, scusandosi per essersi addormentato dopo la scopata. E, quando mi sono svegliato io, oltre la metà del tesoro era ormai sparita».
Nick fremeva di collera lungamente repressa. Osservandolo attentamente, Carol ne notò la veemenza. «A Jake, del denaro non importava un cazzo. Figurati che ha perfino cercato di dissuadere Amanda e me dal far causa! Era così… Ricordo che mi ha detto: “Nick, amico mio, abbiamo fatto duecentomila dollari a testa, e non possiamo provare che ci fosse dell’altro tesoro. Accontentiamoci di quelli e non guastiamoci l’esistenza!”. Fregato da Homer, smerdato da Greta, eppure neanche incazzato tanto così… Poco più di un anno dopo, sposava una reginetta dello sci d’acqua di Winter Haven, comprava una casa ad Orlando, e s’impiegava come tecnico aerospaziale.»
Fuori, la luce svaniva. Nick, profondamente immerso nei ricordi, rievocava in tutto il suo furore la giusta indignazione di otto anni prima. «Io non sono mai riuscita a capirle» disse piano Carol, spegnendo il registratore. Nick spostò lo sguardo su di lei, aggrottando la fronte con aria interrogativa. «Le persone come il tuo amico Jake, intendo» spiegò lei. «Sopportazione infinita, nessun rancore: accada quel che accada, uno scrollone, come fosse acqua, e via: la vita continua, allegra e serena.» Toccava a lei ora di sentirsi un po’ emozionata. «A volte mi piacerebbe essere un po’ così. Perché perderei la mia paura.»
Si fissarono nella luce smorzata. Nick le coprì le mani con le sue. Riecco la bambina vulnerabile, pensò, avvertendo un profondo desiderio d’amore. È la seconda volta in un giorno che mi si lascia vedere. «Carol,» disse dolcemente «desidero ringraziarti per questo pomeriggio. Per aver condiviso i tuoi sentimenti con me, voglio dire. Sento di aver visto una Carol Dawson del tutto diversa.»
«E l’hai, difatti» sorrise lei, ma in modo che gli fosse chiaro che lo scudo protettivo era tornato al suo posto. «E solo il tempo dirà se non sia stato un grosso errore.» Lentamente, sciolse le mani dalle sue. «Per il momento, comunque, abbiamo altro da fare. Torniamo al ménage-à-trois. Che genere d’impianto hanno in piedi, e cosa ci fanno?»
«Prego?» chiese Nick, ovviamente confuso.
«Un mio amico, il dottor Dale Michaels dell’Istituto Oceanografico di Miami, mi ha detto che il capitano Homer ed Ellen hanno un impianto ad alta tecnologia. Non ricordo esattamente la sua descrizione, ma…»
«Mi sa che ti sbagli» interruppe Nick. «Li conosco da quasi dieci anni, e gli unici posti dove stanno sono la bizzarra casa di lui o l’Ambrosia.»
Sconcertata, Carol disse: «Strano, perché le informazioni di Dale sono sempre giuste. Proprio ieri, anzi, mi diceva che, in questi ultimi cinque anni, Homer Ashford ha sperimentato le più avanzate sentinelle sottomarine dell’istituto e che i rapporti da lui…».
«Ferma, ferma!» disse Nick, chinandosi verso di lei. «Non sono sicuro di aver capito bene. Torna un po’ indietro: potrebbe essere molto, ma molto importante…»
Carol riprese: «Una delle aree di produzione più recenti dell’IOM sono le sentinelle sottomarine: dei robot, fondamentalmente, che hanno il compito di proteggere le acquaculture da ladri sofisticati così come dai grossi pesci o dalle balene. Dale ha detto che Homer contribuisce finanziariamente alle ricerche e sperimenta lui stesso i prototipi…».
«Figlio di puttana!» esclamò Nick, alzandosi tutto agitato. «Ma come ho potuto essere tanto stupido? Ma si capisce, ma è ovvio, cribbio!»
Ora fu Carol a non capire. «Ti spiacerebbe dirmi che succede?»
«No, no, solo che adesso bisogna che ce la battiamo» rispose Nick. «Dobbiamo fare un salto da me a dare un’occhiata a una vecchia carta e a prendere un altro sistema di navigazione per la barca. Ti spiegherò tutto strada facendo.»
Nick infilò la tessera nel lettore e la porta del garage si aprì. Portò la Pontiac nel suo spazio riservato e spense il motore. «Perciò, vedi, lui sapeva che non avremmo trovato un tubo» diceva intanto a Carol. «E, così, ci ha lasciato perquisire sia la casa sia il lotto da lui comprato per la nuova residenza di Pelican Point. E noi non abbiamo trovato niente perché, in quel momento, la roba stava ancora nascosta da qualche parte nell’oceano.»
«Ma nell’acqua attorno alla nuova proprietà, non avete guardato?»
«E come no! Siamo scesi sia Jake che io, in giorni diversi, e abbiamo trovato un’interessantissima caverna sotterranea, ma neanche l’ombra del tesoro della Santa Rosa. Questo, però, dev’esser stato quello che gli ha dato l’idea, e scommetto che ha spostato la roba un anno o due dopo la partenza di Jake. Probabilmente ha pensato di poter agire in piena sicurezza, ormai, e senza dubbio avrà temuto che il tesoro potesse venir scoperto da altri, se lo lasciava ancora là nell’oceano. Come vedi, coincide tutto, compreso il suo cointeressamento nelle sentinelle sottomarine.»
Carol assentì e fece una risatina. «Di sicuro ha più senso della tua idea di un Troy agente russo!» Aprirono le portiere e smontarono. «E quanto credi che gli sia rimasto, del tesoro?» chiese Carol mentre si avviavano all’ascensore.
«E chi lo sa» rispose Nick. «Se, com’è probabile, hanno rubato tre milioni su cinque» — un istante di riflessione — «devono avere ancora un bel gruzzolo, altrimenti Greta se la sarebbe già filata.»
Le porte dell’ascensore si aprirono e Nick pigiò il bottone del secondo piano. Carol tirò un sospirone. «Be’, che ti succede?» chiese lui.
«Sono sfinita» rispose lei. «Mi pare di stare su una giostra che gira sempre più veloce. In questi ultimi tre giorni sono successe tante di quelle cose, che non so proprio se resisterò ancora. Ho bisogno di riprender fiato.»
«Giorni magici» disse Nick mentre uscivano dall’ascensore: «questi sono giorni magici!»
Lei lo guardò con espressione incuriosita. «È una mia vecchia teoria» rise lui. «Dopo te la spiego.» Pigiò una serie di numeri sulla placchetta della porta e la serratura scattò. Si fece da parte con finta galanteria e lasciò entrare per prima Carol. Che si trovò davanti un gran caos.
L’appartamento era sottosopra. Nel soggiorno, appena oltre la zona cucina, tutti i preziosi romanzi di Nick erano disseminati qua e là sul pavimento, sul divano e sulle poltrone, come se qualcuno avesse tolto i libri dagli scaffali uno per volta e, scossili (forse nel tentativo di trovare foglietti sparsi), li avesse lasciati cadere o lanciati in giro per la stanza. Nick spinse da parte Carol e rimase a contemplare sbigottito lo sfascio. «Oh cazzo…»
Era stata saccheggiata anche la cucina: cassetti aperti, vasi, pentole e stoviglie disseminati sui piani di lavoro e sul pavimento. Gli scatoloni coi ricordi di Nick erano stati trascinati al centro della seconda camera da letto, sulla destra, e il contenuto parzialmente sparso tutt’in giro.
«Ma che: è passato un ciclone?» esclamò Carol, osservando tutta quella confusione. «Non che mi aspettassi che tu fossi un bravo uomo di casa; ma questo è ridicolo…»
Nick non riuscì a ridere della battuta. Andò nella camera da letto grande e constatò che era stata saccheggiata anch’essa. Tornò quindi in soggiorno e cominciò a raccogliere i suoi amati romanzi e a impilarli ordinatamente sul tavolino da caffè. Alla vista della consunta copia dell’Etranger di Albert Camus, ebbe un soprassalto: la costola era squarciata! «Questa non è opera di vandali» disse a Carol, inginocchiatasi ad aiutarlo «ma di gente in cerca di qualcosa di preciso.»