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Era davvero interessante… una panoramica affascinante nella vita di qualcuno che era un essere umano da molto più tempo di me. Non avevo però testa per formulare commenti costruttivi e sentivo sempre di più la pressione dell’orologio, non quello biologico, ma quello che tenevo al polso. Così, dibattuto tra la ricerca di una frase adeguata e rassicurante e il mio urgente bisogno di accomiatarmi, me ne uscii alla fine con un: — Be’, sono sicuro che ci tiene.

Deborah non smetteva di fissarmi, cominciando a farmi dubitare di aver detto la cosa giusta. Infine trasse un profondo sospiro e tornò a guardare la finestra. — Già — fece. — Ne sono sicura anch’io. — Poi scrutò la baia, senza dire nulla, ma, cosa ancora peggiore, sospirò un’altra volta.

Ecco un lato di mia sorella che non conoscevo, e con cui non avrei voluto avere a che fare troppo spesso. Ero abituato a una Deborah chiassosa e collerica, che mi prendeva a pugni sul braccio. Vederla così tenera, indifesa e vittimista mi metteva estremamente a disagio. Immaginavo di doverla in qualche modo consolare, ma non sapevo proprio da dove cominciare. Così restai lì, imbarazzato, finché il mio bisogno di andarmene prevalse sul mio senso del dovere.

— Mi dispiace, Debs — dissi, e stranamente era vero. — Devo andare a prendere i ragazzi.

— Già — fece lei, senza voltarsi. — Valli a prendere.

— Mi serve… uhm… un passaggio fino alla mia macchina.

Deborah si staccò lentamente dalla finestra e guardò verso la porta, dove si aggirava la signora Stein. Annuì con il capo e si alzò. — Okay — disse. — Qui abbiamo finito. — Mi passò davanti, fermandosi soltanto per salutare la signora Stein in tono formale ed educato, e uscì in silenzio.

Il silenzio durò finché non arrivammo alla mia macchina e non fu molto piacevole. Sentivo di dover dire qualcosa per alzarle il morale, ma, dopo un paio di tentativi falliti miseramente, rinunciai. Debs entrò nel parcheggio della centrale e si arrestò davanti alla mia auto. Fissava oltre il parabrezza con lo stesso sguardo depresso che aveva esibito durante il viaggio. La guardai, ma non ricambiò.

— Okay — dissi infine. — A domani.

— Come ci si sente? — domandò, bloccandomi con la portiera semiaperta.

— Come ci si sente cosa?

— A tenere per la prima volta il proprio figlio tra le braccia — fece.

Stavolta non impiegai molto a risponderle. — È stupendo. Assolutamente magnifico. Più di ogni altra cosa al mondo.

Deborah mi guardò. Non si capiva se le fosse venuta voglia di abbracciarmi oppure di picchiarmi, comunque si limitò a scuotere lentamente il capo. — Va’ a prendere i tuoi ragazzi — disse.

Attesi un istante, nel caso avesse detto qualcos’altro, ma non lo fece. Uscii dall’auto e restai a osservare mia sorella mentre si allontanava piano, cercando di capire che cosa le passasse per la testa. Sfortunatamente erano questioni troppo complicate per un umano nuovo di zecca come me, così alzai le spalle, saltai in macchina e andai a prendere Cody e Astor.

8

Mentre guidavo diretto a sud sulla Old Cutler Road per andare a prendere Cody e Astor, trovai parecchio traffico, anche se quella sera, in quella zona della città, tutti mi parvero cortesi. Quando le corsie confluirono, un tipo al volante di un enorme Hummer rosso si fermò addirittura per farmi passare e io, cosa mai vista, acconsentii a superarlo. Mi domandai se un gruppo di terroristi avesse sciolto non so quale sostanza nel sistema idrico di Miami per renderci tutti sensibili e gentili. Prima io che sceglievo di abdicare al mio Lato Oscuro, poi Debs che quasi si metteva a piangere… e ora un guidatore di Hummer che nell’ora di punta si mostrava premuroso e servizievole. Non era forse arrivata l’Apocalisse?

Sulla strada verso il doposcuola in cui erano rinchiusi Cody e Astor non notai però nessun angelo fiammeggiante, ma ancora una volta riuscii ad arrivare entro le sei. Ad attendermi davanti all’ingresso c’era sempre la stessa donna, che agitava le chiavi e si dimenava impaziente. Quasi mi sbatté addosso i bambini, con un sorriso artificiale che non era neanche lontanamente all’altezza dei miei, poi corse alla volta della macchina parcheggiata dall’altro lato del parco.

Caricai Cody e Astor sui sedili posteriori dell’auto e mi misi al volante. Erano piuttosto silenziosi, persino Astor. Così, in virtù del mio nuovo ruolo di padre umano, decisi di sbloccare un po’ la comunicazione. — Avete passato una bella giornata? — domandai, in tono fintamente festoso.

— Anthony è uno stronzo — dichiarò Astor.

— Non si dice quella parola — la rimproverai, piuttosto scioccato.

— La dice anche mamma quando guida — si giustificò. — E comunque l’ho sentita all’autoradio.

— Non la devi usare lo stesso — spiegai. — È una parolaccia.

— Non mi puoi parlare così. Ho dieci anni — Non sono abbastanza per usarla — dissi. — E non ti preoccupare di come ti parlo.

— Allora non ti importa di quel che ha fatto Anthony? — replicò. — Ti interessa solo che non usi quella parola?

Tirai un profondo sospiro e mi trattenni a stento dal non andare a sbattere contro la macchina davanti. — Che cos’ha fatto Anthony? — chiesi.

— Ha detto che non sono sexy — disse Astor. — Perché non ho le tette.

Restai qualche istante a bocca aperta, poi, per fortuna, mi ricordai che dovevo respirare. Chiaramente ero rimasto senza parole, ma era altrettanto chiaro che dovevo dire qualcosa. — Be’… io… uhm… — farfugliai. — Voglio dire, quasi nessuno ha le tette a dieci anni.

— È un gran bastardo — fece Astor, cupa. Poi aggiunse, mielosa: — Bastardo lo posso dire, vero, Dexter?

Aprii la bocca sul punto di borbottare qualcos’altro, ma prima che potessi pronunciare una sola sillaba, Cody parlò. — Qualcuno ci sta seguendo — dichiarò.

Lanciai uno sguardo allo specchietto retrovisore. Con quel traffico, era infatti impossibile stabilire se avessimo qualcuno alle calcagna. — Perché dici così, Cody? — domandai. — Come fai a dirlo?

Lo vidi alzare le spalle attraverso lo specchietto. — L’Uomo Ombra — fece.

Sospirai un’altra volta. Prima Astor con quella raffica di parolacce e adesso Cody con l’Uomo Ombra. Mi si prospettava un indimenticabile pomeriggio da genitore. — Ogni tanto anche l’Uomo Ombra si sbaglia — dissi.

Scosse il capo. — Stessa macchina.

— Stessa di cosa?

— La stessa che c’era nel parcheggio dell’ospedale — tradusse Astor. — Quella rossa, quando hai detto che quel tipo non ci stava guardando e invece lo faceva davvero. E anche adesso, ci sta seguendo anche se tu dici che non è così.

Mi piace pensare di essere una persona razionale, persino in situazioni irrazionali, come la maggior parte di quelle in cui sono coinvolti i bambini. Ma a questo punto mi parve di avergli permesso di dare un po’ troppo libero sfogo all’immaginazione e che gli servisse una piccola lezione. Inoltre, se avevo seriamente intenzione di seguire il mio proposito e incamminarmi sul Sentiero del Bene, dovevo cominciare a distoglierli dalle loro fantasie oscure, e questo era un buon momento.

— D’accordo — dissi. — Vediamo se ci sta seguendo davvero.

Mi spostai nella corsia di sinistra e misi la freccia. Nessuno ci imitò. — Vedete qualcuno? — feci.

— No — rispose Astor, torva.

Voltai a sinistra, accanto a un centro commerciale. — E adesso, qualcuno ci sta seguendo?

— No — ripeté Astor.

Accelerai e svoltai a destra. — E adesso? — continuai allegramente. — Abbiamo qualcuno dietro?

— Dexter — grugnì Astor.

Accostai di fianco a una casa qualunque, simile alla nostra, lasciando due ruote sull’erba e il piede sul freno. — E adesso? Qualcuno forse ci segue? — dissi teatralmente, cercando di non far trapelare eccessivamente la mia vittoria.