— No — sibilò Astor.
— Sì — fece Cody.
Mi voltai per rimproverarlo e restai di sasso. Perché oltre il lunotto posteriore, a circa un centinaio di metri, una macchina puntava lenta verso di noi. La luce del crepuscolo permise di distinguere i riflessi rossastri della carrozzeria mentre avanzava a passo d’uomo nella nostra direzione, chiazzata dalle ombre degli alberi che crescevano lungo la via. Il Passeggero Oscuro, come destato da quelle ombre, si stiracchiò con cura, distese le ali e lanciò un sibilo di allarme.
Senza pensarci su, diedi violentemente gas e feci inversione a u, lasciandomi alle spalle un pezzo di prato rovinato e rischiando di investire una cassetta delle lettere. Appena riguadagnò l’asfalto, l’auto sbandò leggermente. — Tenetevi forte — ordinai ai ragazzi e, in preda a un’emozione molto simile al panico, percorsi la strada a tutta velocità, per poi svoltare a destra e rientrare nella US1.
Vedevo l’altra auto alle mie spalle, ma, entrando nella superstrada, mi trovai in vantaggio e mi infilai rapidamente nel traffico. Ripresi di nuovo a respirare, un paio di volte, mentre mi lanciavo in mezzo a tre corsie di macchine rapidissime, e poi piegavo a sinistra. Passai che era già scattato il rosso e accelerai per mezzo chilometro, finché non scorsi uno spazio in mezzo alle auto in arrivo e con uno stridore di gomme svoltai a sinistra in un’altra tranquilla strada residenziale. Superai due incroci, girai nuovamente a sinistra e mi ritrovai in una parallela della US1. La via era buia e silenziosa e stavolta alle nostre spalle non si scorgeva nessuno, neanche una bicicletta.
— Okay — feci. — Forse l’abbiamo seminato.
Dallo specchietto vidi Cody fissare oltre il lunotto, poi si voltò e confermò le mie parole con un cenno del capo.
— Ma chi era, Dexter? — chiese Astor.
— Uno squilibrato qualunque — risposi, mostrandomi più sicuro di quanto in realtà mi sentissi. — Certa gente si diverte a spaventare gli altri, senza neanche sapere perché.
— Era lo stesso — fece Cody, cupo. — Lo stesso dell’ospedale.
— Non lo puoi sapere — dissi.
— Posso.
— Si tratta di una coincidenza — replicai. — Di due matti diversi.
— Lo stesso — insistette con sdegno.
— Cody — lo ripresi. Eppure sentivo l’adrenalina scorrermi nelle vene e non mi andava di discutere, così lasciai perdere. Da grande Cody avrebbe imparato che per gli sconfinati dintorni di Miami si aggirano individui eccentrici e fuori di testa, se non peggio. Non c’era modo di scoprire perché uno di questi ci avesse seguito, e neanche aveva importanza. Chiunque fosse stato, ora non c’era più.
Per sicurezza continuai a percorrere la parallela, nel caso che il nostro persecutore stesse sorvegliando la superstrada. Inoltre, mentre il sole tramontava, era più facile individuare qualcuno alle nostre spalle in una via come questa, buia e fiancheggiata da case, piuttosto che sotto le luci aranciate della US1. Comunque non c’era nulla da vedere: due o tre volte comparvero dei fanali nello specchietto retrovisore e ogni volta si trattava di un viaggiatore pendolare diretto a casa, che svoltava nella sua via e parcheggiava nel vialetto.
Raggiungemmo finalmente la traversa che portava alla nostra casetta. Svoltai e puntai con cautela verso la superstrada, guardando in tutte le direzioni. Scorsi soltanto il traffico e nessuna auto mi parve particolarmente sinistra, così quando scattò il verde attraversai l’US1 ed effettuai le due svolte che conducevano alla nostra via.
— Okay — dissi, non appena il nostro angolo di paradiso comparve alla vista. — Non dite niente alla mamma, mi raccomando. La fareste solo preoccupare. D’accordo?
— Dexter. — Astor si protese in avanti sul sedile e indicò la nostra casa. Seguii con lo sguardo il suo dito teso e inchiodai così forte che mi vibrarono i denti.
Una macchinetta rossa era parcheggiata proprio davanti a casa, il muso puntato verso di noi. Le luci e il motore erano accesi e non si vedeva all’interno, ma questo bastò a farmi percepire il rapido frullare delle ali oscure e il sibilo rabbioso del mio Passeggero, ormai del tutto sveglio.
— Restate qui, con le porte chiuse — intimai ai ragazzi, e porsi ad Astor il mio cellulare. — Se succede qualcosa, chiama il 911.
— Se sei morto, posso scappare in macchina? — chiese Astor.
— Resta qui e basta — ripetei, poi respirai a fondo, per confondermi con l’oscurità…
— Guarda che sono capace di guidare. — La bambina si slacciò la cintura di sicurezza e si protese verso il volante.
— Astor — la richiamai seccamente, mentre percepivo dentro l’eco di un’altra voce, quella gelida del Passeggero.
Uscii lentamente e mi piazzai di fronte all’altra automobile. Non c’era modo di vedere dentro l’abitacolo, né si percepiva alcun segno di pericolo: era soltanto una macchinina rossa con i fari e il motore acceso. Avvertii l’equivalente di un rullo di tamburo da parte del Passeggero: come se si sentisse pronto per l’azione, ma senza sapere bene quale; poteva trattarsi di una motosega fiammeggiante, come di una torta in faccia.
Avanzai verso il veicolo, cercando di progettare il da farsi, cosa praticamente impossibile, visto che non sapevo che cosa volesse quel tipo, né chi fosse. L’ipotesi che si trattasse di uno squilibrato qualsiasi non reggeva più… non ora che sapeva dove abitavo. Ma chi era? Chi poteva avercela con me? Intendevo dire tra i vivi, ovviamente. A una gran quantità di mie precedenti vittime sarebbe infatti piaciuto perseguitarmi, ma non erano in grado di compiere molte azioni, a parte decomporsi.
Avanzai ancora, tentando di mantenermi pronto a tutto, altra cosa impossibile. L’altra macchina continuava a non dare cenni di vita, e il Passeggero si limitava a qualche prudente e perplesso frullio d’ali.
Quando mi trovai a circa tre metri, il finestrino del guidatore si abbassò e io mi arrestai. Per un lungo istante non successe nulla, poi dal finestrino comparve un viso, un volto familiare che sfoggiava un radioso sorriso sintetico.
— Ti sembra bello? — fece. — Aspettare tutto questo tempo e neanche dirmi che sono diventato zio?
Era mio fratello Brian.
9
Non vedevo mio fratello da quella sera memorabile, parecchi anni prima, in cui ci eravamo ritrovati dopo tanto tempo da adulti, in un container al porto di Miami, e Brian mi aveva offerto un coltello, perché l’aiutassi a fare a pezzi il compagno di giochi da lui prescelto. Vi suonerà strano, ma non ne ero stato capace. Questo perché la prescelta era Deborah e la longa e morta manus di Harry aveva strapazzato talmente bene la mia ipotetica coscienza da impedirmi di farle del male… anche se io e Debs non eravamo consanguinei, mentre io e Brian sì.
Infatti, a quanto mi risultava, mio fratello era l’unico parente biologico che avessi, benché, visto ciò che avevo scoperto sulla nostra promiscua mammina, tutto fosse possibile. Per quel che ne sapevo, potevo avere anche una dozzina di mezzi fratelli e sorelle residenti in un campeggio per roulotte a Immokalee. In ogni caso, quello che condividevamo io e Brian andava ben oltre il nostro legame di sangue. Anche se… be’, lo si poteva definire allo stesso modo. Perché mio fratello era stato forgiato dal medesimo fuoco che mi aveva trasformato nell’Oscuro Dexter, un fuoco che gli aveva trasmesso lo stesso, insopprimibile desiderio di smembrare e affettare. Purtroppo Brian era cresciuto privo delle restrizioni del Codice di Harry ed era ben felice di poter sperimentare la sua arte su chiunque, a patto che fosse giovane e appartenesse al gentil sesso. Quando le nostre strade si erano incontrate per la prima volta, si stava dilettando con una serie di prostitute locali.