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— Dove andiamo? — domandai, avvinghiato saldamente al bracciolo, tentando di non mettere a repentaglio la mia incolumità.

— Alla scuola.

— Quale scuola? — Mi chiesi se il ruggito del motore non avesse coperto parte della conversazione.

— Quella per ricchi frequentata da Samantha Aldovar — disse. — La Ransom Everglades.

La fissai perplesso. Non mi sembrava che ci fosse il bisogno di presentarsi lì con tanta fretta, a meno che Deborah non temesse di arrivare in ritardo per le lezioni, ma in ogni caso così fece, lanciandosi pericolosamente nel traffico a velocità supersonica. La mia unica consolazione fu che, se fossi sopravvissuto a un viaggio simile, laggiù non sarei andato incontro a minacce rilevanti, a parte il lancio di qualche proiettile di carta pressata. E ovviamente, a giudicare dallo status socioeconomico della scuola, la carta sarebbe stata di ottima qualità, il che fa sempre piacere.

Così mi limitai a stringere i denti e a tenermi forte, mentre Deborah correva per la città, imboccando LeJeune Road e immettendosi in Coconut Grave. Una svolta a sinistra nella US1, una a destra nella Douglas, e ancora a sinistra nella Poinciana per tagliare verso la Main Highway, ed eccoci arrivati alla scuola, in quello che si poteva tranquillamente definire un tempo record, a prescindere dalla strada percorsa.

Stavamo per varcare la cancellata in corallo, quando ci fermò una guardia. Deborah mostrò il distintivo e l’uomo si chinò a esaminarlo, prima di lasciarci proseguire. Passammo dietro a una fila di edifici e ci fermammo sotto un grande banano. Sul posto era scritto: RISERVATO AL SIG. STOKE. Deborah parcheggiò e saltò giù, e io la seguii. Camminammo prima in un vialetto ombroso, poi sotto il sole, e intanto osservavo quella che da quand’eravamo piccoli era stata denominata “scuola per ragazzi ricchi”. Gli edifici erano lindi e sembravano nuovi; il suolo era molto ben tenuto. Lì il sole era un po’ più luminoso, i palmizi frusciavano un po’ più dolcemente… insomma, non mi sarebbe dispiaciuto essere stato un ragazzo ricco.

Gli uffici amministrativi si trovavano ai lati del campus, collegati al centro da un passaggio coperto. Ci fermammo alla reception, dove ci fecero attendere il vice non so cosa. Pensai al nostro vicepreside delle medie. Era incredibilmente grosso, e con la fronte sporgente come un uomo di Cro-Magnon. Perciò, quando una donna piccolina ed elegante comparve e ci salutò, restai in un certo qual modo sorpreso.

— Siete voi gli agenti? — domandò gentilmente. — Io sono la signora Stein. Come posso aiutarvi?

Deborah le strinse la mano. — Ho bisogno di farle alcune domande su uno dei vostri studenti — disse.

La signora Stein inarcò un sopracciglio per comunicarci che trovava la cosa assai insolita; era la prima volta che la polizia la interpellava riguardo ai suoi studenti. — Venite nel mio ufficio — fece. Ci condusse attraverso il corridoio in una stanza che ospitava una scrivania, due sedie e dozzine di targhe e di foto appese alle pareti. — Prego, sedetevi — disse.

Senza neanche rivolgermi uno sguardo, Deborah si appropriò dell’unica sedia di plastica per gli ospiti e mi lasciò vagare alla ricerca di uno spazio libero da ricordi in cornice contro cui potermi comodamente appoggiare.

— Bene — esordì la signora Stein. Si sedette alla scrivania e ci scrutò con un’espressione educata, ma gelida. — Qual è il problema?

— Samantha Aldovar è scomparsa — disse Deborah.

— Sì — rispose la signora. — L’abbiamo saputo, ovviamente.

— Che tipo di studentessa è?

La signora Stein aggrottò la fronte. — Non posso riferirle i suoi voti, o simili — disse. — Comunque è abbastanza brava. Nella media, direi.

— Per l’iscrizione ha ricevuto aiuti finanziari? — continuò Debs.

— Questa è un’informazione riservata, naturalmente — rispose la donna. Deborah le lanciò uno sguardo duro, ma, incredibilmente, la signora Stein non si scompose. Doveva essere abituata a lanciare occhiate intimidatorie ai genitori abbienti.

Decisi di aiutare mia sorella a superare l’impasse. — Ci stava molto male quando i compagni la prendevano in giro? — domandai. — Sa, per i soldi o simili.

La signora Stein mi scrutò, poi dischiuse le labbra in un mezzo sorriso, per nulla divertito. — Dunque lei pensa che la sua scomparsa celi un movente finanziario — dichiarò.

— Le risulta che Samantha avesse un fidanzato? — chiese Debs.

— Non ne ho idea — rispose lei. — E se anche l’avessi, non credo che ve lo direi.

— Signora Stern — fece Deborah.

— Stein — la corresse la donna.

Mia sorella fece un cenno spazientito. — Non siamo qui per indagare su Samantha Aldovar, ma sulla sua scomparsa. Se lei elude le domande, ci impedisce di ritrovarla.

— Non vedo come…

— Ci farebbe piacere trovarla viva — la interruppe Debs, fredda e determinata, e io fui fiero di lei.

La signora Stein sbiancò all’istante. — Io non… — protestò — non ne so nulla delle sue faccende personali. Potrei farvi parlare con una sua amica…

— Ci sarebbe sicuramente utile — disse Deborah.

— Credo che frequentasse Tyler Spanos — fece. — Ma gradirei presenziare al colloquio.

— Ci porti questa Tyler Spanos, signora Stein.

La donna si morse il labbro e si alzò, infilando la porta con assai meno severità di quanto aveva fatto all’andata. Mia sorella si contorse sulla sedia in cerca di una posizione comoda. Non la trovò. Dopo un minuto si arrese e si raddrizzò, accavallando e distendendo le gambe, impaziente.

La spalla mi faceva male, così provai ad appoggiarmi sull’altra. Passò qualche minuto; Deborah mi guardò un paio di volte, ma nessuno dei due aveva niente da dire.

Finalmente udimmo delle voci dall’altra parte della porta che aumentavano in intensità e volume. Durò circa mezzo minuto, poi tornò il silenzio. Dopo altri lunghi minuti in cui Deborah aveva accavallato di nuovo le gambe e io ero tornato alla spalla d’appoggio originaria, la signora Stein entrò di corsa in ufficio. Era sempre pallida e non sembrava contenta.

— Tyler Spanos oggi è assente — disse. — E lo era anche ieri. Così ho chiamato a casa. — Esitò, come imbarazzata.

Deborah la spronò a parlare. — È malata? — chiese.

— No, lei… — La signora Stein esitò un’altra volta e si morse il labbro. — Mi hanno detto… che sta facendo un lavoro di gruppo con un’altra studentessa — disse infine. — E che… uhm… che per poter lavorare insieme è andata a stare dall’altra ragazza.

Deborah scattò in piedi. — Samantha Aldovar — disse, e non era una domanda.

La signora Stein rispose comunque. — Sì. Esatto.

7

Raccogliere informazioni su quella che ora si era tramutata in una doppia scomparsa sarebbe stato decisamente difficile per noi, da una parte per effetto della legislazione a cui ogni scuola può appellarsi per proteggere la privacy dei suoi studenti e dall’altra per via del potere di cui si sentivano investiti genitori e allievi di un istituto quotato come la Ransom Everglades. La scuola scelse però di prendere il toro per le corna e utilizzò la crisi come occasione per dar prova di attivismo. Ci fecero di nuovo sedere nell’ufficio dalle pareti ingombre, mentre la signora Stein si aggirava febbrilmente, allertando amministratori e docenti.

Mi guardai intorno e notai che il numero di sedie era sempre lo stesso. Il mio appoggio contro il muro non mi parve più così invitante. Ora però che ben due studentesse erano scomparse, decisi che la nostra rilevanza nell’ordine delle cose era salita di parecchi punti. Per farla breve, adesso ero troppo importante per starmene appoggiato al muro. Senza contare che, dopo tutto, c’era un’altra comodissima sedia in quella stanza.