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— Proprio così — confermò Conal. Sapeva che la sua voce, quando l'alzava, tendeva a divenire acuta e stridula, perciò si concesse un attimo di pausa per calmare il respiro. Lei non pareva intenzionata a lasciare che fossero quegli animali ad accollarsi il suo sporco lavoro. Sembrava poter essere un degno avversario, dopo tutto. — Quando venisti qui, centinaia d'anni fa, tu…

— Ottantotto — l'interruppe.

— Come?

— Sono arrivata qui ottantotto anni fa. Macché secoli.

Conal non si fece fuorviare.

— Te lo ricordi uno che venne qui insieme a te? Un uomo che si chiamava Eugene Springfield?

— Me lo ricordo benissimo.

— Lo sapevi che era sposato? Lo sapevi che aveva lasciato sulla Terra una moglie e due figli?

— Sì, lo sapevo.

Conal trasse un respiro profondo, ergendosi in tutta la sua statura.

— Ebbene, era il mio trisnonno.

— Sciocchezze.

— Per niente. Io sono suo nipote, e mi trovo qui per vendicare il suo assassinio.

— Signor… Non ho il minimo dubbio che tu abbia commesso un mucchio di balordaggini in vita tua, ma questa sarebbe di sicuro la cosa più idiota che potresti fare.

— Ho percorso miliardi di miglia per trovarti, e adesso dobbiamo vedercela fra noi due.

Mise mano alla fibbia della cintura. Cirocco trasalì quasi impercettibilmente. Conal non ci fece caso: era troppo indaffarato a slacciarsi la cintola e a gettarla sul pavimento insieme alla pistola che ci stava appesa. Aveva provato gusto a portare quel gingillo. L'aveva indossato sin dall'arrivo, non appena s'era accorto di quanti altri umani giravano armati. Pensava che facesse una gran bella differenza rispetto alle retrograde leggi sulle armi da fuoco che vigevano in Canada.

— Ecco fatto — disse. — Lo so che hai centinaia di anni, e so pure che sei capace di batterti senza esclusione di colpi. Bene, sono pronto ad affrontarti. Usciamo fuori di qui, e sistemiamo la cosa lealmente. Un duello all'ultimo sangue.

Cirocco scosse pian piano la testa.

— Ragazzo, non puoi arrivare a centoventitré anni comportandoti sempre lealmente. — Spinse lo sguardo alle spalle di lui, e annuì.

Il titanide che gli si era appostato dietro gli depositò proprio in cima al capo un bel boccale vuoto. Lo spesso vetro andò in frantumi, e Conal crollò giù di schianto addosso a un mucchio d'aranciato sterco titanide.

Cirocco si alzò, ringuainando la sua seconda pistola dentro il bordo superiore dello stivale.

— Vediamo un po' che razza di pidocchio impestato è questo qui.

Era presente una guaritrice titanide. Esaminò la ferita in mezzo ai capelli insanguinati e dichiarò che l'uomo sarebbe probabilmente sopravvissuto. Un altro titanide gli tolse lo zaino che portava sulla schiena e si diede a verificarne minuziosamente il contenuto. Cirocco seguì l'operazione continuando a fumare.

— Che c'è dentro? — domandò.

— Dunque… carnesecca di manzo, una scatola di pillole per la spingarda, un paio di pattini… e una trentina di fumetti.

La risata di Cirocco era musica per i titanidi, che l'ascoltavano così di rado. E insieme a lei rise l'intera compagnia, mentre faceva passare in giro i fumetti. Dopo un poco lì fu tutt'un bisbiglìo di metalliche vocinguettanti e fonoeffetti fumettari.

— Continuate senza di me, gente — disse a quelli seduti al suo tavolo.

Conal riprese i sensi col peggior mal di testa che si fosse mai potuto immaginare. Lo stavano facendo rimbalzare di qua e di là, quindi aprì gli occhi per vedere un po' come stava la faccenda.

E si trovò sospeso a testa in giù proprio sopra un precipizio di due miglia.

Urlare gli trapanava la cervice, ma non riusciva a smettere. Era un acutissimo strillo infantile, pressoché inaudibile. Poi gli venne da vomitare, e per poco non si strozzò.

Era legato con tanto di quel cavo che pareva ce l'avesse avvolto un ragno. L'unica parte del suo corpo provvista ancora d'una certa libertà di movimento rimaneva il collo, e muoverlo gli faceva male, ma lo fece ugualmente, guardandosi attorno a casaccio.

Scoprì d'essere assicurato al dorso di un titanide, con la testa in corrispondenza dello smisurato posteriore del mostro. Il titanide si stava "diosacome" arrampicando su per una parete di roccia verticale. Piegando la testa tutt'all'indietro riusciva a scorgere gli zoccoli posteriori della creatura far presa su sporgenze larghe cinque centimetri. Rimase a guardare ricolmo d'incantato raccapriccio mentre una delle minuscole prominenze si spezzava e una pioggia di pietre strapiombava giù giù giù sino a perdersi oltre ogni vista.

— Quel bastardo mi ha vomitato sulla coda — disse il titanide.

— Ah sì? — replicò un'altra voce ch'egli riconobbe per quella di Cirocco Jones.

Dunque il Demonio era lì da qualche parte, non lungi dai suoi piedi!

Pensò d'essere sul punto d'impazzire. Urlò, li supplicò, ma non risposero. Era impossibile che quell'essere fosse in grado per propria virtù d'inerpicarsi su per una simile pendenza, eppure lo stava facendo con in groppa sia Conal che Cirocco, e spedito per di più quasi quanto avrebbe potuto esserlo Conal camminando in piano.

Ma che razza di animale era mai, quel titanide?

Lo portarono dentro una caverna a metà strapiombo. Nulla più di un buco nella roccia, tre metri d'altezza per circa altrettanta larghezza, e profondo una dozzina. Non esisteva nessun sentiero di alcun tipo che vi conducesse.

Fu scaricato a terra ancora impaniato nel suo bozzolo di fune. Cirocco armeggiò per tirarlo su a sedere.

— Fra poco dovrai rispondere a qualche domanda — lo avvertì.

— Ti dirò tutto.

— Ci puoi proprio scommettere. — Gli ghignò di nuovo, poi lo colpì in pieno volto con la canna della sua stessa pistola. Conal era sul punto di protestare, quando lei lo colpì ancora.

Cirocco dovette colpirlo quattro volte, prima d'esser certa che fosse fuori combattimento. Avrebbe voluto dargliele col calcio dell'arma, ma in tal modo si sarebbe puntata la canna addosso, e non era certo arrivata all'età di centoventitré anni facendo simili fesserie.

— Non avrebbe dovuto chiamarmi strega — osservò.

— Non dirlo a me — ribatté Cornamusa. — Io l'avrei ammazzato laggiù alla Gata.

— Già. — Si sedette sui talloni, e lasciò che le spalle le s'incurvassero. — Ti dirò, a volte mi chiedo cosa ci sia di tanto bello ad arrivare a centoventiquattro.

Il titanide non fece commenti. Stava liberando Conal dal viluppo di legami e intanto lo spogliava. Da troppi anni frequentava la Maga per non conoscerne gli umori.

Il fondo della caverna era di ghiaccio. In una giornata calda come quella, un rivolo d'acqua scorreva sul pavimento roccioso. Cirocco s'inginocchiò accanto a una pozza. Si spruzzò un po' d'acqua sul viso, poi bevve un sorso. Era gelata.

Cirocco aveva trascorso molte notti, in quel luogo, quando le cose andavano male giù sul bordo della Ruota. C'erano una pila di coperte e diverse balle di paglia. C'erano anche due secchi di legno: uno da usare come latrina, e l'altro per attingere l'acqua da bere. Un'amaca era sospesa fra due grossi chiodi conficcati nella roccia. L'unica altra comodità consisteva in una vecchia bacinella di latta per lavarci i panni. Quando doveva trattenersi a lungo, Cirocco tendeva una corda davanti all'ingresso della caverna per asciugare il bucato approfittando delle correnti ascensionali.

— Toh, ce n'era sfuggito uno — disse Cornamusa.

— Uno cosa?

Il titanide le lanciò un fumetto che se n'era rimasto inzeppato nella tasca posteriore dei calzoni di Conal. Lei lo acchiappò al volo, poi rimase un po' a guardar trafficare Cornamusa. Dal pavimento della caverna spuntava un grosso palo. Conal il forzuto, completamente nudo, c'era stato legato in posizione seduta, mentre le sue caviglie apparivano fissate ad altri due paletti distanti circa un metro. Era una posizione totalmente inerme. Cornamusa stava legando al palo la testa di Conal, avvolgendogli una larga cinghia di cuoio attorno alla fronte.