Mi fermai, dibattendo tra me la situazione. Ero abbastanza vicino alla barriera da poter allungare il mio primo tentacolo e toccarla. Esitai a lungo. Poi la toccai. Non accadde nulla. Arditamente, vi cacciai dentro il tentacolo. E penetrò nel nulla. Là, dove adesso si trovava, non c’era acqua. Con viva emozione, mi resi conto che sopra di me c’era la bolla centrale e che io solo, fra tutti gli Shadi viventi, l’avevo raggiunta e avevo osato toccarla. La sensazione sul mio tentacolo all’interno della bolla, oltre la Superficie era quella d’un peso enorme, come se il gas degli Shadi defunti mi stesse spingendo indietro. Ma non mi attaccarono, non tentarono neppure di farmi del male.
Sì, ero tremendamente orgoglioso. Mi sentivo come se avessi sopraffatto e consumato uno Shadi grande il doppio di me. E mentre esultavo, fui conscio delle emozioni delle creature all’interno dell’Oggetto.
«Sessanta metri!» esclamò l’uomo, frenetico. «Non può fermarsi qui! Non deve! Mia cara, il destino non può essere così crudele!»
Provai piacere nell’avvenire le emozioni delle due creature. Adesso provavano una nuova emozione che era anch’essa assai strana, almeno quanto tutte le mie altre esperienze con loro. Era un’emozione che sembrava anticiparne altre. La donna le diede un nome.
«È follia», dichiarò all’uomo, «ma per qualche motivo, comincio a sperare di nuovo».
E, nel mio piacere e interesse intellettuale, parve una cosa proprio da niente, per uno come me che aveva già tanto osato, stimolare ancora un poco quelle emozioni.
Risalii ancora un poco. La barriera che bloccava il mio senso spaziale, la Superficie, si fece ancora più vicina.
«Trenta metri», disse l’uomo, con un’emozione che per lui era angoscia, ma che, per la sua novità, era una fonte di piacere intellettuale per me.
Trasferii l’Oggetto su uno dei tentacoli anteriori e lo spinsi avanti. Urtò contro la solidità del pendio, che in quel punto era molto vicino e addirittura penetrava oltre la Superficie.
L’uomo sperimentò con grandissima intensità quell’emozione chiamata «speranza».
«Cinquantacinque metri!» gridò. «Tesoro, se ricominceremo a scendere, aprirò il portello e noi usciremo fuori non appena la batisfera sarà completamente allagata. Non so se siamo oppure no vicini alla riva, ma tenteremo».
La donna gli si era premuta addosso. L’angosciata speranza che la riempiva era una sensazione che si mescolava piacevolmente con la grande euforia che provavo per il mio coraggio e il mio successo. Spinsi di nuovo l’oggetto in avanti. Qui la Superficie era così vicina alla Solidità che una parte del mio tentacolo sali sopra la Superficie. E le emozioni all’interno dell’Oggetto raggiunsero l’apice. Continuai a spingere con forza, contro il peso che mi schiacciava all’interno della Bolla, fino a quando anche P Oggetto ruppe la Superficie, e poi ancora più oltre, finché non fu più nell’acqua ma nel gas, adagiato sopra quella Solidità che era, essa stessa, toccata soltanto dal gas.
L’uomo e la donna lavorarono frenetici all’interno dell’Oggetto. Una parte di esso si staccò. Essi si arrampicarono fuori. Aprirono le loro fauci e pronunciarono grida. Si avvinghiarono l’un l’altro coi tentacoli e si toccarono vicendevolmente le fauci, non per divorarsi, ma per esprimere le loro emozioni. Si guardarono intorno storditi per il sollievo, ed io vidi attraverso i loro occhi. La Superficie si perdeva in lontananza fin dove i loro sensi erano in grado di rivelarla, era mobile e irregolare, eppure piatta. Si trovavano sopra una Solidità dalla quale delle cose sporgevano. Sopra, c’era una vasta oscurità, penetrata da innumerevoli piccole fonti risplendenti di luce.
«Grazie a Dio!» esclamò l’uomo. «Poter vedere di nuovo gli alberi e le stelle!»
Si sentivano del tutto sicuri, e in pace, come in una Marea della Pace moltiplicata per mille. E forse io ero inebriato dal mio ardimento o forse dalle emozioni che ricevevo da loro. Spinsi i miei tentacoli attraverso la Superficie. Il loro peso era enorme. Ma lo è anche la mia forza.
Con grande coraggio sollevai il mio corpo. Spinsi tutta la mia parte anteriore attraverso la Superficie dentro la bolla centrale. Ero nella bolla centrale e vivevo ancora! Il mio peso crebbe al di là di ogni possibile calcolo, ma per un lungo, orgoglioso intervallo, mi profilai sopra la Superficie e vidi con i miei occhi — tutti e ottanta — la Superficie sotto di me e il tratto di Solidità sopra il quale si trovavano l’uomo e la donna. Io, Sard, feci questo!
Mentre tornavo a sprofondare sotto la Superficie, ricevetti gli stupefacenti pensieri delle creature.
«Un serpente di mare!» pensò l’uomo, e dubitò della sua salute mentale, proprio come io temo che anche la mia sarà posta in dubbio. «Ecco cos’è stato».
«Perché no, tesoro?» rispose con calma la donna. «È stato un miracolo, ma non si poteva permettere che due persone, che si amano come noi ci amiamo, dovessero morire!»
Ma l’uomo fissava la Superficie sotto la quale ero scomparso. Colsi il suo pensiero turbato.
«Nessuno ci crederebbe. Direbbero che siamo pazzi. Ma, accidenti, qui c’è la nostra batisfera, e il nostro cavo si è spezzato proprio quand’eravamo sopra la Fossa. Quando ci troveranno, diremo soltanto che non sappiamo cos’è successo… e che cerchino pure d’immaginarselo loro!»
Rimasi in stato di riposo, vicino alla Superficie, pensando a molte cose. Dopo un lungo periodo ci fu luce. Una luce feroce e insopportabile. Divenne più forte, e ancora più forte. Era insopportabile. S’insinuava giù, fino alle più vicine profondità.
Ciò avvenne molte maree fa, poiché non osai far ritorno a Honda con una porzione così enorme dei gas della mia vescica natatoria liberati dentro la bolla centrale. Sostai non molto al di sotto della Superficie, fino a quando la mia vescica natatoria mi parve tornata normale. Scesi un tratto dopo l’altro, e ad ogni tappa aspettai finché la mia «parte immortale» non si fu riempita. È difficile nutrirsi adeguatamente con creature tanto piccole come quelle che abitano le Altezze. Mi ci volle molto tempo per completare la discesa, per tutto quel tratto che, grazie alla scoperta di Morpt, avevo eseguito con tanta rapidità in salita. Passai tutto il mio tempo da sveglio intento alla cattura del cibo, ed ebbi perciò poco tempo per meditare. Non una sola voita fui realmente sazio, durante tutte le soste che feci per aspettare che la mia vescica natatoria si riempisse. Ma quando feci alfine ritorno alla mia caverna, scoprii che, nel frattempo, era stata occupata da un altro Shadi. Mi nutrii assai bene.
Poi, arrivarono le Maree della Pace. E ora, avendo generato, metto il rapporto di questo mio viaggio alla Superficie a disposizione di tutti gli Shadi. Se verrà decretato che sono folle, non dirò altro. Ma questo è il mio rapporto.
Adesso decidete, o Shadi. Sono pazzo?
Io, Morpt, durante le Maree della Pace, ho ascoltato il rapporto di Sard, e dopo essermi consultato con altri Shadi, dichiaro che, con tutta evidenza, egli ha confuso l’immaginario con il reale.
Le descrizioni degli aspetti scientifici del suo viaggio, che non sono collegati con le supposte creature dell’Oggetto, si adeguano alla nostra scienza. Ma è manifestamente impossibile che qualsivoglia creatura possa vivere in modo permanente in vicinanza dei suoi compagni senza l’istinto di nutrirsi di essi. È manifestamente impossibile, altresi, che delle creature possano vivere nel gas. La distinzione fra luce e luce, poi, è una palese assurdità. La psicologia di creature come quelle descritte da Sard è frutto di sogni.
Perciò, per generale consenso, il rapporto presentato da Sard non è scienza. Comunque, non è detto che Sard sia folle. Gli effetti fisiologici del viaggio che ha ammesso di aver compiuto fino alle più grandi Altezze ha probabilmente provocato quei disordini, nel suo corpo, che sono sfociati in illusioni. La lezione scientifica che dobbiamo imparare da questo rapporto è che i viaggi alle Altezze, anche se possibili grazie agli esercizi corporali da me inventati, sono molto poco saggi e non dovrebbero esser mai compiuti dagli Shadi.