Mi ero appena seduto al posto della signora Stein che il mio cellulare squillò. Sul display comparve il nome di Rita. Risposi. — Pronto?
— Ciao, Dexter, sono io — disse.
— L’avevo capito.
— Come? Oh. Va bene, senti. — Non c’era bisogno di dirlo che avrei sentito. — Il dottore ha detto che sono pronta per tornare a casa. Ci puoi venire a prendere?
— Che cosa sei? — domandai, stupito. In fondo, Lily Anne era nata soltanto il giorno prima.
— Pronta — ripeté lei, pazientemente. — Pronta per tornare a casa.
— È troppo presto — obiettai.
— Il dottore dice di no — fece Rita. — Dexter, non è la prima volta che mi succede.
— Ma Lily Anne… potrebbe prendersi qualcosa, oppure il sedile della macchina… — Ero così spaventato al pensiero che Lily Anne lasciasse un posto sicuro come l’ospedale che mi ero messo a parlare come Rita.
— Lei sta bene, Dexter, e io pure — continuò. — E vogliamo tornare a casa. Quindi, per piacere, ci puoi venire a prendere?
— Ma Rita…
— Ti aspettiamo. Ciao. — Riattaccò prima che riuscissi a tirar fuori un valido motivo per cui non avrebbe ancora dovuto lasciare l’ospedale. Fissai il telefono per un istante, poi il pensiero di Lily Anne fuori, alla mercé di un mondo pieno di germi e di terroristi, mi stimolò all’azione. Sbattei il cellulare nella custodia e balzai in piedi. — Devo andare — dissi a mia sorella.
— Già, l’avevo capito — fece lei. Mi lanciò le chiavi della macchina. — Torna qui più in fretta che puoi.
Guidai verso sud in perfetto stile Miami, cioè rapido, muovendomi agilmente dentro e fuori dal traffico come se le corsie non esistessero. Di solito non guidavo in modo così ostentato; avevo sempre pensato che, contrariamente allo spirito delle nostre strade, arrivare a destinazione fosse importante almeno quanto dare un’immagine energica durante il tragitto. Ma ora i movimenti mi venivano naturali… dopo tutto ero cresciuto in questa città e la situazione contingente sembrava richiedere tutta la rapidità e la virile fermezza di cui ero capace. Che cos’era passato per la testa a Rita? E ancora, come aveva fatto a convincere i medici a darle ragione? Non era possibile: Lily Anne era piccola, delicata, incredibilmente vulnerabile. Mandarla allo sbaraglio nella cruda e pericolosa esistenza mi parve una completa e inumana follia.
Feci un salto a casa solo per prendere il nuovo seggiolino. Mi ero allenato per settimane, per saperlo usare perfettamente quando fosse arrivato il momento… ma era arrivato troppo presto. Tentai di incastrarlo sul sedile della macchina insieme alla cintura di sicurezza, ma le mie dita, in genere molto agili, erano rigide e grossolane. Non riuscivo a nessun costo a infilarlo nella scanalatura. Spinsi, tirai, finché non mi ferii un dito con la plastica e, mentre me lo succhiavo, il seggiolino finì a terra.
E quest’affare dovrebbe essere sicuro? Come può proteggere Lily Anne se mi attacca in modo così aggressivo? E se anche funzionasse come dovrebbe, cosa che dubito, come potrei comunque proteggerla da un mondo simile? Soprattutto adesso che è appena nata… è una pazzia mandarla a casa ora, che ha solo un giorno. È la classica arroganza e indifferenza dei medici: si credono intelligenti, solo perché hanno passato chimica organica. Ma non sanno nulla… non capiscono quel che prova un cuore di padre, come il mio. È troppo presto per scaraventare Lily Anne in questo mondo spietato e crudele, soltanto per far risparmiare qualche dollaro alla compagnia di assicurazioni. Questa storia non può andare a finire bene.
Riuscii infine a sistemare il seggiolino e mi precipitai all’ospedale. Al mio arrivo, contrariamente ai miei logici e ragionevoli timori, non trovai Rita davanti alla porta impegnata a scansare proiettili, né Lily Anne che giocava con siringhe usate in mezzo ai rifiuti.
Rita era invece nell’atrio, su una sedia a rotelle, con un fagottino tra le braccia. Non appena entrai, mi rivolse un ampio sorriso:
— Ciao, Dexter, sei stato velocissimo.
— Oh — esclamai, cercando di convincermi che tutto era okay.
— Be’, a dire la verità, ero nei paraggi.
— Non ti metterai a guidare così veloce ora che torniamo a casa, vero? — disse.
Stavo per spiegare che non avrei mai guidato così veloce con Lily Anne a bordo e che in ogni caso avrebbero dovuto tenerla ancora un po’ in ospedale, quando un giovanotto capellone e dall’aria gioviale si precipitò in mezzo a noi e afferrò la carrozzella di Rita per le maniglie.
— Ehi, ecco il papà — disse. — Siete pronti a partire, gente?
— Sì, lui è… Grazie — fece Rita.
Il giovanotto sbatté le palpebre. — Benissimo! — esclamò. Premette con forza il piede per rilasciare il freno e spinse Rita verso la porta.
A quel punto mi rassegnai anch’io a cooperare con l’inevitabile. Trassi un profondo respiro e li seguii.
Arrivati alla macchina presi Lily Anne dalle braccia di Rita e la piazzai con cura sull’aggressivo seggiolino. Per motivi ignoti, la tecnica che avevo sperimentato con la vecchia bambola Cabbage Patch di Astor si rivelò inutile, finché Rita non mi diede una mano a sistemare al meglio Lily Anne. Fu così un incapace e maldestro Dexter colui che si sedette infine al volante e avviò il motore. Dopo ripetute occhiate allo specchietto retrovisore per assicurarmi che il sedile posteriore non andasse in fiamme, uscii dal parcheggio e fui in strada.
— Non andare troppo veloce — disse Rita.
— Sì, cara.
Guidai lentamente verso casa… non così piano da rischiare una rappresaglia armata da parte dei miei concittadini, ma mantenendomi a uno sputo dai limiti di velocità. Ogni strombazzare di clacson, ogni autoradio ad alto volume mi apparivano insoliti e minacciosi e, quando mi fermai al rosso, mi scoprii a scrutare ansiosamente le macchine per il timore di avere un’automatica puntata contro. Eppure arrivammo stranamente a destinazione senza che ci accadesse nulla.
Slacciare le cinghie del sedile di Lily Anne non era così complicato come allacciarle, e dopo poco lei e Rita si ritrovarono in casa, comodamente sprofondate sul divano.
Le osservai, e tutto, all’improvviso, mi parve diverso, perché per la prima volta eravamo a casa tutti insieme e vedere la mia piccola nei vecchi posti mi ricordava la nuova, meravigliosa e delicata vita che mi si prospettava.
Mi crogiolavo in quel pensiero senza vergogna, imbevendomi di gioia infinita e assaporandola intensamente. Toccai i piedini di Lily Anne e le accarezzai le guance; non avevo mai conosciuto nulla di più morbido. Mi parve persino di sentire il suo profumo rosa confetto sui miei polpastrelli. Rita l’abbracciò e scivolò sorridendo in uno stato di dormiveglia, mentre io continuavo a osservarla, annusarla e accarezzarla. Poi diedi uno sguardo all’orologio, mi accorsi di quanto tempo era passato e mi ricordai che ero giunto lì con una macchina presa in prestito, la cui proprietaria era nota per aver fatto fuori verbalmente tanta gente per molto meno.
— Stai bene? — chiesi a Rita.
Lei aprì gli occhi e schiuse le labbra in quell’antico sorriso che Leonardo aveva ritratto così bene, quello della madre verso il figlio. — Non è la prima volta, Dexter — disse. — Mi riprenderò.
— Sei sicura? — feci, con una sensibilità che non conoscevo.
— Sicura — ripeté.
Allora, molto controvoglia, me ne andai.
Quando tornai al campus della Ransom Everglades con la macchina di Debs, scoprii che le era stata assegnata una stanza in un vecchio edificio in legno con vista sulla baia, adibita provvisoriamente agli interrogatori. La Pagoda, questo era il nome dell’edificio, si ergeva su una scogliera, sopra la pista di atletica. La costruzione era così pericolante che non sembrava in grado di sopravvivere neanche a un temporale estivo, eppure era rimasta in piedi per lungo tempo fino a trasformarsi in un luogo di interesse storico.