Ma, all'ultimissimo istante, il ponte cadde giù di schianto. Con parte della sua consapevolezza Conal notò che Rocky perdeva sangue da numerose ferite. In cima alla muraglia c'era qualcosa che faceva degli strani, secchi rumori scoppiettanti, esalando ondeggianti nuvolette di fumo. Alzando lo sguardo, vide che i difensori li prendevano di mira con dei fucili. Si augurò che a sparare fossero bravi quanto lui.
Varcarono l'arco d'ingresso e lo traversarono in un lampo. Conal non fece in tempo a tirare nemmeno un colpo. Le spade titanidi si misero all'opera senza esitazione, e gli umani che cadevano sotto i loro fendenti erano probabilmente morti ancor prima di accasciarsi a terra. Eppure continuavano a farsi sotto. Conal prese a sparare a tutto quello che si moveva.
Non aveva ancora avuto modo di vedere contro chi stava combattendo, né tanto meno di percepire quei soldati nella loro individualità. Alla fine incominciò a rendersi conto che erano abbigliati in maniera bizzarra. Alcuni indossavano lunghe giubbe, altri bianche armature, altri ancóra policromi calzoncioni grigioverdemarrone ed elmetti simili al suo.
Un uomo urlante corse a gettarglisi contro, evitando d'un pelo l'impatto con la spada di Rocky. Brandiva una sciabola assurdamente lunga. Impossibile dire come facesse anche soltanto a sollevarla, non parliamo poi di vibrarla efficacemente.
Eppure riuscì lo stesso a rotearla con forza colpendo Conal ad una gamba, ed egli, convinto che l'arto gli fosse stato amputato, prese ad elevare una silenziosa prece, in attesa che entro pochi attimi il terribile dolore giungesse a sferzarlo.
Poi guardò giù. La spada si era spezzata fra le grinfie dell'aggressore, che ancora ne impugnava un innocuo mozzicone. Conal vide legno scheggiato. Vide vernice argentea. L'assalitore gettò via il troncone, e un poco di quella vernice gli rimase appiccicata alla mano.
La mente di Conal, confusa, stentava ad afferrare la situazione.
Santiddìo, ma questi qua pensavano che fosse un gioco?
Poi udì gridare Valiha. Si era spinta, indisturbata, molto più addentro degli altri, e aveva incontrato Chris.
— Tornate indietro! — gridava. — Li ho trovati! Tornate indietro!
— Vigliacca! — urlò Cirocco.
Gea si fermò.
— Gea è una fetente, cacasotto, pusillanime FIFONA! Gea è una CODARDA!
La nuda gigantessa, lucida di sudore, si volse lentamente. Aveva incominciato a dirigersi verso la zona Fox, stava andando a riprendersi Adam prima che glielo portassero via, ma… Cirocco ce l'aveva lì a pochi passi, e invece Adam era distante chilometri.
— Torna qui e combatti, cagna vigliacca! Non mi dirai che hai… paura, vero? Gea ha paura, Gea è una fifona, Gea è una troia rognosa!
Gea rimase lì indecisa, tentennante, lacerata fra due impulsi contrastanti: correre da Adam, oppure farla finita una volta per tutte con quell'insetto fastidioso. Lo capiva benissimo che c'era di mezzo qualche tranello. Lo sapeva perfettamente che Cirocco la stava provocando per indurla a tralasciare il Bambino e percorrere i pochi metri che le mancavano per far tacere finalmente quella sua boccaccia oscena. Lo sapeva, come no… ma la cosa che più ferocemente agognava, in tutto lo schifoso miserabile universo, era tornare indietro, certo, adesso, sì, a spiaccicare quell'insopportabile presuntuosa.
Cirocco sputò in direzione di Gea. Poi raccolse un sasso e glielo scagliò con tutte le sue forze. La pietra rimbalzò sulla testa di Gea, lasciandole in fronte un'impronta sanguinante.
Quindi Cirocco sguainò la spada e alta la brandì nella morbida luce d'Iperione, che accarezzò il ferro polito traendone un minaccioso balenìo.
— Dio? Mi fai ridere, Gea. Tu sei solo una maiala. Tua madre era una maiala, tua nonna era una maiala, e la madre di tua nonna si faceva fottere da maiali sifilitici. E io ti sputo in un occhio, e ti piscio in bocca, e ti sfido a venir qui a combattere. Se adesso scappi via, lo sapranno tutti che razza di vigliacca sei!
Lacrime di rabbia sgorgavano copiose dagli occhi di Cirocco.
Nonostante tutto, forse Gea avrebbe ancora deciso di voltarsi dall'altra parte per correre da Adam, ma Cirocco lanciò un urlo raccapricciante… e si gettò all'assalto.
E questo era davvero troppo. Anche Gea incominciò a muoversi.
Verso Cirocco.
— È l'ora, Gene.
— Lo so cch'è ll'ora, Gaby. Me rincresce, sai, che t'ho vio…v-v-vviolentata. Me spiace che t'ho amazzata. Io nun volevo mica…
Le sue mani armeggiavano maldestramente col detonatore che teneva in grembo. Era un meccanismo semplice. Lo sapeva ch'era semplice. Dio che cosa terribile. Non poter ricordare.
Eugene Springfield era stato un pilota. Aveva guidato caccia a reazione e moduli di atterraggio lunare. Fra più di mille candidati avevano scelto lui, per manovrare i veicoli d'esplorazione che il Ringmaster avrebbe portato verso Saturno. E per una semplicissima ragione. Era il migliore.
E adesso ngne riusciva de veni' a capo de 'sto guazzabuglio de fili che un qualunque mongoloide de bombarolo sarebbe stato capace de districa' a occhi chiusi.
Si asciugò le lacrime. Ripigliamo daccapo. Dunque, che aveva detto Gaby?
Tira fuori il…
Sgranò le pupille. La parte più importante, e se l'era quasi scordata! Perdiaccio, 'l cervello gne doveva esse andato a fini' 'n pappa, gne doveva!
Ce l'aveva proprio lì, vicino i piedi. 'l vaso de vetro nero cor tappo de ferro.
Lo prese, lo aprì, scaraventò il coperchio a rimbalzare acciottolando nell'oscurità.
Il grasso parassita rospiforme che per novant'anni gli aveva succhiato il cervello saltò fuori e si appollaiò sul bordo del recipiente. I suoi occhi colsero la situazione, e quasi gli uscirono dalle orbite.
Incominciò ad emettere suoni incoerenti: gracidii, singhiozzi, ànsiti strozzati. Per Gene tutta 'sta manovra non significava un fottuto cavolo de gnente, ma Gaby ava ditto ch'er'importante.
Gea deve vedere, ava ditto Gaby.
— E che te cridivi, d'esse più furbo de me? — bisbigliò Gene, guardando fisso quel mostriciattolo negli orridi occhi iniettati di sangue. — Vabbe', ora sta 'n po' a vede' che te 'nventa 'r vecchio Gene…
Tornò a esaminare il detonatore.
Batteria. Sarebbe 'st'arnese ooua
Fili. Ce ne sta 'n paio, giusto? Questo va de qquàe, e questaltro va ae llàe. Ergo lumedeloggica n'arvène che se 'r coglione che 'n so' antro s'arisic'a tocca' 'sto filo quissùe 'nte 'st'accrocco quiggiùe ne doverebbe d'armedia' 'n arcicasino de…
Gea si raggelò d'orrore allorché, scoperchiatasi la galera, i suoi occhi in Oceano diedero una sbirciata in su e saltarono sul bordo del barattolo e stralunarono al fissarsi sullo spettacolo d'uno scervellato ragazzino intento a giocare con fiammiferi e benzina.
— Gene! — urlò. — Non farlo!
Cirocco si avventò, ricolma d'una furia rossosangue che non s'era mai accorta d'albergare in sé. Scagliandosi sul mostro gl'immerse la spada in un piede.
Allora Gea gridò, e Cirocco si sentì pervadere da un'incredibile sensazione di trionfo… che durò a malapena due secondi. Gea roteò con un guizzo improvviso dell'intero corpo, e Cirocco venne scaraventata via come fosse nient'altro che una formicuzza fastidiosa. La Grandèa s'era dimenticata persino che lei esistesse.
Mentre si rimetteva in piedi vide Gea immobilizzarsi di colpo, portarsi le mani alla testa, alzare lentamente lo sguardo verso il cielo.
— Gaby! — strillò Gea. — Gaby, aspetta! Ascolta, non sono… non sono pronta! Gaby, dobbiamo parlare!
Poi il suolo tremò, mentre Gea si gettava a tutta velocità in direzione del cavo.
Cirocco cadde in ginocchio, e pianse disperatamente. Sentì una mano adagiarlesi sulla spalla, rialzò la testa, si vide accanto tutti e tre i suoi Generali. Miodìo, pensò. Son venuti da me. Non sono scappati.