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Ciononostante, intorno alle due, al termine delle operazioni di rasatura, ricucitura e bendaggio della testa di Todd, lui e Ramirez avevano deciso di entrare a chiedergli che cosa fosse accaduto. E Todd aveva ripetuto per filo e per segno, due volte, una storia che lui, Winters, si rifiutava di accettare. Il tenente aveva cioè sostenuto di essere stato assalito, mentre orinava, da una carota alta un metro e ottanta, con fessure verticali sulla faccia, che si trovava nascosta nel gabinetto; e di essersi sottratto al primo assalto, ma di esser stato inseguito dalla carota-gigante nel vano principale.

«E questa cosa…»

«Carota» aveva interrotto Todd.

«E questa carota, in che modo l’ha assalita?» aveva continuato Winters, pensando: Oggesù, è impazzito! Un colpo in testa e ha dato definitivamente i numeri…

«È difficile a descriversi con esattezza» aveva scandito Todd. «Insomma, aveva quattro cosi che le pendevano da ’ste fessure della testa, che avevano una gran brutta aria…»

Qui era entrato, a interrompere, il medico. «Signori,» aveva detto con un perfetto sorriso da capezzale ospedaliero «il mio paziente ha un estremo bisogno di riposo. Alcune di queste domande potranno aspettare fino a domani, credo.»

Winters ricordava di aver provato un enorme senso di disorientamento nell’osservare l’infermiere quacchero trasportare Todd dalla sala operatoria all’infermeria. Non appena questi era stato fuori portata di voce, si era rivolto a Ramirez. «E lei, tenente, che pensa di tutto questo?»

«Mah, signor comandante, io non m’intendo di medicina…»

«Lo so, tenente, ma ciò che le chiedo non è un parere medico, bensì la sua opinione sulla faccenda della… carota.» Accidenti a te: possibile che tu abbia tanta poca fantasia da non reagire nemmeno alla storia di Todd?

«Signor comandante,» aveva risposto Ramirez «la faccenda della carota non rientra nella mia competenza.»

Ed è poco dire. Qui, Winters sorrise fra sé e lanciò la sigaretta nell’acqua. Poi andò nella piccola timoniera a controllare il navigatore. Erano a sole sette miglia dall’imbarcazione inseguita e in rapida convergenza. Tirò indietro la manetta sul folle. Non voleva avvicinarsi di più alla Florida Queen finché Ramirez e gli altri due marinai non fossero stati svegli e ai loro posti.

Stimò che mancasse un’altra quarantina di minuti al levar del sole. E tornò a ridere dell’indisponibilità di Ramirez ad arrischiare un commento sulla storia della carota. Ma questo giovane ispanico è un bravo ufficiale, e il suo unico errore è stato quello di seguire Todd. E ricordò la meticolosità con la quale Ramirez aveva organizzato tutti i particolari dell’uscita: scelta del motopeschereccio convertito, ad alta tecnologia fondata sulla velocità e la furtività d’approccio, sveglia ai due marinai scapoli che lavoravano per lui nel settore Informazioni, istituzione di un collegamento speciale fra la base e il motopeschereccio in modo da avere sotto controllo continuo la posizione della Florida Queen.

«Dobbiamo seguirli, non abbiamo altra scelta» aveva detto deciso Ramirez, una volta accertato che la Florida Queen aveva lasciato la Hemingway Marina poco dopo le due. «Sennò non potremo mai giustificare di averli arrestati.»

Lui aveva accettato contro voglia e Ramirez aveva organizzato la caccia. Poi, imbarcato, aveva ordinato agli uomini di dormire un po’ mentre lui formulava il piano. Che poi è semplice. Si tratta solo di dir loro: Bene, ragazzi, adesso venite con noi a rispondere alle domande, o vi denunciamo ai sensi della Legge sulle Attività Sediziose del 1911. Ora, messo il peschereccio in folle, era tempo di svegliare Ramirez e i due marinai. Perché intendeva arrestare il terzetto alle prime luci.

Il vento attorno al peschereccio mutò direzione, e lui si arrestò un momento per controllare le condizioni atmosferiche. Alzò lo sguardo alla luna. D’un tratto, l’aria sembrò più calda, quasi torrida, e lui ricordò una notte al largo della costa libica, otto anni prima. La peggiore della mia vita, pensò. E, per un momento, sentì vacillare la sua decisione di metter in pratica il piano, e si chiese se non stesse commettendo un nuovo sbaglio.

Poi udì uno squillo di tromba, seguito a circa quattro secondi di distanza da un suono simile, ma meno acuto. Si guardò intorno sul placido oceano, ma non vide niente. Ora gli giunse il suono di un gruppo di trombe e della sua eco, entrambi i suoni provenienti distintamente da ovest. Fissò gli occhi verso la luna. E, stagliato contro di essa, vide quello che sembrava un gruppo di serpenti danzanti sopra le acque. Entrò nella timoniera a prendere un binocolo.

Il tempo di tornare al parapetto, e si trovò immerso in una sinfonia meravigliosa. Ma di dove viene questa musica incredibile?, si chiese lì per lì, prima di soccombere del tutto alla sua maliosa bellezza. Appoggiato al parapetto, ascoltò con tutto il cuore. La musica era grandiosa, ricca di sentimento e di desiderio evocatore. E si sentì trascinare non solo nel proprio passato, dov’eran sepolti i ricordi più profondi, ma su un altro pianeta e in un’altra era, dove fieri e nobili serpenti dal collo azzurro chiamavano le amate nel breve rito annuale d’accoppiamento.

Ammaliato, le lacrime agli occhi, sollevò infine meccanicamente il binocolo e lo focalizzò sulle misteriose, sinuose forme sotto la luna. Le fantomatiche immagini erano del tutto trasparenti: la luce lunare le attraversava da parte a parte. Mentre osservava quei mille colli danzanti sulle acque, ondeggianti avanti e indietro con ritmo perfetto, e ascoltava la musica salire al crescendo finale della sinfonia canthoreana d’accoppiamento, gli occhi affaticati gli si velarono, dandogli, avrebbe giurato, l’impressione di vedere davanti a sé, là sulle acque, un’immagine di Tiffani Thomas, che lo chiamava con un canto di nostalgia e desiderio. L’unione della musica e della vista di lei gli straziò il cuore, dandogli un senso di perdita vivissimo, quale mai aveva provato nella vita.

, disse a se stesso mentre Tiffani continuava a invocarlo in lontananza, sì vengo. Mi rincresce, Tiffani cara. Domani verrò a vederti. E poi noi due… Arrestò il monologo interiore per asciugarsi gli occhi. La musica era ora entrata nel crescendo finale, a segnalare la danza d’accoppiamento vero e proprio fra le coppie di serpenti canthoreani. Tornò a guardare col binocolo. L’immagine di Tiffani era scomparsa. Regolò le lenti, e vide Joanna Carr, che gli sorrise brevemente e poi svanì. Un momento appresso sembrò danzare, proprio sotto la luna, la piccola araba della spiaggia virginiana. Danzava felice e gaia, e, un istante dopo, svanì anch’essa.

La musica lo circondava ora da ogni lato. Ondate di suono: potenti, piene, espressione del piacere non più pregustato ma concretamente vissuto. Guardò un’altra volta col binocolo. La luna stava tramontando, e, al suo cader nell’oceano, l’immagine dei serpenti danzanti contro il suo disco illuminato si stagliò netta. E lui vide chiaramente i visi della moglie Betty e del figlio Hap, che gli sorridevano entrambi con profondo, incrollabile affetto. E rimasero là finché la luna non fu sprofondata del tutto.

3

Carol si divincolava nel tentativo di aggiustare la muta. «Serve aiuto, angelo?» chiese Troy, già perfettamente pronto all’immersione, venendole vicino nell’ultima oscurità prima dell’alba.