— Be', comunque mi sembrava giusto domandartelo — ridacchiò Calvin. Si appoggiò comodo allo schienale, e tirò fuori il sigaro e l'accendino che gli aveva lasciato Gaby. Gli rinacque sulle labbra un riso ironico e sommesso, che stavolta andò a mutarsi in risata aperta.
— Se n'è ricordata — disse. Calvin aveva fumato sigari tanto di quel tempo prima, che lui stesso se n'era quasi dimenticato.
Questo era fresco ed aromatico. Lo annusò, ne morsicò via l'estremità, e fece scattare l'accendino. Aspettò che avesse preso ben bene, tirò una bella boccata. Ah, che buon sapore…
Poi, fatto di nuovo scattare l'accendino, lo tese verso una catasta di panni che gli s'abbarcava sulla destra. Avvertì, dietro di sé, il sibilo potente delle valvole che si aprivano, e una corrente d'aria mista a idrogeno puro fluì ad avvolgerlo impetuosa.
Non fece in tempo a udire il rombo dell'esplosione.
VENTUNO
Tutti gli aerostati muoiono per fuoco. È il loro destino. Nient'altro può ucciderli.
Cirocco guardò Finefischio precipitarsi verso Gea, che gravava immobile, come pietrificata, sul grande ponte di legno.
È un atto volontario, si diceva Cirocco. Sono loro, che han deciso così.
Ma quel pensiero non le dava alcun sollievo.
— Tutti a terra! — gridò, volgendo un attimo il capo verso le schiere che attendevano arretrate. — Riparatevi dietro gli scudi! — Tornò a guardare avanti, e il muso di Finefischio era ormai a un centinaio di metri sopra Gea, e continuava implacabilmente a scendere.
Si era domandata se Gea avrebbe tentato la fuga. Gea non fuggì. Mantenne granitica la posizione, e mentre la sconfinata vescica gassosa le piombava addosso sollevò all'ultimo istante un pugno come per colpirla, ma fu avvolta dalle fiamme.
L'incendio nacque sul muso di Finefischio, propagandosi a sferzargli i fianchi con fulminea rapidità. Ne scaturì un boato al di là d'ogni immaginazione. Una corolla di fuoco alta quindici chilometri ruggì a dilaniare il cielo, mentre il corpo dell'aerostato rovinava ad accartocciarsi nel luogo ove Gea l'aveva atteso a pie' fermo. Parve esitare un ultimo battere di ciglia, illusoriamente sorretto da interne sacche gassose non ancora combuste, poi s'accasciò a languire in un grandioso processo di disfacimento. Gli ci volle molto, molto tempo.
Il suo essere più leggero dell'aria non implica che un aerostato non sia pesante. Vuol dire solo che la sua massa è inferiore a quella del volume d'aria che esso sposta. Il volume delle sole celle gassose contenute in Finefischio ammontava a quasi quindici milioni di metri cubi d'idrogeno; una tale quantità di fluido aeriforme, alla pressione di due atmosfere, possiede una massa terrificante.
La metà anteriore di Finefischio parve precipitare a sgretolarsi più o meno nell'area in cui s'era situata Gea. Il resto del suo corpo, non più sorretto dall'idrogeno, crollò lateralmente, abbattendosi in fiamme sullo studio Universal e lungo l'arco occidentale della muraglia. A parte la pietra, tutto il resto incominciò a bruciare.
All'inizio, quando l'ondeggiante pennacchio di fuoco sembrò elevarsi a toccare il cielo, l'ardore della vampa dilagò intensissimo. Cirocco non si mosse, ma dovette con una mano farsi schermo al volto. Sentì strinarsi sfrigolando le punte dei capelli, e immaginò che i vestiti le si stessero carbonizzando. Laggiù, dietro di lei, le sue truppe si accorsero che gli scudi si scaldavano al punto da non potersi toccare… e dire ch'erano un chilometro distanti.
Il furioso rogo d'idrogeno, tuttavia, si esaurì alla svelta. Lo studio Universal continuava ad ardere, ma il calore che ne emanava non era intollerabile.
L'immenso mucchio d'asciutto tessutorganico similtela che era stato Finefischio avrebbe evidentemente continuato a bruciare per qualche tempo. Gli occhi di tutti vi s'appuntavano. Là sotto c'era Gea. Probabilmente s'era immersa nel fossato. Nessuno sapeva quale potesse esserne la profondità.
Trascorsi dieci minuti di assoluta mancanza d'ogni movimento, una parte delle truppe alle spalle di Cirocco cominciò a dare in alte grida. Lei volse attorno un'occhiata. Molti soldati scaraventavano oggetti in aria manifestando il loro giubilo. Osavano sperare che Gea fosse morta. Ma rendendosi conto che Cirocco persisteva nella sua immobilità, si andarono pian piano calmando.
Lei ricondusse lo sguardo su Pandemonio, e osservò il fuoco bruciare.
Nella conflagrazione perirono duecento panaflexi, più di mille arriflexi e innumerevoli bolexi, trascinando con sé nell'oblio inestimabili riprese del combattimento fra Gea e il Serpente Gigante.
L'Operatore Capo prese a reclutare dagli altri studi schiere di fotofauni… ma non ce n'era pressoché bisogno. Quando le fanfare titanidi erano transitate accanto ai vari Ingressi, gran parte dei cinebionti avevano mantenuto le postazioni, limitandosi a girare di malavoglia qualche scena; non pochi però s'eran gettati di gran carriera verso l'Ingresso Universal non appena avevano udito i laceranti suoni che generava il serpente nello sbarbicarsi dal sottosuolo.
Poi, a nord, s'era sprigionata fra cielo e terra l'immane colonna di fuoco.
Sacripante!
Avevano ben gli ordini da rispettare… ma il soverchio rompe il coperchio. Sarebbe stato come chiedere a un bambino affamato di starsene buono lì e non toccar nulla dentro una stanza fatta di cioccolata. Sarebbe equivalso a dire a un'orda selvaggia di paparazzi che, un isolato più in là, la Regina d'Inghilterra stava pomiciando nel bel mezzo della via col più famoso telenovellaro del mondo… però suvvia, gente, per favore, rispettate la loro dignità, d'accordo? Mi raccomando niente foto.
Come propulsi da un sol émpito corale, tutti i bolexi, gli arriflexi e i panaflexi di stanza in Pandemonio fecero rotta ventre a terra, per i più brevi percorsi possibili, in direzione del fuoco.
Risfociando alla luce dalla foresta, di trèfoli, Chris si trovò immerso in una quiete innaturale.
Diede attorno un cauto sguardo, e non vide nessuno. Immaginò che dovessero esser tutti alla muraglia, impegnati nelle operazioni difensive.
Non lungi da lui giaceva l'estremità settentrionale della Viamaestra dell'area Fox. D'impianti, così vicino al cavo, non sorgeva praticamente nulla. C'erano alberi, prati, e qualche arbusto. Lo chiamavano il Parco dei Produttori. Erette in dimensioni doppie del naturale, statue di grandi del passato si fronteggiavano su ciascun lato della via, dall'alto d'imponenti piedistalli che recavano incisi i titoli dei loro film. In fondo alla strada, di spalle a Chris, s'innalzava l'ancor più grandiosa effigie di Irving Thalberg, preminente sui colleghi: Goldwyn, Louis B. Mayer, Jack Warner, Zanuck, De Laurentiis, Ponti, Foreman, Lucas, Zamyatin, Fong, Cohn, Lasker… ce n'erano più di cento, che svanivano giù in lontananza. Raffigurati in positure meditabonde, guardavano in gran parte verso il basso, dimodoché i visitatori del parco, alzando gli occhi, potessero scoprirsi osservati dai grandi della storia del cinema.
Tutto ciò che le statue potevano attualmente ponderare, comunque, era una sede stradale ricoperta di vernice dorata. Pareva che la cosa non li turbasse affatto.
La luce guida era scomparsa. Vai a capire cos'era, pensò Chris, e si disse che comunque doveva esserci di mezzo Gaby.
Evidentemente lei era certa che da questo punto in poi la direzione da prendere gli sarebbe apparsa chiara. Gli aveva detto di affrettarsi, e lì attorno non si vedeva nessuno. Aggirò la statua di Thalberg e prese a correre per la strada.
I produttori lo guardavano in silenzio.
Molto lontano, sulla sinistra, notò il piccolo pennacchio di fumo bianco che annunciava un treno diretto a sud lungo la monorotaia. Lui e Adam ci avevano viaggiato parecchie volte.