«Perché poi dovevo essere proprio io a suggerire un’idea tanto balzana…» si disse a voce alta Carol. «Ma dove ce l’hai il cervello, Carol Dawson?»
«Mi sentite?» gracchiò all’improvviso la voce di Nick, che sembrava giungere dal fondo di un pozzo.
«Sì,» rispose Troy in un minuscolo radiotelefono foggiato a ditale «ma non troppo chiaro. A che profondità sei?»
«Due metri e mezzo circa» fu la risposta.
«Scendi a cinque e richiama,» disse Troy «così vediamo se funziona anche nella parte più profonda della caverna.»
«Ma com’è che fa?» chiese Carol, mentre attendevano che Nick effettuasse la discesa.
«È un sistema nuovissimo, inserito nel respiratore» rispose Troy. «Perché funzioni, bisogna parlare mentre si espira. C’è una piccola ricetrasmittente nel boccaglio, con auricolare annesso. Purtroppo, oltre i cinque metri di profondità non funziona granché.»
Quasi un minuto dopo, udirono qualcosa di debolissimo, non riconoscibile come la voce di Nick. Troy ascoltò un istante. «Non riusciamo a sentirti, Nick. Troppa attenuazione. Torna su, adesso. Io, intanto, mando via Carol.» Poi premette un ripetitore sul radiotelefono in modo che il messaggio venisse ritrasmesso più volte.
Porse quindi l’apparecchio principale a Carol. «Bene, angelo: ora sei pronta» disse. «Noi dovremmo essere in acqua alle nove — e fuori, se tutto va bene, mezz’ora dopo. Tienili occupati a forza di domande. Poi lascia la casa entro le dieci e mezzo, al più tardi, e va’ diritta all’appartamento di Nick. T’incontreremo là con la tua giardinetta. E con l’oro, mi auguro» soggiunse, alzando le sopracciglia.
Carol respirò a fondo. «Ho paura» disse a Troy con un sorriso. «Preferirei affrontare un tappeto o magari anche uno di quei guardiani, piuttosto che quel terzetto.» Aprì la portiera dell’auto. «Credi proprio che faccia bene ad andarci con la macchina di Nick? Non li metterà ancor più in sospetto?»
«Oh, dài, angelo, ne abbiamo già parlato due volte» rise Troy, spingendola dolcemente in macchina. «Che siamo amici, lo sanno già, e poi a noi la tua giardinetta serve assolutamente — per l’equipaggiamento, gli zaini, il piombo e l’oro.» Chiuse la portiera e le stampò un leggero bacio sulla guancia attraverso il finestrino. «Sii prudente, angelo. E non correre rischi inutili.»
Carol mise in moto e rinculò al centro del parcheggio. Poi, dopo un cenno di saluto, infilò il vialetto buio che conduceva, attraverso la palude, all’estremità dell’isola. L’unica luce era quella di una luna gibbosa e quasi piena che posava sopra gli alberi. Bene, Dawson: ora ci sei dentro, pensò fra sé. Sta’ calma e apri gli occhi, e vedrai che andrà tutto per il meglio.
Guidò a passo di lumaca, ripassando più volte le mosse concordate per la sera. Poi cominciò a pensare a Nick. È uno che non molla, come me. Continua a odiare Homer e Greta per la fregatura ricevuta. E non vedeva l’ora di immergersi a cercare quell’oro. Con un sorriso, svoltò nel viale circolare d’accesso alla casa di Homer Ashford. Spero proprio che gliene resti ancora un po’.
Una frazione di secondo dopo che lei ebbe suonato il campanello, Homer aprì la porta e la salutò. «È in ritardo,» le disse in tono affabile «e pensavamo già che forse non sarebbe più venuta. Greta è già in piscina. Desidera cambiarsi per raggiungerla?»
«No, grazie, capitano Homer, ho deciso che stasera farò a meno del nuoto» rispose garbatamente Carol. «Apprezzo la gentilezza, ma la mia visita è soprattutto di lavoro, e preferirei cominciare l’intervista prima possibile. Anche prima di cena, se siamo tutti d’accordo.»
Homer la guidò in un gigantesco salone soggiorno e si fermò a un grande banco-bar, sopra il quale spiccava una magnifica scultura lignea, intagliata a mano e lunga sul metro e mezzo, di un Nettuno in atto di nuotare. Carol chiese del vino bianco. E Homer tentò invano di convincerla a prendere qualcòsa di più forte.
Il salone soggiorno aveva un tavolo da biliardo a un capo, e una porta scorrevole a vetri all’altro. La porta dava su un patio coperto che si rastremava verso un vialetto di cemento. Carol seguì Homer in silenzio, sorseggiando il suo vino ogni venti passi o giù di li. Il vialetto si snodava fra grandi alberi e, superato un chiosco ornamentale sulla sinistra, s’allargava attorno a una piscina enorme.
A dire il vero, anzi, le piscine erano due. Davanti a Carol si stendeva una classica piscina olimpionica di forma rettangolare, illuminata a giorno. A un capo, aveva uno scivolo e una cascata, che scendevano in essa da una montagna artificiale; all’altro, verso la seconda piscina e l’oceano, c’era un sistema di getti Jacuzzi fatto con le medesime mattonelle azzurre decorate che rivestivano il bordo della piscina principale. Il complesso era abilmente studiato in modo da dare l’impressione di acqua in movimento: dalla cascata sembrava scendere ininterrottamente acqua nella piscina principale, di dove passava nel sistema Jacuzzi e quindi in un ruscello che si perdeva rivoleggiando in direzione della casa.
La seconda piscina era circolare e scura, e stava alla sinistra di Carol, sul margine della proprietà, accanto a una casetta che aveva l’aspetto di uno spogliatoio. Greta era nella piscina rettangolare davanti a Carol, e faceva vasche, il corpo vigoroso teso a fendere ritmicamente l’acqua. Ottima nuotatrice lei stessa, Carol la osservò per qualche secondo.
«Non è uno spettacolo?» disse, con scoperta ammirazione, Homer, accostandosi. «Non c’è verso che si conceda un bel pranzo, se prima non ha fatto un bel po’ d’esercizio. Non sopporta la ciccia.»
Homer indossava una camicia hawaiana nocciola su un paio di calzoni marrone-chiaro e mocassini marrone, e aveva in mano un bicchierone di liquore strapieno di cubetti di ghiaccio. Sembrava disteso, addirittura affabile, anzi: un’aria da banchiere o alto dirigente in pensione, si disse Carol.
Greta continuava a nuotare imperterrita. Homer si era fatto troppo vicino, e Carol cominciava a sentirsi a disagio, come se le fosse stato invaso il suo spazio. «E dov’è Ellen?» domandò, voltandosi verso di lui e scostandosene insensibilmente.
«In cucina» rispose Homer. «A lei piace cucinare, specialmente quando abbiamo ospiti. E stasera sta preparando uno dei suoi piatti preferiti.» Con una sorta di ammicco nello sguardo, si chinò a bisbigliarle in confidenza: «Mi ha fatto promettere di non dirle nulla, ma sappia che si tratta di un potente afrodisiaco…».
Acc…, si disse Carol, cogliendo una zaffata dell’alito di Homer mescolata a un ghigno lascivo. Come ho potuto scordare quant’è ripugnante ’sto tipo? Ma crede sul serio che… Si fermò a riflettere, e ricordò come le persone con troppo denaro perdessero molto sovente il senso della realtà. Probabilmente alcune donne rispondono. Per quello che lui gli può dare. Le venne quasi un conato di vomito. Il pensiero di un qualunque legame sessuale con Homer era ripugnante sopra ogni cosa.
Greta aveva terminato le sue vasche. Uscita dalla piscina, si asciugò. Il costume da gara, tutto bianco, era una sorta di calzamaglia trasparente. Anche da lontano, Carol non poté evitare di vederle chiaramente capezzoli, seni e ciuffo del pube. Per quello che le serviva il costume, avrebbe potuto benissimo far senza. In piedi accanto a Carol, Homer la osservava imperturbabile venire a grandi passi verso di loro attraverso il cemento.
«Niente costume?» disse Greta quando fu a pochi passi, gli occhi fissi a trapanare Carol. «Mi spiace» continuò, al diniego di lei. «Homer sperava che potessimo fare una gara.» Guardò il capitano con una strana espressione che lei non capì. «Lui adora veder gareggiare le donne.»
«Sarebbe stata tutto meno che una gara» rispose Carol, alla quale parve di vedere Greta irrigidirsi. «Lei nuota infatti in maniera tanto splendida, che avrebbe vinto facilmente» soggiunse.