I geniali ingegneri della Colonia hanno però previsto la possibilità di un cambiamento significativo, nei tre cicli delle ultime osservazioni regolari, di almeno uno della dozzina di pianeti-obiettivo e hanno perciò programmato, nella sequenza di avvicinamento, un protocollo d’emergenza per le situazioni nuove. Tale protocollo contempla, in sostanza, un’accurata analisi delle nuove condizioni del pianeta, una valutazione dell’impatto delle stesse sulla probabilità-chiave dei parametri di sopravvivenza e, infine, qualora detta valutazione non si riveli del tutto insoddisfacente, il trasferimento, ove possibile, delle nuove informazioni nell’infrastruttura elettronica responsabile dell’allevamento delle specie rimpatriate a partire dalla culla.
Una delle procedure parziali speciali del protocollo d’emergenza si occupa della presenza imprevista di nuove specie spaziali. Il primo atto della sequenza è l’esame di uno dei satelliti orbitanti, del quale è da valutare il grado di complessità tecnologica. L’astronave interstellare si pone perciò con gran cura in posizione di incontro con uno dei satelliti artificiali, che in maggior parte appaiono stazionare sopra una singola regione del pianeta ruotante che sta loro sotto. Valendosi di raffiche di algoritmi superveloci immagazzinati nel macroelaboratore di trasmissione, essa cerca e stabilisce la frequenza di comando e telemetria del vicino. I tentativi di comandare il satellite stesso falliscono, però, il che suggerisce la presenza di un codice protettivo complesso inserito nei ricevitori e/o di una complessa procedura secondaria di controllo.
L’impossibilità di comandare il satellite e di verificarne quindi le capacità impedisce all’astronave di stabilire in maniera conclusiva il livello tecnologico della nuova specie di viaggiatori spaziali. Il protocollo d’emergenza contempla, in situazione del genere, la “cattura” del satellite allo scopo di rendere possibile un’analisi in sito — a meno che non esistano pericoli manifesti da parte di congegni imbarcati sul medesimo. Questa particolare branca della logica componentistica dell’astronave è stata oggetto di vivace dibattito da parte dei supervisori del Comitato degli Ingegneri all’epoca della progettazione, diversi cicli addietro.
Molti tra gli ingegneri esperti giudicavano rischiosa l’introduzione di tale branca logica, e, ciò, soprattutto a causa della possibilità che una cultura paranoide emergente potesse armare i propri satelliti con congegni distruttivi non facilmente riconoscibili e disattivabili. Era però stato sostenuto, sulla base delle testimonianze storiche dell’intera galassia, che, siccome la maggioranza delle civiltà incipienti aboliva la guerra e l’aggressione prima di divenire viaggiatrice spaziale, l’assenza di un congegno chiaramente identificabile come protettivo o distruttivo fosse indizio sufficiente a consentire un cauto tentativo di cattura e smantellamento di un satellite. E ciascuno si era trovato d’accordo sul fatto che le informazioni particolareggiate ottenibili da tale «ingegneria alla rovescia» sullo stato tecnologico della nuova specie, sarebbero state preziosissime per la valutazione complessiva del rischio da essa rappresentato per le specie da rimpatriare.
Grandi manipolatori a distanza si estendono ora dall’astronave: afferrano il satellite di sorveglianza e lo trascinano in una grande sala dal soffitto a volte. Un’armata di piccoli robot elettronici lo assale all’istante, percorrendone rapidamente la superficie con sonde e cavi. Trilioni di bit di dati relativi al satellite vengono consegnati alla memoria primaria dell’elaboratore di bordo. I nuovi viaggiatori spaziali non sono molto avanzati, tecnicamente. Secondo l’algoritmo elettronico, anzi, è addirittura sorprendente che abbiano saputo impadronirsi delle tecniche di lancio e tenere in orbita tanti satelliti.
Un’esplosione comincia a frantumare la sala. Ad essa segue, quasi simultaneamente, una sbalorditiva sequenza di eventi. L’astronave dispiega le proprie risorse protettive per arrestare la diffusione della palla di fuoco e mitigare il danno provocato dal piccolo congegno nucleare che ha vaporizzato il satellite ospite. L’esplosione stessa viene rapidamente contenuta mediante tecniche sconosciute, ma non prima che il veicolo interstellare abbia subito notevoli danni interni.
Dopo l’esplosione la grande astronave avvia un complesso processo di autoverifica. L’analisi elettronica particolareggiata del danno indica che la probabilità di una riuscita collocazione delle culle negli otto pianeti restanti aumenterebbe considerevolmente, qualora la missione potesse venire temporaneamente interrotta allo scopo di consentire la messa in opera di talune riparazioni. Condizione concomitante di ciò è un rifugio sicuro, sito in ambiente noto e con pochissime variazioni, in cui queste possano venire effettuate. Sulla base dei vincoli di sistema e sottosistema applicabili durante le riparazioni, l’elaboratore centrale decide che il basso fondale oceanico del pianeta-obiettivo è un luogo perfetto nel piano di missione.
L’astronave scende nell’atmosfera, di nuovo riconfigurandosi in maniera da esporre una serie di superfici aerodinamiche di controllo. Durante la sua rapida discesa, il sentiero di volo viene attraversato da un velivolo pallottoliforme appena lanciato da un aeroplano d’alta quota. L’astronave si avvicina e vola quindi parallelamente al missile, intercettando la telemetrìa e correlandola ai dati di tratta in discesa estratti dal satellite di poco innanzi. Il suo elaboratore sfrutta la propria immensa capacità elaboratrice e i propri algoritmi di correlazione incrociata per tentare di penetrare il codice di comando del minuscolo satellite. Ci riesce, e la visitatrice può così interagire col proiettile guidato.
L’astronave comanda quindi al missile di leggere i propri sotto-programmi di guida. Al ritmo di quadrilioni di calcoli al secondo, l’elaboratore intelligente posto nel cuore del velivolo interstellare deduce la strategia di bersaglio del missile, e inserisce nel suo algoritmo di guida un’immagine-bersaglio destinata a farlo approdare nell’oceano, in un punto prossimo al luogo scelto per l’approdo dell’astronave stessa. Astronave e missile si tuffano quindi in tandem nel Golfo del Messico.
I due velivoli si posano sul fondale oceanico a circa tre chilometri di distanza. Il complesso programma di protezione antiguasti inserito nell’elaboratore della grande astronave, che ha assunto il comando delle operazioni immediatamente dopo l’esplosione del satellite, svolge intanto in parallelo quattro attività separate. Uno dei processori scrutina gli archivi-dati relativi a questo particolare pianeta al fine di determinare quale possibile specie indigena abbia potuto diventare navigatrice spaziale con tale rapidità dopo un balzo evolutivo altrettanto rapido. Accoppiata a questa prima serie di calcoli è una valutazione dell’impatto che questa intelligenza avanzata locale è suscettibile di esercitare sulla sopravvivenza degli zigoti rimpatriati. Tra le questioni affrontate in tale fase è quella dei passi attivi intraprendibili ora dall’astronave allo scopo di accrescere la probabilità di riuscita della germinazione e sviluppo degli embrioni.
Un terzo processore dell’elaboratore centrale compie un’analisi approfondita e particolareggiata dello stato dell’astronave, fra cui è una stima accurata delle tecniche e dei materiali necessari alla riparazione di ogni singola componente danneggiata. Il quarto sottoprogramma parallelo dirige l’opera dei piccoli robot piatti usciti dall’oceano. Questi hanno un duplice compito: primo, quello di accertare che il vicino missile sia inoffensivo e possa quindi venir trasportato a bordo dell’astronave; secondo, quello di catalogare tutta la flora e la fauna circostanti, per il caso che si renda necessario qualche mascheramento.