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Vacca merda, si disse compiaciuto, mentre procedeva con Troy a infilare i lingotti d’oro nelle borse galleggianti. Una volta tanto, ho avuto ragione io! Solo in lingotti, qui c’è roba per oltre mezzo quintale. Prima dell’immersione avevano concordato di asportare solo i lingotti, se fossero stati di peso sufficiente, anche perché erano gli unici oggetti di cui potessero essere sicuri che fossero d’oro puro. Anche portandone cinquantotto agli amici di Troy, ne dovrebbero restare una cinquantina per noi. Poi, dopo un rapido calcolo mentale: Ciò che potrebbe fare più di trecentomila dollari a testa. Uhéee…

In preda alla gioia e all’emozione, Nick faticava a contenersi. Aveva voglia di cantare, ballare, saltare di gioia. Aveva avuto ragione lui, dopo tutto! Quei bastardi gli avevano davvero rubato il grosso del tesoro, e ora lui lo stava rirubando a loro… Nessuna felicità maggiore del raddrizzare un vecchio e doloroso torto subito — e con spavalderia!… Era la sua giornata, e già la festeggiava dentro di sé.

Il riempimento delle borse fu questione di un baleno, perché entrambi si sentivano carichi di un’energia infinita. Terminata l’operazione, Troy fece segno di tornare. Nick guardò gli oggetti rimasti sul pavimento. Dovremmo prendere tutto, e lasciare Homer e Greta senza niente, ma proprio niente, pensò. Ma bisognava essere pratici: le borse erano praticamente zeppe, e sarebbero già state un peso anche così.

Nick si avviò dunque verso l’oceano, la borsa galleggiante piena d’oro legata a una corda dietro di sé. Troy lo seguì. Nel passare la massiccia porta ora sulla destra, Troy si sorprese a ripensare al complesso di circuiti della scatola d’allarme poco innanzi, tra le due sezioni di tubo. Ma per cosa saranno gli altri collegamenti? Improvvisamente ricordò di aver visto, su una rivista di elettronica, un diagramma di certi temporizzatori avanzati in grado di reinizializzare i sistemi e di scambiare le parti malfunzionanti. Se tale era il caso di quel sistema, allora la componente da lui disattivata poteva essere stata dichiarata non funzionante dal processore intelligente della scatola, e quindi o rimpiazzata da una parte soprannumeraria o ignorata dal sistema. Nell’un caso come nell’altro, ciò significa che il sistema potrebbe esser tornato attivo, pensò.

Ma il suo pensiero arrivò troppo tardi. Nick entrò infatti nel campo visivo dello strumento ottico e il cunicolo si accese di luci per l’intera lunghezza, mentre un cancello metallico prendeva a chiudersi alle sue spalle dietro la borsa dell’oro. Con uno scatto di reni, Troy si proiettò oltre il cancello prima che si chiudesse del tutto, ma lasciando al di qua la sua borsa di lingotti.

Nick guardò la borsa perduta calare sul fondo, e allungò le braccia fra le sbarre ad afferrarla. Tentò di farla passare attraverso, ma invano. Scrollò il cancello, ma il metallo era solidissimo. Furioso e frustrato, lo prese a pugni. Nel riprender fiato tra un pugno e uno scrollone, avvertì un misterioso ronzìo, come di motore, lontano alle sue spalle. Si girò per cercare Troy, ma non lo vide da nessuna parte.

Sfinito dallo sprint cui si era sottoposto per passare attraverso il cancello in chiusura, Troy si era lasciato cadere sul fondo della piscina nella parte più profonda della caverna, a mezza strada fra i due cunicoli artificiali. Qui, dopo aver respirato a fondo varie volte dal boccaglio, aveva dato una controllata alla riserva d’ossigeno. Gliene restava per una decina di minuti. Osservando per un momento Nick, quasi fuori vista sulla destra, che s’arrabattava invano per recuperargli la borsa, aveva pensato: Oh, merda, se solo avessi riflettuto! Avrei dovuto saperlo… E, a questo punto, aveva udito un suono sulla sinistra. Incuriosito, si era spostato all’imbocco del secondo cunicolo — ed era finito sul sentiero del robot-sentinella.

Nonostante che la distanza originaria fra questo e lui fosse di oltre quindici metri, il meccanismo di guida dell’ordigno puntò su di lui nell’istante della sua comparsa. Sorpreso e affascinato, Troy non pensò sulle prime a sottrarsi all’avanzata del robot-sentinella — una specie di sottomarino a forma di pallottola, lungo circa un metro e largo una trentina di centimetri nel punto più ampio. Giunta a circa due metri e mezzo, la sentinella armò lentamente, e quindi sparò, una potente fiocina, grande quanto un coltello da tavola, che Troy schivò di misura e che centrò la parete a fianco.

Un empito di adrenalina nelle vene, Troy schizzò via verso il centro della piscina. La sentinella, anziché seguirlo, si spostò davanti all’imbocco della galleria naturale verso l’oceano, tagliando così la via di fuga, e intraprese quindi una ricerca sistematica della piscina. Maledizione, perche non me ne sono andato quando potevo?, pensò Troy, chiedendosi nel contempo se Nick fosse ancora al cancello.

La sentinella, intanto, aveva trovato nel suo campo visivo proprio Nick, che, del tutto inconsapevole della sua presenza, veniva lentamente verso l’uscita con la sua borsa galleggiante. Quando avvistò la sentinella, era ormai a meno di cinque metri e a facile portata del suo fucile subacqueo. Troy vide la sentinella armare il fucile. Oh, no! Attento, Nick, attento!, gridò a se stesso, non potendo far altro.

Accadde così in fretta, che né l’uno né l’altro seppero dire come fosse precisamente andata. Troy avrebbe successivamente dichiarato di aver provato a un tratto un caldo pizzicore al polso e di aver visto scaturire dal braccialetto un qualcosa — raggio luminoso? laser? plasma? — che aveva ridotto la sentinella al silenzio e all’immobilità. Come che fosse, la sentinella cessò ogni attività e, immediatamente dopo, i due uomini nuotavano insieme oltre la parte bassa della caverna. Momentaneamente salvi.

Carol non sapeva capacitarsi di ostriche tanto grosse e succulente. Seduta dirimpetto a lei, all’altro capo della tavola, Ellen era raggiante d’orgoglio. «Un altro po’, cara?» la invitò con un sorriso, sollevando l’enorme zuppiera di ostriche stufate. Un’altra porzione, dopo il pesce gatto con Nick. Greta ne avrebbe ribrezzo, pensò Carol, sorridendo fra sé e facendo di sì col capo. Una cosa, almeno, aveva imparato quella sera: che Ellen era senza dubbio una cuoca coi fiocchi.

E di una tristezza senza pari, anche, pensò, versandosi un altro po’ del pepato intingolo ricco di favolose ostriche Appalichicola. Homer aveva risposto di persona a tutte le domande nei venti minuti d’intervista prima di cena. Nei punti controversi o delicati, come quando Carol aveva chiesto spiegazioni circa le accuse rivolte ai tre di aver segretamente sottratto e nascosto parte del tesoro, s’era limitato a guardare Greta prima di rispondere. Per forza che Ellen non fa che mangiare: è il terzo incomodo!

«Favoloso, questo stufato» disse Carol a Ellen. «Mi farebbe la cortesia di darmi la ricetta!»

«E come no, cara,» disse, felice, Ellen «con piacere!» Al pensiero dell’allusione di Dale alla condotta di Ellen al banchetto di premiazione dell’IOM, Carol si domandò se il calore di lei non contenesse in effetti una componente sessuale. No, io non ce la vedo proprio, decise. È soltanto una donna che soffre di solitudine e di gravi squilibri. No, di tensione sessuale, io non sento proprio traccia.

«Visto che per tutta la sera le domande le ha fatte lei, signorina Dawson, perché adesso non se ne lascia fare qualcuna da noi?» disse Homer, che, dopo il bizzarro aperitivo dello squalo, si era mostrato sorprendentemente amabile e pacato. Già, bisogna pure che siano normali, ogni tanto, pensò Carol, o non sopravviverebbero. Ma il signor Hyde tornerà fuori, prima o poi…