Carol scosse il capo. «Non è lo stesso.» Poi, dopo un minuto di riflessione: «Maledizione, avrei dovuto portarmi dietro i negativi quando abbiamo lasciato l’appartamento per andare a casa di Troy!». Guardò quindi i due uomini, e si rasserenò un poco. «E vabbé, c’è sempre domani, comunque.»
Troy aspettava sempre pazientemente di potersi spiegare. Invitando Nick a sedere accanto a Carol sul letto, disse: «Ora vi spiego tutto in breve. Prima di tutto, i fatti. Sono arrivato qui verso le sette — un po’ in anticipo perché volevo fare qualche modifica al televisore. Vi dirò fra un istante la ragione.
«Quelli dell’albergo non mi hanno voluto dare la chiave della camera, e così sono venuto qui a far fesso il leggitessera — una bazzecola, per chi conosce il funzionamento di questi cosi» aggiunse con un sorriso. «Appena si è accesa la luce verde ed è scattata la serratura, ho udito sbattere la porta del giardino. C’era dunque qualcuno qui dentro, fino a un istante prima. Nell’aprire la porta, ho fatto in tempo a scorgere un tipo grande grosso, mai visto, che girava l’angolo dell’albergo. Si muoveva impacciato, come se trasportasse qualcosa di pesante.»
«Parte del telescopio oceanico» disse Carol.
«Va’ avanti» disse Nick. «E poi, cos’è successo? Voglio sentire perché eri rimasto qui a lavorare al buio, e scommetto che avrai pronta una delle tue belle storielle.»
«Ma sicuro» disse Troy. «Sono rimasto al buio perché temevo che il ladro o i ladri tornassero, e non volevo che mi vedessero.»
«Sei proprio un campione, Jefferson» disse Nick. «Tu sei il tipo che direbbe a un poliziotto di aver superato il limite di velocità per poter arrivare a una pompa di rifornimento prima di finire la benzina!»
«E quello ci crederebbe pure!» osservò Carol. Risero tutti quanti, e la tensione cominciò a sciogliersi.
«Va bene» disse Nick. «Ora dicci cos’hai fatto al televisore. Fra parentesi, com’è che sei riuscito a smontarlo? I televisori d’albergo non sono forse tutti muniti di dispositivi d’allarme?»
«Sicuro,» rispose Troy «solo che, disattivarli, è semplicissimo. È proprio tutta da ridere: l’albergo si fa rifilare questi allarmi da qualcuno che sostiene che non c’è di meglio come antifurto, e i ladri, una volta scoperto con facilità il tipo di sistema installato, si comprano gli schemi dei circuiti e disattivano il tutto!»
Troy si guardò intorno, poi controllò attentamente l’orologio. «Ecco» disse «se vi spostate su quelle sedie, credo che potrete vedere meglio.» Scambiandosi uno sguardo perplesso, Nick e Carol ubbidirono. «Ora» continuò Troy in tono sorprendentemente serio «vi mostro quella che, secondo me, è la prova incontrovertibile della veridicità della mia storia degli alieni. A quanto mi hanno fatto sapere via braccialetto, trasmetteranno un breve programma televisivo, alle sette e mezzo in punto, dall’interno dell’astronave. Se ho capito bene le loro istruzioni e fatte le modifiche giuste, questo televisore dovrebbe ora essere in grado di riceverlo.»
Si rivolse all’apparecchio e inserì il canale 44. Nient’altro che fruscio ed effetto neve… «Magnifico, Trop commentò Nick. «Una roba simile batterà probabilmente l’indice d’ascolto di sceneggiati e videomusica, perché richiede allo spettatore ancora meno intelligenza di…»
Sullo schermo apparve improvvisamente un’immagine, e, malgrado fosse un po’ scura, Carol vi si riconobbe all’istante: era lei, che, di spalle alle telecamere, muoveva le dita su una specie di tavola, mentre si udiva una versione orchestrale di Stille Nacht prodotta da uno strumento non dissimile da un organo.
«È la camera musicale di cui ti ho parlato» disse Carol a Nick. «Quindi, il coso-guardiano doveva avere una videocamera fra tutti i suoi aggeggi.»
L’immagine mutò di scatto in un primo piano degli occhi di Carol. Per cinque secondi, quegli occhi meravigliosi e spaventati empirono quasi per intero lo schermo. Poi Carol li sbatté due volte e la telecamera si ritrasse, riprendendola tutta sul davanti — in piedi, tremante nel costume da bagno. Carol rabbrividì al pensiero dell’orrore di quei secondi in cui le appendici del guardiano le avevano invaso il corpo. Lo schermo mostrava tutto, in alcuni istanti perfino al rallentatore. Una delle scene restituì così il deliberato movimento delle setole sul suo torace, e sui capezzoli eretti. Oddio, pensò, non mi ero resa conto che fossero eretti! Dev’esser l’effetto della paura. Si agitò a disagio, sorprendentemente imbarazzata di fronte a Nick.
Il programma era discontinuo. Nella scena seguente poterono vedere Troy, steso sul pavimento di un’altra camera, con addosso una tal quantità di fili e cavi da sembrare Gulliver ravvoltolato dai lillipuziani. La telecamera spaziò all’intorno, inquadrando, in un angolo, due guardiani. Le appendici della parte superiore del corpo erano del tutto diverse, ma la parte centrale era la stessa, amebiforme, che avevano conosciuta Troy e Carol. All’altro capo della camera stavano, ritti, due tappeti, che si agitavano come se si stessero parlando. La telecamera rimase fissa per una decina di secondi: poi Nick, Carol e Troy videro i tappeti terminare la loro apparente conversazione e allontanarsi a balzelli in due direzioni diverse.
Le inquadrature finali della trasmissione furono una serie di primi piani della testa di Troy, presentante oltre un centinaio di sonde e inserti collegati al cervello. Poi lo schermo tornò al fruscio e all’effetto neve. «Accidenti…» esclamò Nick dopo un momento. «Non si potrebbe avere una ripetizione immediata?» Poi, alzandosi: «E tu eri proprio uno schianto» disse a Carol. «Solo che bisognerà ritoccare un po’ le tue scene, se vogliamo il visto di censura per i minori.»
Carol lo guardò con un leggero rossore in viso. «Scusa, Nick, ma non mi sembri tanto bravo come attore. Uno bravo l’abbiamo già» — cenno del capo in direzione di Troy — «e penso che basti e avanzi.» Dopo un’occhiata all’orologio accanto al letto, proseguì: «E adesso direi che ci resta circa un quarto d’ora, non di più, per metterci d’accordo sul daffarsi. E siccome io mi devo anche cambiare, tu intanto potresti comunicare a Troy la tua decisione e le tue conclusioni a proposito della Santa Rosa». Afferrati una camicetta e un paio di pantaloni, si diresse quindi verso il bagno.
«Ehi, aspetta un minuto» protestò Nick. «Ma non dobbiamo discutere anche di chi è stato a penetrare nel mio appartamento e nella tua camera?»
Carol si fermò sulla porta del bagno. «Le uniche possibilità che abbiano senso sono due» disse. «O è stata la Marina, o sono stati quei malati dei nostri amici dell’Ambrosia. In un caso o nell’altro, lo sapremo presto, comunque.» Si arrestò un momento, un sorriso sbarazzino sulle labbra: «Ora voglio vedere se, fra tutt’e due, siete capaci di trovare il modo di fregare l’oro di Homer. Stanotte. Prima che torniamo per l’incontro di domattina coi nostri extraterrestri».
9
Ripassati un’ultima volta i particolari con Troy, Carol controllò l’orologio. «Sono già le otto e mezzo. Se tardo ancora, s’insospettiranno di sicuro» disse, in piedi accanto alla Pontiac di Nick nel parcheggio del Pelican Resort, un ristorante a meno di un chilometro dalla residenza Ashford di Pelican Point. «Ma lui, dov’è?» si spazientì. «Questa cosa sarebbe dovuta esser finita già da un quarto d’ora.»
«Calma, angelo, calma» disse Troy. «Questo nuovo apparecchio va provato per bene — potrebbe essere importantissimo, in caso d’emergenza — e io è la prima volta che lo adopero veramente.» Poi, con un abbraccio consolatore: «La concezione originaria è dei tuoi amici dell’IOM, sai?».