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Conal era cresciuto con due passioni: giocare a hockey e ascoltare i fumetti. A hockey era una frana, per il semplice fatto d'essere troppo grasso e troppo lento. Nelle partite con ingressi a rotazione di solito era l'ultimo a venir chiamato in campo. Quando giocava lo mettevano sempre in porta, in base al principio che pur difettando egli quanto a rapidità, agli avversari sarebbe risultato comunque difficile tirare a rete aggirando la sua mole.

Il giorno del suo quattordicesimo compleanno un bulletto gli tirò una palla di neve in faccia, e Conal scoprì una nuova passione: il culturismo. Con sorpresa sua e di tutti quanti, in quella disciplina riuscì eccezionalmente bene. All'età di sedici anni avrebbe già potuto aspirare al titolo di Mister Canada. In puro stile Charles Atlas scovò il bulletto e lo infilò a forza dentro un buco nel ghiaccio che ricopriva l'Artillery Lake, dopo di che il bulletto non si fece più vedere in giro.

In lingua celtica, il nome Conal significa "alto e forte". Conal incominciò a pensare che sua madre gli aveva dato il nome giusto, sebbene fosse alto solo un metro e settantadue. E c'era qualcosa, nel retaggio della signora Ray, che, quando Conal ne fu informato, gli diede la quarta grande passione della sua vita.

Fu così che in occasione del suo diciottesimo compleanno, 294° Giorno dall'inizio della Guerra, Conal prese la slitta del mattino per lo spazioporto di Cape Churchill, dove s'imbarcò su un'astronave con destinazione Gea.

A parte un viaggetto a Winnipeg, in vita sua Conal non era mai uscito dal Canada. Stavolta il tragitto sarebbe stato notevolmente più lungo: Gea distava quasi un miliardo di miglia da Artillery Lake. Il prezzo del biglietto era salato, ma George Ray, padre di Conal, non osava più contrastare i desideri di suo figlio. Durante gli ultimi tre anni il ragazzo non aveva fatto altro che mangiare, giocare a hockey e sollevar pesi; sarebbe stato simpatico averlo fuori dai piedi. Un miliardo di miglia davano l'impressione d'esser sufficienti.

Saturno fece un accidente d'impressione, su Conal. Gli anelli parevano tanto solidi da poterci pattinare. Seguì la manovra di attracco della nave all'immensa massa oscura di Gea, poi tirò fuori il suo fumetto più vecchio. "Pattini d'oro". Era la storia di un ragazzo che riceveva un paio di pattini magici da uno stregone malvagio, e di come imparava a usarli. Alla fine il ragazzo, che si chiamava Conal anche lui, riusciva a padroneggiare perfettamente i pattini e spaccava la testa al mago con un calcio formidabile.

Conal tastò le fonobande che contornavano l'ultima tavola, udì il familiare tunk carnoso nell'attimo che i pattini spezzavano il cranio del mago, vide il sangue sgorgare a fiotti e i frammenti di cervello luccicare ripugnanti sulla pagina.

Conal dubitava di poter uccidere la Maga coi suoi pattini, sebbene se li fosse portati appresso. Nella sua mente s'immaginava nell'atto di torcerle il collo a mani nude. In ossequio a un più realistico orientamento, s'era portato anche una pistola.

La sua preda era Cirocco Jones, già Capitano del Vascello Interplanetario Ringmaster, ex Comandante di Stormo degli Angeli, sub rosa Retromadre dei Titanidi, un tempo Grande e Potente ma ormai da un bel pezzo deposta Maga di Gea, ora detta Demonio. Conal aveva intenzione di ficcarla dentro un buco nel ghiaccio.

Gli ci volle un mese per trovare Cirocco Jones. Da un lato perché il Demonio non era affatto impaziente di farsi trovare, benché al momento non stesse fuggendo da nulla in particolare. Dall'altro perché Conal, come molti altri prima di lui, aveva sottovalutato Gea. Sapeva che il Mondo/Dea era grande, ma non aveva trasformato le cifre in una visione chiara di quanto territorio avrebbe dovuto affrontare.

L'avevano anche informato che Jones stava solitamente in compagnia dei titanidi, e che i titanidi normalmente risiedevano nella regione nota come Iperione: di conseguenza concentrò lì le sue ricerche. Quel mese di perlustrazioni gli diede modo di abituarsi al quarto di g presente all'interno di Gea, e ai vertiginosi panorami che si offrivano a chi penetrava in quella colossale cavità. E imparò che, a un umano, nessun titanide avrebbe rivelato nulla del "Capitano", come adesso chiamavano Jones.

I titanidi erano assai più grossi di quel che si fosse aspettato. Quelle creature centauriformi avevano giocato un ruolo importante in molti dei suoi fumetti, ma i disegnatori s'erano prese parecchie libertà nel raffigurarli. Si era immaginato di potergli stare di fronte faccia a faccia, laddove in realtà la loro altezza si aggirava in media sui tre metri. Nei fumetti c'erano titanidi maschi e titanidi femmine, anche se non veniva mai mostrato alcun organo sessuale. Dal vivo sembravano invece tutti femmine, e la loro sessualità era impossibile da comprendere. Infatti possedevano organi maschili o femminili (del tutto umani all'apparenza) fra le zampe anteriori, e organi maschili e anche femminili posteriormente. L'organo maschile anteriore risultava di solito inguainato; la prima volta che ne vide uno, Conal provò un senso d'inadeguatezza che non aveva più sperimentato dai tempi dei primi esercizi coi manubri.

La trovò in un posto chiamato La Gata Encantada, una taverna titanide situata vicino al tronco dell'albero più gigantesco che Conal avesse mai veduto. Quell'albero, in effetti, era il più grande dell'intero Sistema Solare, e sotto di esso e fra i suoi rami si stendeva la più vasta città titanide di Gea, Titantown.

Stava seduta a un tavolo d'angolo, volgendo la schiena alla parete. Insieme a lei sedevano cinque titanidi. Erano impegnati in un complesso gioco che coinvolgeva dadi e scacchi mirabilmente scolpiti. Ciascun giocatore aveva accanto a sé un boccale da tre litri di birra scura. Quello di Cirocco Jones era intatto.

Sembrava piccola, curva nella sua sedia in mezzo ai titanidi, ma in realtà era alta più di un metro e ottanta. Vestiva di nero, compreso un cappello che assomigliava a quello portato da Zorro in uno dei fumetti preferiti di Conal. Le lasciava in ombra gran parte del volto, ma il naso era troppo imponente per restar nascosto. Stringeva tra i denti un sigaro sottile, e una calibro 38 azzurracciaio le spuntava da sotto la cintura dei pantaloni. Aveva la pelle nocciola chiaro, capelli lunghi screziati d'argento.

Si affrettò verso il tavolo, la fronteggiò. Non provava paura: questo era il momento che aveva tanto atteso.

— Tu non sei una maga, Jones — l'apostrofò. — Tu sei una strega.

Credette per un attimo che lei non l'avesse udito, in mezzo allo strepito e al fracasso che saturavano la taverna. Jones rimase assolutamente immobile. Epperò la tensione dell'aura fiammeggiante di cui lui s'ammantava si propagò chissà come a caricare l'aria di elettricità. A poco a poco il rumore s'acquietò. Tutti i titanidi si volsero a guardarlo.

Lentamente, Cirocco Jones alzò la testa. Conal si rese conto che lo stava osservando già da un po': in realtà da prim'ancora che lui si avvicinasse al tavolo. Aveva lo sguardo più duro ch'egli avesse mai veduto, e il più triste. Occhi infossati, luminosi, scuri come carbone. Lo squadrò, senza batter ciglio, dal viso alle braccia nude alla colt cannalunga nella fondina al fianco, pochi centimetri dalla quale indugiava quella mano che si apriva, si chiudeva…

Si tolse il sigaro di bocca e gli mostrò i denti in un ghigno da predatore.

— E tu chi diavolo saresti? — domandò.

— Io sono il Pungiglione — disse Conal. — E sono venuto ad ammazzarti.

— Vuoi che lo prendiamo, Capitano? — chiese uno dei titanidi seduto al tavolo. Con un gesto Cirocco respinse la proposta.

— No, no. Ho l'impressione che si tratti di una questione d'onore — spiegò.