«Non mi son più messa una roba del genere dai tempi delle prime lezioni di immersione» rispose lei, armeggiando con difficoltà con la superata attrezzatura.
Troy le tirò in vita la cintura dei pesi. «Hai paura, vero, angelo?» Lei non rispose subito. «Be’, anch’io. Devo avere un polso doppio del normale.»
Finalmente, Carol sembrò soddisfatta della muta. «Sai, Troy, anche dopo questi tre giorni il cervello fatica a convincere il resto di me che tutto questo sta succedendo davvero. Immagina di scriverlo per qualcuno che lo legga: “Mentre ci accingevamo a tornare all’astronave aliena…”.»
«Ehi, ragazzi, venite un po’ qua» chiamò Nick dall’altra parte del tendaletto. Carol e Troy vennero a prua. Nick stava scrutando l’oceano a est e, porgendo a Carol un piccolo binocolo, disse: «La vedi quella luce lontana, là, immediatamente a sinistra di quell’isola?».
Carol la distingueva a malapena. «Mmm… sì» rispose. «E allora?
«Che c’è di strano che ci sia in giro un’altra imbarcazione?» «Niente,» disse Nick «non fosse che quella luce è là ferma da un quarto d’ora. Immobile. E che ci fa un peschereccio, o qualunque altra barca così…»
«Zitti» interruppe Troy, portando un dito alle labbra. «Ascoltate,» bisbigliò «sento della musica.»
I suoi amici rimasero in silenzio. Alle loro spalle, la luna scomparve nell’oceano. E, sopra il dolce sciabordìo delle onde, giunse a tutt’e tre quello che sembrava il culmine di una sinfonia, suonata da un’orchestra al completo. Ascoltarono per trenta secondi. La musica raggiunse un picco, calò un poco, e cessò di colpo.
«Bella» osservò Carol.
«È inquietante» disse Nick, venendole a fianco. «E di dove diavolo veniva? C’è forse laggiù qualcuno che sta sperimentando un nuovo sistema stereo? Mio Dio, se il suono arriva a cinque o dieci miglia, da vicino dev’essere assordante!»
Troy era a qualche passo, per conto suo, ed era assorto in qualcosa. A un tratto si rivolse ai compagni dicendo: «So che sembra una follia, ma ritengo che la musica fosse un segnale per la nostra immersione. O una messa in guardia».
«Ottimo, proprio quello che ci voleva per rassicurarci» disse Carol. «Una messa in guardia… Come se non fossimo già abbastanza nervosi!»
Nick le mise il braccio attorno alle spalle. «Ehi, fanciulla, mica ci farai la fifona proprio adesso, eh? Dopo tutti i bei discorsi riguardo all’esperienza unica nella vita…»
«Su, sbrighiamoci» si spazientì Troy, l’aria smaniosa e serissima.
«Mi stanno decisamente dicendo che dobbiamo immergerci subito!»
La sua solennità mutò l’umore del terzetto, che si applicò in silenzio a sistemare le due borse galleggianti col piombo, l’oro e i dischi con le informazioni. A oriente, il cielo continuava a schiarirsi. Solo un quarto d’ora circa al levar del sole.
Durante l’operazione, Carol notò che Nick sembrava un po’ frastornato. Poco prima di lasciare la barca, gli venne vicino. «Tutto bene?» gli chiese.
«Ma sì» rispose lui. «Sto solo cercando di capire se sono uscito completamente di cervello. Per otto anni non ho fatto che pensare e che cosa avrei fatto se mai avessi avuto la mia parte intera di tesoro. E adesso sto per consegnarla tutta a certi extraterrestri di Dio sa dove.» La guardò. «Qui c’è oro abbastanza per tre persone e per un bel pezzo.»
«Lo so» disse lei, dandogli un piccolo abbraccio. «E devo confessare che ci ho pensato anch’io. Ma, in realta, una parte spetta ad Amanda Winchester, una a Jake Lewis, e il grosso allo Stato per le imposte…» Poi, con un gran sorriso: «Ma è solo denaro: niente, a paragone del nostro essere gli unici a interagire con visitatori di un altro pianeta».
«Spero abbia ragione tu» disse Nick. «Perché non vorrei svegliarmi domani e sentire di aver commesso uno sbaglio madornale. Tutta questa faccenda è stata così bizzarra, che penso di avere fuori fase le mie normali facoltà intellettive. E non sappiamo nemmeno con sicurezza se questi alieni siano amici…»
Carol si calò la maschera sul viso. «Non avremo mai tutte le risposte» disse. Poi, prendendogli la mano: «Su, tuffiamoci, Nick».
Il primo a immergersi fu Troy, seguito da Nick e Carol. Prima dell’immersione era stato concordato che a guidare, con la lampada, fosse Carol, la più mobile del terzetto visto che non aveva da trascinare le borse galleggianti. In previsione di difficoltà nel ritrovamento della nave, era stata anche discussa una serie di piani di localizzazione d’emergenza. Tempo sprecato, perché, nove metri sotto la Florida Queen, e praticamente nel punto preciso in cui si era trovata, il giovedì, la fessura, c’era ora una luce. Carol la indicò e i due uomini le si calarono dietro. Nell’avvicinarsi, videro che la luce proveniva da un rettangolo alto sui tre metri e profondo un sei, che sembrava fatto di un materiale o di un tessuto luminoso.
Carol esitò. Troy le nuotò accanto, entrando nel rettangolo luminoso con la borsa galleggiante al seguito, e svanì all’istante. Nick, e Carol rimasero in attesa. Carol si sentì irrigidire. Forza, Dawson, tocca a te, che ci sei già stata, pensò. E, respirando a fondo, nuotò dentro il rettangolo. Qualcosa come plastica le toccò il viso, e si trovò in un cunicolo coperto, in una rapida corrente che la spingeva sulla destra. Imboccò un piccolo scivolo acquatico e venne depositata in una piscina bassa sul fondo. Ne uscì e cominciò a liberarsi della muta.
Troy era in piedi sul pavimento un tre metri oltre l’estremità della piscina. Accanto a lui, un guardiano aveva già preso la borsa galleggiante e, apertala, aveva sapientemente separato i lingotti d’oro e i pesi di piombo dai dischi delle informazioni. Mentre gli occhi le si adattavano alla luce fioca dell’ambiente, Carol vide il guardiano caricare l’oro su una piccola piattaforma posata su cingoli e sospesa di una trentina di centimetri dal suolo. Subito dopo, il guardiano collocò i pesi di piombo e i dischi su due altre piattaforme; e, a questo punto, un tappeto che era rimasto fin qui immobile accanto alla parete sinistra si drizzò e, manifestamente attivando i cingoli sotto le piattaforme, le diresse verso un vicino corridoio in uscita dalla sala.
Carol si tolse la maschera e terminò di liberarsi della bardatura. Era in una sala di proporzioni medie, all’incirca simile a quelle in cui era entrata con Troy al principio della prima immersione, ma le sezioni curve delle pareti erano bianche e nere. Sulla sinistra della piscina, una finestrella dava sull’oceano. I soffitti, bassi ed ermetici, erano solo a una sessantina di centimetri sopra la sua testa, il che le dava un senso di claustrofobia. Rieccomi nel paese delle meraviglie, pensò. Ma stavolta intendo fare un sacco di fotografie. Fotografò così tappetto e piattaforme nel momento in cui sparivano dalla sala; poi, cambiando lenti, prese una dozzina di rapidi primi piani del guardiano accanto a Troy. Il guardiano aveva lo stesso corpo centrale amebiforme di quello da lei conosciuto il giorno innanzi, ma la metà superiore esibiva solo cinque appendici. Probabilmente, era stato preparato così appunto per il compito specifico del prelievo degli oggetti da loro portati.
Troy le venne accanto. «E Nick dov’è?» Oddio, pensò Carol, voltandosi verso lo scivolo della piscina, quasi dimenticavo! Si rimproverò di non averlo aspettato. Dopo tutto, per lui è la prima volta…
Il grande corpo di Nick, capitombolò giù per lo scivolo, sbattendo contro le fiancate, e finì nella piscina. La pesante borsa galleggiante, seguendolo, gli finì con una gran botta appena sopra le reni. Lui si drizzò alla meglio, ricadde nella piscina e si rialzò di nuovo. Così in muta, col sottile materiale plastico della borsa legato attorno al polso, era lui a sembrare un visitatore dello spazio.
Carol e Troy lo osservarono ridendo issarsi per uscire dalla piscina. «Ottimo, professore, bello spettacolo!» esclamò Troy, chinandosi a dargli una mano. «Peccato che non l’abbiamo su nastro.»