Tornato da Nick, gli diede il segnale di pollice ritto. Insieme percorsero i cinquanta metri di galleria e approdarono nella caverna sotterranea. Nel punto in cui lo stretto cunicolo si restringeva, Troy segnalò di nuovo a Nick di fermarsi mentre lui esplorava la caverna alla ricerca di trappole. Nick posò i piedi sul fondo della galleria e accese la piccola torcia che aveva con sé. Posto d’imboscata ideale: tanto stretto da non lasciar praticamente alcuno spazio di manovra… Che posto per morire, pensò a un tratto, preso da paura. Spense la torcia e guardò l’orologio fosforescente, rimanendo a fissare per un minuto intero la lancetta dei secondi. Si sforzò di calmarsi. Erano tre minuti che Troy era via. Perché ci mette tanto?, si domandò. Deve aver trovato qualcosa. Passò un altro minuto, e un altro ancora. E lui faticava a dominare un principio di panico. Che faccio se non torna?
Proprio nell’istante in cui decideva di entrare a sua volta nella caverna, avvistò la torcia di Troy in avvicinamento. Troy gli fece segno e lui lo seguì. In trenta secondi furono nella parte bassa della caverna, dove l’acqua era profonda solo poco più di un metro. Si alzarono in piedi, le pinne inserite fra le rocce per contrastare il risucchio intermittente ed evitare quindi possibili cadute.
Nick si tolse il boccaglio e alzò la maschera. Prima che aprisse bocca, Troy gli posò un dito sulle labbra, sussurrandogli quasi inintellegibilmente: «Parla pianissimo. Potrebbero esserci dei fonoallarmi».
L’unica luce della caverna era la torcia di Troy, che però illuminò, nei punti più alti della volta, due serie separate di tubi fluorescenti. La caverna era un ovale irregolare, con un’estensione longitudinale massima di una trentina di metri e un diametro massimo sui quindici. La volta, alta solo una novantina di centimetri presso l’imbocco della galleria oceanica, saliva ai sei metri nel punto d’acqua bassa in cui stavano ora Nick e Troy.
«Be’, professore» riprese a sussurrare Troy «ho una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che qui dentro non c’è ombra di tesoro; la buona, che ci sono due altri cunicoli, entrambi artificiali, che partono da qui e passano sotto la proprietà del capitano Homer.» Una pausa, poi, osservando il compagno, disse: «Allora, li proviamo?».
Nick consultò l’orologio — già le nove e venti — e assentì. «Quel bastardo ha speso un sacco di soldi qua sotto. Dunque, devono avermi rubato più di quanto non immaginassi.» E riaggiustò la muta.
«Cominciamo dal cunicolo sinistro, con me in testa per l’avvistamento-guai, come prima» disse Troy, sventagliando la volta con la torcia. «Strano posto, questo, ma bello, però. Sembra un altro pianeta, no?»
Nick si riabbassò la maschera e reinfilò il boccaglio, poi tornò in acqua, seguito da Troy. Una volta sotto, questi gli indicò la strada del primo cunicolo artificiale, che si trovava all’estremità opposta della caverna, a una profondità massima di poco più di tre metri e mezzo. Il cunicolo era un normale tubo circolare fognario, il cui diametro sul metro e mezzo corrispondeva grosso modo a quello della galleria naturale fra l’oceano e la caverna. Troy vi entrò con circospezione, nuotando avanti e indietro da una parte all’altra per esaminare qualche metro dell’una e poi dell’altra parete. E per poco non mancò l’allarme: una scatola lunga e sottile, incastonata nella parte alta di una giuntura fra due sezioni di tubo. La vide, alzando gli occhi, un istante prima di finire nel suo raggio.
Questo sistema era basato su un principio diverso. La scatola in alto era dotata di un congegno ottico, telecamera o altro, che riprendeva immagini continue di un quadrato di trenta centimetri di lato della parte inferiore del tubo; quadrato a sua volta ingegnosamente illuminato, da sotto, da una sezione luminosa nascosta nel fondo di normale cemento. Il processore d’allarme conteneva manifestamente un algoritmo di comparazione dei dati, che, scrutinando secondo una certa logica la sequenza di immagini, azionava l’allarme a una data soglia di pericolo. Era il congegno più complesso che Troy avesse mai visto — e presentava chiare somiglianze col telescopio oceanico di Carol. Ciò significa che è stato progettato e sviluppato dall’IOM, pensò, e quindi sarà meglio andarci coi piedi di piombo. Anche perché mi sa che l’algoritmo è congegnato in modo da far scattare l’allarme anche al minimo disturbo della telecamera.
Nick, che si era fatto da parte per non essergli d’impaccio, lo osservò tentare di aprire la scatola senza disturbarne lo strumento ottico. Il cerchio connettivo delle due sezioni di tubo presentava in quel punto una scanalatura continua di circa cinque centimetri, ossia della larghezza necessaria all’alloggiamento della scatola. Per il resto, le sezioni erano tutte cementate. Perché, dunque, tale discontinuità?
Strano, pensò Nick, spazzando intanto con la piccola torcia l’oscurità alle sue spalle e aspettandosi di vedere nient’altro che una parete rocciosa. E quello che accidenti è?, si chiese, inquadrando un oggetto metallico somigliante a una grossa griglia e posato sopra un vecchio pezzo di binario da ferrovia. Osservò più attentamente. Una scatola d’ingranaggi, delle carrucole… E a cosa servivano, come si combinavano?
Troy, nel frattempo, era riuscito a smontare l’incasso della scatola senza disturbare la telecamera e si sforzava di capire il funzionamento interno del sistema d’allarme. Troppo complicato per arrivarci in cinque minuti, pensò. Dovrebbe essere sufficiente isolare l’allarme, comunque. Lavorare sott’acqua era duro, ma lui era pratico e, inoltre, le parti elettroniche erano impaccate secondo logica. Riuscì così a trovare l’allarme e disattivarlo. Dopodiché indugiò qualche secondo a tentar di capire la funzione degli altri circuiti collegati all’unità d’allarme.
Nick gli avrebbe voluto mostrare ciò che aveva trovato nella scanalatura, ma poi, nell’osservarlo armeggiare coi complessi circuiti della scatola, tornò a preoccuparsi del tempo. Quasi un quarto alle dieci, ormai! Attirando il suo sguardo, gli indicò l’orologio. Troy abbandonò suo malgrado lo studio dell’allarme e procedette lungo il cunicolo.
Trenta metri più avanti, questo passava davanti a quello che sembrava, sulla sinistra, un portello — grande, massiccio e rotondo — di sottomarino. Sia Troy che Nick provarono a tirarne la maniglia, ma senza risultato. Troy fece segno a Nick di continuare a tirare mentre lui discendeva il cunicolo.
I lingotti d’oro e gli altri oggetti superstiti del tesoro della Santa Rosa stavano nel cunicolo, trenta metri oltre il portello tondo. Il cunicolo terminava a sua volta bruscamente contro una parete di roccia. Dinnanzi a questa, per tutta la larghezza del cunicolo, si allineava, per una profondità media di una trentina di centimetri, una serie di oggetti d’oro e d’argento. Il tesoro non era minimamente nascosto, bensì sparso qua e là a mucchi sul pavimento di cemento in fondo al cunicolo. Troy lo contemplò estatico. Che mucchio! Ce n’è abbastanza per gli alieni, per Nick e, volendo, anche un po’ per Carol e per me, pensò.
Tornò a cercare Nick, che, esultante alla vista di quel suo sorriso, lo aggirò in un guizzo per andare a vedere. Giunto davanti al tesoro, dedicò un paio di minuti a nuotargli intorno e a sollevare e riposare sul pavimento questo o quell’oggetto diverso.