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Sfortunatamente, dimenticò gli otto scalini di cemento, sicché, nel panico, inciampò e cadde, battendo forte la testa sul secondo scalino e rotolando sino al marciapiede sottostante. Dove rimase, svenuto, steso sulla schiena.

Carol si era rannicchiata contro Nick, alla vista della carota. Poi entrambi avevano guardato Troy, che sorridendo, canticchiava fra sé: «Quando giuri su una stella… chi tu sia non importa». Dinnanzi a quella sua aria blasé, si erano ripresi un po’. Ma quando, dopo la sparizione di Todd oltre la porta, la carota si girò verso di loro, fu difficile conservare la calma.

«Oh, cacchio,» disse Troy con un gran sorriso «io avevo proprio sperato in una fata turchina, pensando che magari mi avrebbe reso ricco o addirittura bianco.»

«Va bene, va bene, Jefferson» disse Nick, la faccia di chi avesse appena mangiato un limone «ma ora, per favore, spiegaci che razza di roba è questa cosa che ci sta davanti.»

Troy cominciò con l’andare tranquillamente a prendere gli zaini nell’angolo, poi, dirigendosi dritto alla carota, disse: «Questa cosa, professore, è ciò che potremmo chiamare una proiezione olografica». Così dicendo, attraversò con la mano il corpo arancione. «In qualche parte dell’universo esiste insomma una creatura viva come questa, della quale loro si sono limitati a inviare l’immagine per aiutarci a scappare.»

Nonostante la spiegazione, Nick e Carol preferirono non avvicinarsi oltre il necessario alla carota immobile, e si portarono all’uscita camminando con le spalle rasenti al muro. «Non preoccupatevi» rise Troy. «Non vi farà alcun male.»

La cosa più incomprensibile in assoluto era il sensore che pendeva dalla fessura sull’estrema destra della testa della carota. Carol non riusciva a staccarne gli occhi: pareva un pezzo di favo appiccicoso in cima a un bastone da majorette. «E che ci fa, con quello?» chiese, indicando col dito, mentre precedeva Troy nell’uscire.

«Non lo so, angelo» rispose questi. «Ma dev’essere qualcosa di divertente.»

Una volta in cima ai gradini, videro tutt’e tre Todd più o meno nello stesso istante e, naturalmente, furono sorpresi di trovarlo lungo disteso sul marciapiede e con la testa sanguinante. «Non dovremmo soccorrerlo?» si domandò a voce alta Carol mentre Troy faceva la scala a balzi.

«Nemmeno per idea» si affrettò a rispondere Nick.

Troy s’inginocchiò accanto allo svenuto e lo esaminò scrupolosamente da capo a piedi. Gli diede quindi uno schiaffetto sul viso, ma il tenente Todd non fece una piega. «Il professore aveva ragione, caro mio» disse allora, strizzando l’occhio agli amici e aprendosi in un sogghigno. «Tu non vali proprio una merda.»

«E così l’ho baciata» scoppiò a ridere Carol.

«Tu hai fatto cosa?» esclamò Nick. Erano a bordo della vecchia Ford LTD di Troy, diretti alla Hemingway Marina. Lasciata la base, avevano fatto a piedi i due chilometri e mezzo fino alla casa di Troy, e qui preso la sua macchina. Carol era accanto a Troy sul sedile anteriore, Nick dietro accanto agli zaini coi lingotti d’oro e i CD con le informazioni.

«L’ho baciata» ripeté Carol, girandosi verso di lui e tornando a ridere alla sua smorfia di ribrezzo. «E che potevo fare d’altro? Quella donna è più forte di tanti uomini, e mi teneva inchiodata per terra. E siccome in quel suo modo di tenermi c’era un qualcosa di vagamente…»

«Accidenti, angelo, sei proprio sbalorditiva!» esclamò Troy, picchiando con la sinistra sul cruscotto. «E la supercrucca che ha fatto, allora?»

«Ha allentato, giusto per un secondo, la presa ai polsi. Il tempo, secondo me, di decidere se rispondere al bacio.»

«Oh, Cristo, mi sento venir la nausea…» fece Nick, da dietro.

«E tu lei hai dato una botta alla tempie e sei scappata?» chiese Troy. Carol annuì. Dopo una risata, Troy ritornò serio: «Bada a te, se la rivedi, angelo. È una a cui non piace perdere».

«Su un punto, però, ti sbagli, Carol» osservò Nick. «Greta non ama affatto le donne, perché le piace troppo scopare gli uomini.»

Carol giudicò arrogante, anzi irritante, quel commento. Così lanciò a Troy: «Com’è, amico mio, che gli uomini danno per scontato che qualunque donna che abbia rapporti sessuali con gli uomini non possa nemmeno lontanamente provare interesse per il sesso con un altra donna? E forse un ennesimo esempio della loro fondamentale convinzione circa l’innata superiorità maschile!». Senza attendere risposta, si girò verso Nick soggiungendo: «E caso mai te lo stessi chiedendo, la risposta è: no, non sono lesbica, ma solo e soltanto eterosessuale — più che altro per via della mia origine medioborghese e sanfernandovallesca. Ma confesso che a volte ne ho fin qui degli uomini e delle loro, come io le chiamo, babbuinesche dimostrazioni di machismo!».

«Ehi, calma,» disse Nick «io mica volevo litigare, ma solo suggerire una…»

«Va bene, d’accordo,» interruppe Carol, calmandosi un po’ «nessuna offesa. Mi sa che ho il grilletto un po’ facile.» Rimase in silenzio per qualche secondo. Poi: «Fra parentesi, Nick: c’è una parte della storia che ancora non capisco del tutto. Come mai il capitano Homer si è dato tanto da fare per tener nascosto il tesoro per tutto questo tempo? Perché non l’ha venduto il più presto possibile?».

«Per un sacco di ragioni» rispose Nick. «Non ultima, la paura di venire in qualche modo scoperto e imputato di aver giurato il falso al nostro processo. E poi, così, ha altri vantaggi: evade l’imposta sul reddito, ha un capitale che si rivaluta nel tempo, e, soprattutto, ha la certezza di tenersi vicina Greta, che non lo molla per non perdere la propria parte. Perciò, quasi certamente lui convertirà in liquido un po’ d’oro ogni tanto, per il tramite di qualche intermediario, probabilmente, ma mai in quantità tali da attirare l’attenzione.»

«Ed ecco perché non può rivolgersi alla polizia, angelo» aggiunse Troy. «Se lo facesse, dovrebbe confessare ogni cosa. Scommetto che è incazzato come pochi!»

Così dicendo, infilò la corsia di svolta a sinistra e attese il cambio di semaforo. Sulla destra, a lato di Carol, venne a fermarsi una macchina. Carol girò per caso gli occhi e vide che era una Mercedes.

Più tardi avrebbe ricordato che il tempo le era parso dilatarsi. Ogni secondo del minuto successivo le s’impresse nella memoria al rallentatore, come se quel minuto fosse durato chissà quanto. Al volante dell’auto del capitano Homer c’era Greta, che la fissava. Homer, accanto a lei, agitava i pugni e gridava qualcosa che il finestrino chiuso le impediva di udire. Focalizzò lo sguardo sugli sbalorditivi occhi di Greta: mai vi aveva letto tanto odio. Si girò un attimo per metter in guardia Troy e Nick, e, quando si rigirò, vide che Greta le stava puntando contro una pistola.

Accaddero allora, quasi simultaneamente, tre cose. Lei si chinò, Troy scattò in avanti nell’incrocio, a semaforo rosso, schivando di misura una macchina lanciata in arrivo, e Greta sparò. La pallottola attraversò la portiera di Carol per andare a conficcarsi in quella di Troy, non colpendo per miracolo nessuno dei due. Carol rimase raggricciata sotto il cruscotto, sforzandosi di dominare il panico e di ritrovare il respiro.

E cominciò l’inseguimento. Erano le undici e mezzo di sabato sera, a Key West, il traffico del quartiere residenziale era scarso, e la Ford di Troy non era certo all’altezza della Mercedes. Greta riuscì a tornare in posizione altre due volte e ad annaffiare la Ford di pallottole. Vetri in pezzi dappertutto, ma nessuno ferito.

Nick, steso sul pianale davanti al sedile posteriore, gridò a Troy: «In centro! Punta al centro, se ce la fai, così magari li seminiamo nel traffico!».