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Al mio arrivo, Deborah, che stava parlando con un giovanotto estremamente ammodo, si limitò a lanciarmi un’occhiata e ad annuire, per non interromperlo. Mi sedetti accanto a lei.

Per il resto della giornata, studenti e docenti si presentarono uno alla volta all’interno dell’edificio pericolante per raccontarci quel che sapevano su Samantha Aldovar e Tyler Spanos. I ragazzi che incontrammo erano tutti belli, intelligenti ed educati, gli insegnanti scrupolosi e zelanti: cominciai ad apprezzare i benefici dell’educazione fornita dalle scuole private. Se solo avessi avuto la possibilità di frequentare un posto simile, chissà come sarei diventato. Forse, al posto di un analista della Scientifica che di notte diventa un killer privo di coscienza, sarei potuto diventare un medico, un fisico o anche un senatore che di notte diventa un killer privo di coscienza. Il pensiero di tutto il mio potenziale andato sprecato mi rattristò terribilmente.

In ogni caso, le scuole private sono costose e Harry, con i suoi mezzi, non avrebbe potuto permettersele… e anche se avesse potuto, dubito che gli sarebbero piaciute. Aveva sempre diffidato dell’élitarismo e aveva una buona opinione delle istituzioni pubbliche. Credeva nella scuola pubblica… o forse ancora di più in quella da cui avevamo imparato una serie di stratagemmi di sopravvivenza dei quali sapeva che avremmo avuto bisogno.

E che le due ragazze scomparse avrebbero dovuto conoscere.

Quando io e Debs terminammo i colloqui, intorno alle cinque e mezzo, avevamo appreso molte cose interessanti sul loro conto, ma anche che, abituate a risolvere ogni problema con la carta di credito e l’iPhone, non sarebbero mai riuscite a cavarsela nei selvaggi dintorni di Miami.

Samantha Aldovar continuava a restare un po’ un mistero, anche per quelli che credevano di conoscerla bene. I compagni sapevano che aveva ricevuto aiuti finanziari, ma la cosa non sembrava importasse. Dissero tutti che era una ragazza amabile, tranquilla, brava in matematica, e che non era fidanzata. Nessuno riuscì a trovare un buon motivo per cui avrebbe dovuto inscenare la propria scomparsa. Nessuno l’aveva mai vista frequentare persone poco raccomandabili, a parte Tyler Spanos.

Tyler veniva descritta come una vera e propria scapestrata e, vista a posteriori, l’amicizia tra le due ragazze sembrava decisamente improbabile. Mentre Samantha veniva a scuola accompagnata dalla madre su una Hyundai di quattro anni, Tyler guidava una macchina tutta sua… una Porsche. Samantha era timida e silenziosa, al contrario di Tyler, più leggera e disinibita, e desiderosa soltanto di far festa. Non aveva un fidanzato soltanto perché non le piaceva limitarsi a un ragazzo alla volta.

Nonostante ciò, nell’ultimo anno le due erano diventate molto amiche, si vedevano spesso a pranzo, dopo la scuola e nei weekend. Non solo il fatto era molto strano, ma aveva preoccupato Deborah sopra ogni altra cosa. Aveva infatti condotto tranquillamente i colloqui, segnalato alle pattuglie di ritrovare la Porsche di Tyler e inviato, non senza una certa rassegnazione, il socio Deke a parlare con la famiglia di Tyler: niente di tutto ciò aveva turbato minimamente la calma oceanica rispecchiata nel suo viso. Invece la strana amicizia tra le due ragazze l’aveva trasformata in un cocker che sbava per la sua bistecca.

— Non ha nessun senso, cazzo — osservò.

— Sono adolescenti — le ricordai. — A quell’età niente ha un senso.

— Ti sbagli — fece Deborah. — Ci sono cose che hanno sempre un senso, specie per gli adolescenti. I nerds girano con i nerds, gli sportivi e le cheerleader con gli sportivi e le cheerleader. È sempre stato così.

— Forse hanno un interesse misterioso in comune — suggerii. Lanciai un’occhiata distratta all’orologio. Era quasi ora di tornare a casa.

— Ne sono certa — fece Debs. — Come sono certa che quando lo scopriremo, scopriremo anche dove sono finite.

— Nessuno qui sembra avere idea di che cosa si tratti — dissi, alla ricerca di una degna battuta con cui congedarmi.

— Che diavolo ti prende? — fece Deborah, brusca.

— Pardon?

— Continui a dimenarti neanche dovessi fare pipì.

— Oh… uhm… veramente… per me è quasi ora di andare. Entro le sei devo passare a prendere Cody e Astor.

Mia sorella mi scrutò per un istante che mi parve eterno. — Non ci avrei mai creduto — disse.

— Creduto a che cosa?

— Che ti saresti sposato, con bambini eccetera. Che saresti diventato un padre di famiglia, dopo tutto quel che c’è di mezzo.

Avevo capito che si riferiva al mio lato oscuro, al mio precedente ruolo di Dexter il Vendicatore, la lama solitaria che colpisce al plenilunio. Deborah era venuta a conoscenza del mio alter ego e, apparentemente, sembrava essersi riconciliata con esso… proprio mentre io stavo per abbandonare quel travestimento. — Be’ — dissi — non ci avrei mai creduto neanch’io, suppongo. Invece… — Alzai le spalle. — Invece adesso ho famiglia.

— Già — osservò Debs distogliendo lo sguardo. — E prima di me. — Cercò di ricomporsi e tornare a sfoggiare il suo cipiglio severo, ma nel tentativo apparve spaventosamente vulnerabile. — Sei innamorato? — chiese all’improvviso, dondolandosi verso di me per guardarmi in faccia.

La fissai sorpreso. Una domanda così diretta e personale non era nello stile di Deborah, ed era anche uno dei motivi per cui andavamo così d’accordo.

— Sei innamorato di Rita? — ripeté, senza lasciarmi via di fuga.

— Io… non lo so — risposi con prudenza. — Ci… ci sono abituato.

Deborah mi scrutò, e scosse la testa. — Abituato — disse. — Come a una poltrona comoda o roba simile.

— Non così comoda — feci, nel tentativo di sdrammatizzare una conversazione che mi stava mettendo decisamente a disagio.

— Hai già provato amore per qualcuno? — chiese. — Ci sei mai riuscito?

Mi venne in mente Lily Anne. — Sì. Penso di sì.

Deborah mi fissò per un lungo istante poi, visto che non c’era proprio niente da vedere, si voltò e guardò oltre la vecchia finestra di legno che dava sulla baia. — Merda — disse. — Vattene a casa. Va’ a prendere i tuoi bambini e a far compagnia alla tua comoda moglie-poltrona.

Nonostante la mia trasformazione in essere umano fosse piuttosto recente, sentivo che nel Reame di Deborah c’era qualcosa che non andava e lasciarla così mi dispiaceva. — Debs — feci. — C’è qualcosa che non va?

Le si tesero i tendini del collo, ma continuò a guardar fuori, verso il mare. — Tutte queste stronzate familiari — saltò su. — Con queste due ragazze e le loro fottute famiglie. E la tua famiglia che ha fottuto te. Non va mai come dovrebbe, è sempre un casino, ma tutti ce l’hanno e io no. — Trasse un sospiro e scosse il capo. — Io che invece la voglio davvero. — Mi si scagliò addosso, feroce. — E risparmiati le battute sull’orologio biologico, chiaro?

A essere del tutto onesto, come lo sono sempre, il comportamento di Deborah mi scioccò talmente che proprio non mi veniva nessuna battuta, né relativa agli orologi né ad altro. In ogni caso, battute o no, qualcosa dovevo pur dire, così mentre ragionavo in cerca di una frase appropriata, mi venne in mente di domandarle di Kyle Chutsky, il suo storico compagno e convivente. L’avevo visto fare in una fiction, qualche anno prima. Ero solito studiarle per imparare come comportarmi in situazioni quotidiane, e questa era l’occasione di mettere in atto ciò che avevo appreso. — Con Kyle va tutto bene? — domandai.

Deborah sbuffò, poi il suo viso si addolcì. — Quell’idiota di Chutsky. Dice di essere troppo vecchio e malridotto per una come me. Continua a ripetermi che potrei avere di meglio. E se gli rispondo che forse non mi interessa avere di meglio, lui scuote il capo e si deprime.