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La versione diffusa dalla TV di Pandemonio risultava un po' rimaneggiata. Gea faceva la parte di Kong, e Cirocco quella di Carl Denham. Fay Wray compariva a malapena. Kong/Gea non la minacciava mai in alcun modo; tutto quel che faceva, consisteva nel proteggere innocenti cittadini dai pericoli cui li esponeva Denham coi suoi grossolani ed inconsulti tentativi di uccidere Kong. Alla fine, spietatamente braccata fin sulla vetta di un altissimo grattacielo, orribilmente ferita dai minuscoli biplani, Gea precipitava. Chris ricordava bene l'ultima, classica frase dell'originale: "Come sempre, la bella ha ucciso la bestia." In questa versione, invece, Cirocco/Denham concludeva dichiarando: "E adesso il mondo è mio!"

Era impossibile pensare a Kong senza gettare un'occhiata di disgusto giù, verso la Strada Maestra a Ventiquattro Carati. Non molto distante dal punto in cui essa terminava alle porte di Tara, giaceva una grossa palla nera con un paio d'orecchie a sventola. Era la testa di Kong. Ogni volta che Chris le giungeva accanto, due occhi dolenti lo guardavano passare.

— Papà, e ora che succede?

Quelle parole ricondussero Chris al presente. Era la domanda preferita di Adam. Quando assisteva a un film in televisione, nei momenti in cui la tensione narrativa si faceva più palpabile, il bimbo, tutto vibrante d'attesa e di timore, correva con lo sguardo a suo padre e gli domandava cosa stesse per succedere.

E adesso che cosa accadrà?

È quello che ci chiediamo tutti, pensò Chris.

— Credo che ci sarà una guerra, Adam.

— Accidenti! — esclamò Adam, e si rincollò al telescopio.

DICIANNOVE

L'attacco a Pandemonio ebbe inizio due decariv dopo che l'esercito di Bellinzona ebbe piantato le tende dell'ultimo accampamento. Prese le mosse da un'esecuzione, da parte dei trecento membri della Fanfara Titanide dell'Esercito di Bellinzona, de La Campana della Libertà di John Philip Sousa.

Gea, dalla sommità del suo muro di pietra, aveva osservato la banda riunirsi, aveva visto i lucidi ottoni fare la loro comparsa e scintillare nella chiara luce d'Iperione, aveva ascoltato le due battute della frase di apertura. Poi aveva trasalito in un soprassalto di gioia.

— Ma è… Monty Python! — aveva esclamato.

Poi rimase lì a guardare, pietrificata dallo stupore. Chissà come, Cirocco aveva addestrato, o persuaso, o indotto i titanidi a marciare. Essi avevano sempre adorato quel particolare genere di musica che viene solitamente scritto per scandire le marce, ma erano piuttosto negati per muoversi al passo in formazione. Avevano, infatti, la radicata abitudine di caracollare a caso in ampie figurazioni di danza… pur mantenendosi rigorosamente a tempo, come guidati da un metronomo, con la ritmata precisione della marcia. E adesso, invece, eccoli là che procedevano al passo, impeccabilmente allineati e coperti, e spassandosela come solo i titanidi sapevano fare. Uno spettacolo da restare a bocc'aperta.

La Campana della Libertà, una delle prime marce dovute al fervido genio di Sousa, era stata adottata come sigla musicale da una compagnia di attori comici, e tornava assai familiare a Gea, che l'aveva incontrata in molte pellicole e videonastri. Ben presto se ne fece coinvolgere totalmente, e andò marciando lei pure avanti e indietro lungo l'invalicabile muraglia pietrosa, berciando imprecazioni all'indirizzo delle sue neghittose truppe finché non si decisero ad entrare in formazione mettendosi anche loro a marciare su e giù insieme a lei.

Mantenendosi a ragionevole distanza dal fossato che circondava la muraglia, i titanidi presero ad avanzare in senso antiorario attorno a Pandemonio, diretti verso l'Ingresso United Artists. Conclusero La Campana della Libertà e, senza interruzione, attaccarono Colonel Bogey. Ricordando la brutta incavolatura che s'era presa qualche tempo prima in proiezione, Gea si accigliò per un istante, ma fece anche presto a rasserenarsi, soprattutto quando metà dei titanidi lasciarono gli strumenti e incominciarono a fischiettare l'irresistibile ritornello.

Poi eseguirono Settantasei Tromboni. Anche molti dei brani successivi parvero, in un modo o nell'altro, rimandare a qualche film.

Mentre le note della banda svanivano in lontananza, Gea tornò a guardare verso nord, dove una figura nerovestita avanzava, isolata, precedendo di una cinquantina di metri un gruppo di trecento titanidi. Dietro di essi, marciando in formazione perfetta, venivano le Legioni. Solamente gli ufficiali in comando, alla testa di ciascuna schiera di soldati, sfoggiavano uniformi impreziosite da rifiniture in ottone lucidato, e a Gea venne da pensare che Cirocco avrebbe anche potuto essere un po' meno spilorcia… Ma quel poco ottone che si vedeva in giro era talmente lustro da abbagliare, e poi bisognava comunque ammettere che i semplici fanti, pur privi di sgargianti ammennicoli, apparivano freschi, vigili, capaci e pronti a tutto.

Da nordovest, nel frattempo, si stava avvicinando un aerostato. Anche lontano venti chilometri era facile constatare che si trattava di Finefischio.

Le schiere in campo continuarono ad avanzare, mentre l'aerostato si approssimò sino a una distanza di cinque chilometri e un'altitudine di tre. Lì giunto si fermò, rotando poi lentamente la sua mole sconfinata per volgere un fianco a Gea e a Pandemonio.

Alcuni umani si portarono rapidamente accanto a Cirocco. Non avevano l'aspetto di soldati. Le sistemarono qualcosa davanti. Quindi un guizzante arabesco di luci sfarfallò sul fianco di Finefischio, andando ad amalgamarsi in una struttura riproducente il volto di Cirocco. Gea pensò ch'era un truccaccio di tutto rispetto. Non sapeva che gli aerostati potessero fare cose del genere.

— Gea! — scaturì dall'aerostato in un boato la voce di Cirocco.

— Ti ascolto, Dèmone! — gridò Gea di rimando. La sua voce non aveva alcun bisogno di venire amplificata con artifizi tecnici. La si sarebbe sentita, così com'era, fino a Titantown.

— Gea, sono qui giunta alla testa di un potente esercito, votato al rovesciamento del tuo regime scellerato. Ma preferiremmo non essere costretti a muoverti battaglia. Ti domandiamo pertanto di deporre le armi arrendendoti pacificamente. Non ti sarà fatto alcun male. Risparmia a te stessa l'umiliazione di una definitiva e totale disfatta. Abbassa i ponti levatoi che danno accesso a Pandemonio. Saremo comunque noi, i vincitori.

Gea si domandò, per un fuggevole istante, cos'avrebbe fatto quella stupida cagna se lei si fosse arresa sul serio. Chissà se Cirocco aveva portato un paio di manette abbastanza grandi… Riflessione passeggera. Nessun patteggiamento. Sarebbe stato uno scontro all'ultimo sangue.

— Lo credo bene che tu non voglia ingaggiar battaglia! — replicò Gea in tono di scherno. — Sarete sterminati tutti, fino all'ultimo soldato. Le mie truppe marceranno su Bellinzona e annienteranno i pochi illusi che avranno osato rimanerti fedeli. Arrenditi tu, Cirocco!

Siffatta replica non parve di certo aver causato a Cirocco alcuna sorpresa. Sopravvenne una lunga pausa, poi, d'un tratto, si udì una fulminea serie di esplosioni a ripetizione, che provocarono parecchia agitazione entro la cinta muraria di Pandemonio. La gente guardò in su, e vide l'Aviazione di Bellinzona, tutti e dodici gli aerei ancora utilizzabili, recuperare vertiginosamente quota dopo una picchiata a pieno regime. Tutto quel che avevano lanciato su Pandemonio, comunque, consisteva in una bella bordata d'esplosioni supersoniche.

Gli aerei, ch'erano giunti seguendo una rotta da levante a ponente, affrontarono una cabrata mozzafiato, al culmine della quale eseguirono una strabiliante manovra di rovesciamento che li portò a sfrecciare allineati, con le punte delle ali che quasi si toccavano. Poi cominciarono ad emettere, con impulsi ih rapidissima sequenza, compatte nuvolette di fumo. Altro passaggio supersonico, nuova serie d'esplosioni. E intanto le nuvolette si componevano in parole.